La leggenda dei monti naviganti

 

” Se vai lento, ovunque tu sia nella fascia temperata del Globo, le tue notti si popoleranno di grilli, belati, fumo di legna, erbe aromatiche, stelle. D’inverno, ti addormenterai circondato di luce lunare fredda, odore di lana infeltrita e letame, tè bollente e sogni caldi, quelli dove le persone hanno odore e sapore. In una parola, la vita. “

 

Paolo Rumiz, da “La leggenda dei monti naviganti”

I Giorni della Merla

 

Oggi iniziano i “Giorni della Merla”, i più freddi dell’ anno. Fino al 31 Gennaio, secondo antiche credenze popolari, le temperature raggiungono valori sottozero. E’ il picco dell’ inverno, il trionfo del gelo prima della graduale avanzata della primavera. Svariate leggende incentrate sulla figura di una merla (leggile cliccando su questo link) hanno ispirato la denominazione del 29, 30 e 31 Gennaio, date che anticamente si ritenevano cruciali per prevedere il meteo della stagione successiva: si pensava che se i Giorni della Merla fossero stati glaciali, la primavera sarebbe stata assolata e molto tiepida, e che a Giorni della Merla baciati dal sole sarebbe seguita una primavera tardiva. In attesa di accertare la veridicità di queste tradizioni, godetevi la gallery qui sotto. Ad arricchirla sono proverbi tipici di diverse regioni italiane, per rendere ancora più suggestiva la valenza assegnata agli ultimi tre giorni di Gennaio. Buona visione e buon weekend della Merla!

 

 

“Se li gljorni de la merla voli passà, pane, pulenta, porcu e focu a volontà!” (“Se i giorni della Merla vuoi ben passare, pane, polenta, maiale e fuoco del camino a volontà”)

Proverbio marchigiano

 

 

” Quando canta il merlo, siamo fuori dall’ inverno”

Proverbio bolognese

 

 

“Canta il merlo, l’ inverno è finito, ti saluto padrone, trovo un altro tetto!”

Proverbio bergamasco

 

 

” Due soldi li ho a prestito e uno lo troverò. Se bianca sei, nera ti farà, e se nera sei, bianca diventerai. ” (in riferimento alla leggenda della merla)

Proverbio bresciano

 

 

L’ idromele: il fascino nordico del “nettare degli dei”

 

Se pensate che la più antica bevanda alcolica sia il vino, forse non conoscete l’idromele. E’ un fermentato dalle origini remotissime e la sua storia è estremamente affascinante: i Celti e i popoli germanici lo consideravano sacro e lo definirono “nettare degli dei”, poichè a loro dire era un dono celeste; ma anche perchè, in effetti, al nettare era direttamente associato. L’ idromele viene ottenuto dalla fermentazione del miele, che combinato con l’acqua e con il lievito dà vita ad una bibita dal discreto tasso alcolico (oscilla tra i 6 e i 18 gradi). Il fatto che derivasse dal polline, che rimandasse alla laboriosità delle api e all’ acqua pura di sorgente lo collegava ai concetti di perenne rinascita e di trasformazione, paragonandolo a una potente linfa vitale. Non è un caso che, proprio presso gli antichi Celti ed i Germani, l’idromele fosse ritenuto la bevanda dell’ immortalità. Prima ancora che l’uomo si dedicasse alla domesticazione della vite, dunque, si diffuse l’ usanza di sorseggiare la raffinata bibita a base di miele. Il suo nome proviene dal greco “hydor”, ovvero “acqua”, e “méli”, “miele”, mentre il termine anglosassone “mead” risale all’ inglese antico “meodu”. Inizialmente, l’idromele si sorbiva soprattutto nelle corti e durante le cerimonie religiose. In particolare, è stato accertato che nel lasso di tempo compreso tra il IX e il I secolo a.C. i Druidi ne facessero uso in occasione delle ricorrenze che sancivano i cicli stagionali: Samhain (il Capodanno celtico), Yule (il Solstizio d’ Inverno), Imbolc (la nostra festa della Candelora), Ostara (l’Equinozio di Primavera), Beltane (la festa del primo maggio), Litha (il Solstizio d’Estate), Lughnasadh (il culmine dell’estate) e Mabon (l’ Equinozio di Autunno). Il consumo di idromele si integrava con i rituali effettuati durante quelle feste, giacchè il suo tasso alcolico favoriva l’alterazione degli stati di coscienza e facilitava il contatto con il divino. Per i Celti, il “nettare degli dei” possedeva un valore simbolico potentissimo. Recipienti con depositi di idromele sono stati rinvenuti nei sepolcri di svariati principi vissuti tra il VI e il IV secolo a.C.: di questa bevanda pregiata, infatti, gli aristocratici facevano scorta per portarla con sè anche nel Sidh, l’ Oltretomba celtico. 

