La leggenda dei monti naviganti

 

” Se vai lento, ovunque tu sia nella fascia temperata del Globo, le tue notti si popoleranno di grilli, belati, fumo di legna, erbe aromatiche, stelle. D’inverno, ti addormenterai circondato di luce lunare fredda, odore di lana infeltrita e letame, tè bollente e sogni caldi, quelli dove le persone hanno odore e sapore. In una parola, la vita. “

 

Paolo Rumiz, da “La leggenda dei monti naviganti”

I Giorni della Merla

 

Oggi iniziano i “Giorni della Merla”, i più freddi dell’ anno. Fino al 31 Gennaio, secondo antiche credenze popolari, le temperature raggiungono valori sottozero. E’ il picco dell’ inverno, il trionfo del gelo prima della graduale avanzata della primavera. Svariate leggende incentrate sulla figura di una merla (leggile cliccando su questo link) hanno ispirato la denominazione del 29, 30 e 31 Gennaio, date che anticamente si ritenevano cruciali per prevedere il meteo della stagione successiva: si pensava che se i Giorni della Merla fossero stati glaciali, la primavera sarebbe stata assolata e molto tiepida, e che a Giorni della Merla baciati dal sole sarebbe seguita una primavera tardiva. In attesa di accertare la veridicità di queste tradizioni, godetevi la gallery qui sotto. Ad arricchirla sono proverbi tipici di diverse regioni italiane, per rendere ancora più suggestiva la valenza assegnata agli ultimi tre giorni di Gennaio. Buona visione e buon weekend della Merla!

 

 

“Se li gljorni de la merla voli passà, pane, pulenta, porcu e focu a volontà!” (“Se i giorni della Merla vuoi ben passare, pane, polenta, maiale e fuoco del camino a volontà”)

Proverbio marchigiano

 

 

” Quando canta il merlo, siamo fuori dall’ inverno”

Proverbio bolognese

 

 

“Canta il merlo, l’ inverno è finito, ti saluto padrone, trovo un altro tetto!”

Proverbio bergamasco

 

 

” Due soldi li ho a prestito e uno lo troverò. Se bianca sei, nera ti farà, e se nera sei, bianca diventerai. ” (in riferimento alla leggenda della merla)

Proverbio bresciano

 

L’ accessorio che ci piace

 

Le discoteche dovrebbero riaprire il 1 Febbraio: uso il condizionale un po’ per scaramanzia, un po’ per prevenire gli eventuali e improvvisi cambi di rotta tipici dell’ emergenza sanitaria. Se tutto andrà bene, scatenarsi sul dancefloor indossando le iconiche Medusa Aevitas di Versace è tassativo. Seducenti, audaci, vibranti, queste platform dai colori pop sono già sold out. Le celebrities le adorano: Beyoncé, Dua Lipa e Ariana Grande (per citarne solo alcune) le hanno esibite con stupefacenti look prontamente postati su Instagram. Tutte le vogliono, perchè sprigionano glamour in dosi massicce. Le cromie vivaci e il design che rimanda agli anni ’70 dello Studio 54 rappresentano i loro punti di forza. E poi, sono inconfondibili: interamente in satin, sfoggiano un doppio plateau di 6,5 cm e un tacco massiccio che raggiunge i 9 cm. Questa altezza vertiginosa viene esaltata da un design raffinatissimo; il cinturino alla caviglia è tempestato di cristalli e decorato con un ciondolo Medusa color oro, la punta è squadrata, la manifattura rigorosamente Made in Italy.

 

 

Il ciondolo Medusa è una chicca deliziosa, un dettaglio che sancisce il DNA di Versace attraverso il suo emblema più caratteristico. Le nuance in cui le Aevitas si declinano potenziano ulteriormente il loro appeal: rosso, lilla, nero, un giallo e un fucsia che virano vagamente al fluo accentuano l’ allure “bold & glam” di queste décolleté mozzafiato. Io le scelte in fucsia. E voi, quale colore preferite?