 

 

Gli appassionati di cultura Vichinga e di mitologia norrena sapranno già che l’idromele (chiamato mjöðr nelle lande del Nord) riveste un ruolo molto importante per il mondo scandinavo precristiano. Le leggende lo fanno risalire alla capra Heidrun, che racchiudeva idromele nelle sue mammelle, e raccontano che era la bevanda più amata dal dio Odino e dagli Asi, gli dei nordici che governavano il cielo. Sempre secondo la mitologia norrena, per impossessarsi dell’ idromele Odino si tramutò di volta in volta in serpente e in aquila, mentre Thor, il dio del tuono, riuscì a impadronirsene strappandolo ai giganti. Un’ altra leggenda ancora vede protagonista il vate Kvasir. Costui, durante un viaggio intrapreso per erudire il popolo, una notte pernottò presso l’ alloggio di due fratelli nani, Fjalarr e Galarr. I nani lo uccisero, versarono il suo sangue in delle coppe e aggiunsero del miele per addolcirlo. La fermentazione prodotta da quella miscela diede vita all’ idromele, una magica bevanda che conferiva il dono della saggezza e della poesia a chiunque la assaporasse. Adesso, una piccola curiosità: sapete da cosa deriva la locuzione “luna di miele”? Secondo una tradizione medievale, ai neo-sposi si usava regalare idromele in una quantità sufficiente per un mese lunare; il calendario gregoriano fu infatti introdotto solo nel 1582. Scopo di quel dono era favorire la procreazione: la coppia, nelle prime settimane di nozze, avrebbe beneficiato della prodigiosa energia che l’ idromele infondeva. Da qui “luna”, ovvero “mese lunare”, e “miele”, come l’ ingrediente base della bevanda.

 

In questo pub svedese, a Gamla Uppsala, si può bere idromele in speciali corni potori “Vichingo style”

Le origini dell’ idromele si perdono nella notte dei tempi. Numerose testimonianze ne attestano l’esistenza già nell’ antico Egitto (circa 2000 anni a.C.), presso i Greci e presso i Romani. Persino il culto di Dioniso, antecedente all’ inizio della coltivazione della vite, veniva originariamente associato alla bevanda: il dio greco del vino e della vendemmia intreccia la sua storia mitica con quella dell’ idromele. Non a caso, si usava far fermentare il miele e l’ acqua che lo compongono in un sacco di pelle di toro, animale di sovente identificato con Dioniso. Va precisato che l’ebbrezza donata dall’ idromele era notevole;  bastava aggiungere del miele durante la fermentazione per conferire la massima gradazione alcolica alla bevanda.

 

“Cup of Honey Drink”, 1880 circa. Dipinto conservato nel Donetsk Regional Museum of Art in Ucraina

L’esistenza dell’ idromele nell’ antica Roma è attestata nei libri di Columella (dove un intero volume, il dodicesimo, è dedicato ai vari modi di preparazione del “nettare degli dei”) e di Plinio. Tuttavia, la “bevanda dell’ immortalità” non rivestì mai un’ importanza pari a quella che aveva assunto nell’ Europa del Nord: il miele era molto più costoso rispetto al vino e il cristianesimo decretò il decisivo trionfo di quest’ ultimo, che utilizzava durante la liturgia eucaristica, rispetto al “pagano” idromele. 