 

L’ idromele: il fascino nordico del “nettare degli dei”

 

Se pensate che la più antica bevanda alcolica sia il vino, forse non conoscete l’idromele. E’ un fermentato dalle origini remotissime e la sua storia è estremamente affascinante: i Celti e i popoli germanici lo consideravano sacro e lo definirono “nettare degli dei”, poichè a loro dire era un dono celeste; ma anche perchè, in effetti, al nettare era direttamente associato. L’ idromele viene ottenuto dalla fermentazione del miele, che combinato con l’acqua e con il lievito dà vita ad una bibita dal discreto tasso alcolico (oscilla tra i 6 e i 18 gradi). Il fatto che derivasse dal polline, che rimandasse alla laboriosità delle api e all’ acqua pura di sorgente lo collegava ai concetti di perenne rinascita e di trasformazione, paragonandolo a una potente linfa vitale. Non è un caso che, proprio presso gli antichi Celti ed i Germani, l’idromele fosse ritenuto la bevanda dell’ immortalità. Prima ancora che l’uomo si dedicasse alla domesticazione della vite, dunque, si diffuse l’ usanza di sorseggiare la raffinata bibita a base di miele. Il suo nome proviene dal greco “hydor”, ovvero “acqua”, e “méli”, “miele”, mentre il termine anglosassone “mead” risale all’ inglese antico “meodu”. Inizialmente, l’idromele si sorbiva soprattutto nelle corti e durante le cerimonie religiose. In particolare, è stato accertato che nel lasso di tempo compreso tra il IX e il I secolo a.C. i Druidi ne facessero uso in occasione delle ricorrenze che sancivano i cicli stagionali: Samhain (il Capodanno celtico), Yule (il Solstizio d’ Inverno), Imbolc (la nostra festa della Candelora), Ostara (l’Equinozio di Primavera), Beltane (la festa del primo maggio), Litha (il Solstizio d’Estate), Lughnasadh (il culmine dell’estate) e Mabon (l’ Equinozio di Autunno). Il consumo di idromele si integrava con i rituali effettuati durante quelle feste, giacchè il suo tasso alcolico favoriva l’alterazione degli stati di coscienza e facilitava il contatto con il divino. Per i Celti, il “nettare degli dei” possedeva un valore simbolico potentissimo. Recipienti con depositi di idromele sono stati rinvenuti nei sepolcri di svariati principi vissuti tra il VI e il IV secolo a.C.: di questa bevanda pregiata, infatti, gli aristocratici facevano scorta per portarla con sè anche nel Sidh, l’ Oltretomba celtico. 

 

 

Gli appassionati di cultura Vichinga e di mitologia norrena sapranno già che l’idromele (chiamato mjöðr nelle lande del Nord) riveste un ruolo molto importante per il mondo scandinavo precristiano. Le leggende lo fanno risalire alla capra Heidrun, che racchiudeva idromele nelle sue mammelle, e raccontano che era la bevanda più amata dal dio Odino e dagli Asi, gli dei nordici che governavano il cielo. Sempre secondo la mitologia norrena, per impossessarsi dell’ idromele Odino si tramutò di volta in volta in serpente e in aquila, mentre Thor, il dio del tuono, riuscì a impadronirsene strappandolo ai giganti. Un’ altra leggenda ancora vede protagonista il vate Kvasir. Costui, durante un viaggio intrapreso per erudire il popolo, una notte pernottò presso l’ alloggio di due fratelli nani, Fjalarr e Galarr. I nani lo uccisero, versarono il suo sangue in delle coppe e aggiunsero del miele per addolcirlo. La fermentazione prodotta da quella miscela diede vita all’ idromele, una magica bevanda che conferiva il dono della saggezza e della poesia a chiunque la assaporasse. Adesso, una piccola curiosità: sapete da cosa deriva la locuzione “luna di miele”? Secondo una tradizione medievale, ai neo-sposi si usava regalare idromele in una quantità sufficiente per un mese lunare; il calendario gregoriano fu infatti introdotto solo nel 1582. Scopo di quel dono era favorire la procreazione: la coppia, nelle prime settimane di nozze, avrebbe beneficiato della prodigiosa energia che l’ idromele infondeva. Da qui “luna”, ovvero “mese lunare”, e “miele”, come l’ ingrediente base della bevanda.

 

In questo pub svedese, a Gamla Uppsala, si può bere idromele in speciali corni potori “Vichingo style”

Le origini dell’ idromele si perdono nella notte dei tempi. Numerose testimonianze ne attestano l’esistenza già nell’ antico Egitto (circa 2000 anni a.C.), presso i Greci e presso i Romani. Persino il culto di Dioniso, antecedente all’ inizio della coltivazione della vite, veniva originariamente associato alla bevanda: il dio greco del vino e della vendemmia intreccia la sua storia mitica con quella dell’ idromele. Non a caso, si usava far fermentare il miele e l’ acqua che lo compongono in un sacco di pelle di toro, animale di sovente identificato con Dioniso. Va precisato che l’ebbrezza donata dall’ idromele era notevole;  bastava aggiungere del miele durante la fermentazione per conferire la massima gradazione alcolica alla bevanda.

 

“Cup of Honey Drink”, 1880 circa. Dipinto conservato nel Donetsk Regional Museum of Art in Ucraina

L’esistenza dell’ idromele nell’ antica Roma è attestata nei libri di Columella (dove un intero volume, il dodicesimo, è dedicato ai vari modi di preparazione del “nettare degli dei”) e di Plinio. Tuttavia, la “bevanda dell’ immortalità” non rivestì mai un’ importanza pari a quella che aveva assunto nell’ Europa del Nord: il miele era molto più costoso rispetto al vino e il cristianesimo decretò il decisivo trionfo di quest’ ultimo, che utilizzava durante la liturgia eucaristica, rispetto al “pagano” idromele. 

 

Foto n. 2 e n. 3 (dall’ alto): n. 3 via Madison Scott-Clary via Flickr, CC BY 2.0, n. 4 by Marieke Kuijjer from Leiden, The Netherlands, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons

Thierry Mugler: un ricordo

 

” Ho fatto moda perchè stavo cercando qualcosa che non esisteva. Dovevo provare a creare il mio proprio mondo. “

Manfred Thierry Mugler

In questa foto, un abito tratto dalla mostra “Thierry Mugler, Couturissime”, visibile fino al 24 Aprile a Parigi presso il Musée des Arts Décoratifs. L’ esposizione, una retrospettiva dedicata allo stilista francese scomparso il 23 Gennaio, è stata inaugurata nel 2019 a Montreal prima di approdare a Rotterdam, a Monaco e nella Ville Lumière. Per ammirare il fashion show di “Les Insectes”, invece, una delle collezioni (e delle sfilate) più straordinarie mandate in scena da Manfred Thierry Mugler, cliccate qui. Le creazioni, visionarie e spettacolari al punto tale da mozzare il fiato, fanno parte della linea di Haute Couture Primavera Estate 1997 e vengono indossate da regine della passerella del calibro di Eva Herzigova, Jerry Hall e Simonetta Gianfelici. Voglio ricordare Mugler come lo vidi al termine di quella sfilata: salutato da un tripudio di applausi, radioso, circondato dalle top model che si complimentano calorosamente con lui. Il designer si lascia contagiare dal loro entusiasmo, è raggiante di felicità. La felicità di chi ha realizzato il proprio sogno ed è riuscito a condividerlo con il mondo intero. Nell’ universo di Thierry Mugler ci siamo addentrati con gioia, con stupore, abbacinati dalla meraviglia. La stravaganza e l’opulenza, la sensualità e la sublime inventiva, la bellezza e la genialità costituivano i suoi cardini. Ogni défilé era un vero e proprio show, dove la musica e la scenografia catturavano i sensi e le modelle si esibivano anzichè limitarsi a sfilare; erano decisamente delle “superdonne”, femme fatale che ammaliavano i comuni mortali. Mugler stesso dichiarò: “Per creare qualcosa di cui sognare, ho bisogno di donne, architetture e luoghi eccezionali.”, e seppe creare un universo che coniugava il talento creativo con un glamour potentissimo. Il suo immaginario era popolato da dee, incantevoli e incantatrici, delle quali enfatizzava sapientemente la silhouette. Non dimenticheremo mai le atmosfere che lo stilista era in grado di evocare, la visionarietà con cui traduceva in abiti l’ ispirazione. Inoltrarsi nel mondo di Mugler era un piacere. Aveva una capacità incredibile di coinvolgerci, di renderci partecipi del suo sogno. Oggi, riguardando quei fashion show, proviamo un misto di nostalgia e di conforto: in un’epoca così drammatica della nostra storia, l’ universo di Thierry Mugler rappresenta un’oasi dove il bello, l’ eleganza, la fantasia tornano a nutrire l’ anima. E lo stile inconfondibile del designer di Strasburgo si tramuta in un antidoto contro il dilagante appiattimento esistenziale.

 

 

Foto: “Thierry Mugler exhibit @ Montreal Museum of Fine Art” by Stephen Kelly via Flickr, CC BY-2.0

I look fiabeschi di Linennaive, brand di punta dello stile Cottagecore

Outlander 2020  100% wool cloak coat

 

Inverno = fiaba è uno dei leitmotiv di VALIUM, e il post di oggi si basa proprio su questo assioma. A fare da protagonista è uno dei brand di punta dello stile “Cottagecore”, Linennaive. Ma che cos’è, innanzitutto, il Cottagecore? Viene definita Cottagecore un’ estetica bucolica, sognante e fiabesca che ha come icona di riferimento Holly Hobbie, il celebre personaggio che la scrittrice e illustratrice americana Denise Holly Hobbie creò negli anni ’60. Vi ricordate di lei? Ispirandosi al tradizionale stile rustico del New England, Denise raffigurò una bambina che indossava un grembiule in patchwork sovrapposto ad un romantico abito. Il suo enorme cappello a cuffia in fantasia floreale divenne famosissimo; caratterizzando ulteriormente il look che esibiva, Holly Hobbie teneva in mano un bouquet di fiori di campo. Ideata per illustrare un biglietto di auguri, il personaggio si tramutò ben presto in un’ icona globale: l’ immagine di Holly Hobbie cominciò ad apparire ovunque, venne lanciata una bambola con le sue fattezze e nel 2018 le fu dedicata persino una serie TV. Tornando al Cottagecore, è da notare che porta un nome significativo. Unisce infatti i termini “cottage”, la tipica casa di campagna britannica, e “core”, ovvero “nucleo”. Lo stile Cottagecore, in sintesi, rimanda ad un abbigliamento d’antan che inneggia alla country life e a suggestioni pastorali. Ma va ben oltre la moda, coinvolgendo il lifestyle in toto:  può essere Cottagecore un determinato arredamento così come lo sono i dolci fatti in casa, i fiori selvatici, un bosco innevato, un maglione ai ferri, un’ antica lampada ad olio che sostituisce la luce elettrica e così via.

 

 

Pensando al Cottagecore, insomma, viene spontaneo immaginare ambientazioni che sembrano uscite da un libro di fiabe dei fratelli Grimm (Cottagecore è anche, a proposito, leggere libri rigorosamente cartacei – magari vintage – e bandire gli e-book). Linennaive è un fashion brand completamente imperniato sull’estetica Cottagecore. I suoi cardini sono il comfort e la qualità, mentre tra i materiali che propone predomina il lino: lino italiano proveniente da Venezia, Napoli e Torino, lino della Normandia, lino cinese soffice come seta. Il design dei capi è romantico e confortevole, dal forte impatto visivo. “Fiabesche” è l’aggettivo perfetto per definire le creazioni di Linnenaive. Cappotti, mantelle, gonne, abiti e bluse hanno un sapore d’altri tempi e si contraddistinguono per i volumi ampi, le svolazzanti svasature, la morbidezza delle stoffe. Altri materiali cult del brand, non a caso, sono il cashmere e la pura lana.

 

 

Molto importante è anche la cultura aziendale: Linnenaive valorizza il lavoro delle fabbriche di lino e dei pastori nomadi che realizzano i suoi tessuti, ricompensandoli con una più che adeguata retribuzione. Inoltre, utilizza materie prime che garantiscano il benessere degli animali, seguendo scrupolosamente le direttive stabilite dall’ OIE (World Organisation for Animal Health). L’ispirazione stilistica attinge soprattutto all’ era vittoriana e al tardo Medioevo. Prevalgono lunghe mantelle con cappuccio, bluse-corsetto con maniche balloon e lacci intrecciati a posto dei bottoni. Le gonne sono a ruota, “danzanti”, i colletti merlettati di vaporose camicie spuntano da abiti apron in puro “Piccole donne” style. Il connubio tra antico e moderno è costante, sia per quanto i riguarda i riferimenti che la vestibilità. In queste foto, una selezione di look firmati Linennaive. Per saperne di più sul top brand dello stile Cottagecore, vi invito ad esplorare il suo sito (linennaive.com) e il suo profilo Instagram (@linennaive).  E adesso, addentriamoci insieme nella fiaba…

 

My Fair Lady 26 cashmere coat

Mulan 20 black winter coat

My Fair Lady 26 hooded wool coat

Outlander 2020  100% maxi wool cloak

The New Yorker hooded cashmere cape

Perfumer 33 white wool cloak wedding cape

Shakespeare 33  100% wool maxi coat jacket

Perfumer 33 hooded wool cloak

Roman Holiday 2020 red wool coat jacket

La Luna 11 old lace linen dress

Wooden Ark 11 wool pleated skirt

Poppy 23 pink maxi linen skirt

Opera 25 peacock blue linen skirt

Arwen 08 fairy linen skirt in iris

Lost Queen 31 puff sleeve linen dress

Poppy 23 ivory linen fairy skirt

Tea Dance 5 lace-up maxi linen skirt

Rosemary 19 apron linen dress in misty blue

Lilac 37 hooded wool dress coat

Primrose Palette di Anastasia Beverly Hills, la palette all-in-one che fa scintillare l’ inverno

 

E’ tempo di palette, su VALIUM: il ripristino della mascherina obbligatoria, purtroppo, ha prolungato ulteriormente lo stand by del rossetto. Ma non possiamo lamentarci perchè, nel frattempo, il make up occhi ha raggiunto livelli di pura perfezione. La scelta è ampia, i prodotti eterogenei e ricchi dei colori, delle texture e dei finish più disparati. La magia delle collezioni Holiday continua ad attirarci nella sua sfavillante scia. E non stupisce: la voglia di luce è tale che anche il make up maggiormente “festaiolo” si inserisce a pieno titolo nella quotidianità. Un esempio? Primrose Palette, la luxury palette all-in-one di Anastasia Beverly Hills. Anastasia Soare l’ha creata ispirandosi al fascino etereo della rosa, impreziosendola di nuance incantevoli e sognanti. Le sue tonalità sono dodici: a fare da leitmotiv la consistenza “burrosa”, una pigmentazione ultra ricca e finish che alternano matte onirici a metal opulenti e pluridimensionali. Non si tratta, però, di semplici ombretti. Le shade di Primrose Palette possono essere utilizzate sia sulle palpebre che sulle labbra, sia sugli zigomi che sull’ intero volto. Sono perfette per il contouring e come illuminanti o blush, sostituiscono il lipstick con i loro riflessi metallici, esaltano le palpebre tramite cromie ad alto tasso di magnetismo. Andiamo subito a scoprire quali sono.

 

 

Potete ammirarle nella foto qui sopra, da sinistra a destra: Rose Water è un opale metal e brillante con riflessi multidimensionali, Honey un sabbia matte che vira al beige, Sparkling Amber un oro rosa metal con riflessi multidimensionali, Primrose un rosa polvere matte con riflessi multidimensionali, Mango un mix matte tra il pesca e il corallo, Peony un rosa scintillante con riflessi dorati, Rouge un marrone matte che vira al rosa-beige, Fire Opal un rame metal vibrante con riflessi opale, Deep Berry un intenso color bacca matte, Claret un prugna profondo e matte, Grapefruit un mix matte tra il rosa e il corallo, Saddle un terracotta matte.

Rigorosamente cruelty free, Primrose Palette si avvale di formule cremose e di miriadi di pigmenti. I finish alternano il matte al metal originando un tripudio di riflessi, straordinari giochi cromatici, effetti multidimensionali. Grazie alla scorrevolezza estrema, ogni tonalità si sfuma con facilità ed è modulabile a proprio piacimento: un punto di forza che, sommato alla versatilità delle nuance, fa sì che la palette sia utilizzabile sia di giorno che di sera. Anche il design del packaging contribuisce ad accrescere l’appeal del prodotto. E’ sofisticato, ma essenziale. Il grande specchio e la maneggevolezza della confezione rendono Primrose perfetta per i viaggi o per i ritocchi on the go. Vediamo ora quali sono le shade più adatte alle varie zone del volto.

 

 

Per il contouring, per esaltare e definire il viso, Rouge, Honey e Deep Berry si rivelano ottime. Come illuminanti, Sparkling Amber, Peony, Fire OpalRose Amber sono il top; puntate su questi colori anche se volete donare alle labbra dei seducenti bagliori metal. Sugli zigomi potete applicare Mango, Rouge, Claret, Primrose e Deep Berry a mò di blush.

 

 

Primrose Palette è stata lanciata in occasione del Natale, ma eccelle nel traghettare le magiche atmosfere Holiday nel 2022: un trend make up che diventa un po’ una filosofia, uno stile di vita. I cieli grigi dell’ inverno, d’altronde, sembrano fatti apposta per esortarci a scintillare!

 

Il focus

 

E’ un cult dal 2013, quando apparve per la prima volta in passerella. La versatilità, le forme avvolgenti, l’ allure giocosa e glamour al tempo stesso l’ hanno immediatamente decretato cappotto icona. Da allora, il Teddy Bear di Max Mara è il capospalla che tutte vogliono, celebs comprese. Anche perchè è soffice e delizioso a vedersi, con la sua texture in cammello su base di seta e i suoi volumi cocoon. Ricorda il manto di un vero e proprio “teddy bear”, proposto in un’inesauribile varietà di colori: cammello, appunto, e poi beige, rosso, tortora, cuoio, panna, rosa ghiaccio…Il taglio è accattivante: collo a maxi revers, giromanica sceso e tasche a filetto costituiscono i segni distintivi del Teddy coat. Con il passar del tempo, i modelli si sono moltiplicati.  Oggi lo ritroviamo persino in versione bomber, biker e gilet, ma il must have di Max Mara è in continua evoluzione e si accinge a includere ulteriori declinazioni. Il Teddy biker rappresenta una delle più interessanti; la sua lunghezza sfiora i fianchi e i revers che sfoggia sono molto ampi. La linea è sempre over, stretta in fondo posteriormente. E proprio sul retro della giacca, spicca un dettaglio di incredibile preziosità: il patch Max Mara 1951, anno di fondazione del brand, ricamato in caratteri MaxMaraGram.

 

 

Il patch è una delle novità introdotte in occasione del 70simo anniversario del marchio. A partire dalla collezione Autunno Inverno 2021/22, inoltre, Max Mara offre la possibilità di personalizzare i capispalla a piacimento del cliente: motivi ricorrenti sono i font MaxMaraGram, utilizzabili per creare sigle, iniziali o scritte. Tornando al Teddy Bear in versione biker, questo è senz’altro il momento migliore per acquistarlo. Sovrapponendosi al cappotto sconfigge il freddo e dona un irresistibile tocco glam; indossato da solo, invece, risulta l’ideale per la transizione tra inverno e primavera grazie alla sua lunghezza minima e alle dimensioni poco ingombranti: comfort e stile si fondono in un connubio mozzafiato che accentua l’iconicità di un capospalla già leggendario.