 

Foto n. 2 e n. 3 (dall’ alto): n. 3 via Madison Scott-Clary via Flickr, CC BY 2.0, n. 4 by Marieke Kuijjer from Leiden, The Netherlands, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons

Il Tempo

” C’era come un odore di Tempo, nell’aria della notte. Tomàs sorrise all’idea, continuando a rimuginarla. Era una strana idea. E che odore aveva il Tempo, poi? Odorava di polvere, di orologi e di gente. E che suono aveva il Tempo? Faceva un rumore di acque correnti nei recessi bui d’una grotta, di voci querule, di terra che risuonava con un tonfo cavo sui coperchi delle casse, e battere di pioggia. E, per arrivare alle estreme conseguenze: che aspetto aveva il Tempo? Era come neve che cade senza rumore in una camera buia, o come un film muto in un’antica sala cinematografica, cento miliardi di facce cadenti come palloncini di capodanno, giù, sempre più giù, nel nulla. Così il tempo odorava, questo era il rumore che faceva, era così che appariva. E quella notte – Tomàs immerse una mano nel vento fuori della vettura – quella notte tu quasi lo potevi toccare, il Tempo. “

 

Ray Bradbury, da “Cronache marziane”

La Luna Piena del Lupo, il primo plenilunio dell’ anno

 

” Luna. Astro supremo del sogno e del mistero, fiaccola destinata a illuminare le notti terrestri, ebbe sempre il fascino di attrarre gli sguardi e i pensieri. “

(Camille Flammarion)

 

Stanotte, esattamente alle 00.47, la Luna Piena del Lupo è tornata a risplendere nel cielo di Gennaio. Al primo plenilunio dell’ anno sono sempre stati assegnati nomi affascinanti: Luna Piena del Lupo è solo uno di questi, e fu scelto dai nativi americani. Durante l’ inverno, infatti, gli ululati dei lupi diventavano un “sottofondo” abituale per le tribù degli Indiani d’America. L’ etnia dei Seneca riteneva addirittura che i lupi, con i loro ululati, avessero dato origine al bagliore lunare. Altri nomi che identificano la prima luna piena di Gennaio sono Luna dei Ghiacci, Luna Fredda, Luna dello Spirito, Luna Centrale, Luna Gelata che esplode, e via dicendo: li accomuna il riferimento alla stagione del gelo e la matrice pellerossa. Un anno fa ho dedicato un articolo approfondito alla Luna Piena del Lupo, che potrete leggere qui. Oggi, nel caso vi foste persi il suggestivo spettacolo di stanotte, mi preme dirvi che avete un’ altra chance per ammirare il plenilunio. La NASA ha comunicato infatti che la prima luna piena del 2022 sarà visibile fino a mercoledì mattina: un evento assolutamente irrinunciabile, una straordinaria occasione per estasiarsi davanti al magico, ammaliante e misterioso cielo invernale.  

 

La colazione di oggi: la cioccolata calda, il “cibo degli dei”

 

E’ una delle declinazioni più golose del cioccolato, e già questo funge da garanzia: la cioccolata calda sembra creata apposta per la stagione invernale. Del cioccolato solido possiede i benefici, ma la sua consistenza liquida permette di sorbirla in tutto relax, comodamente, magari a colazione per farsi una coccola a base di dolcezza e di energia. Immaginate di gustarla davanti al camino, oppure in cucina, mentre dalle finestre penetra la luminosità della neve: sorseggiarla rimanda a sensazioni di piacere puro. I suoi ingredienti sono pochi, ma buoni. Latte, zucchero e polvere di cacao si fondono in un mix irresistibile da servire tassativamente caldo. Al momento di scegliere la polvere, puntate su quella che contiene la massima percentuale di cacao ed è scura il più possibile: corrisponde al cioccolato fondente, meno rielaborato e dunque maggiormente salutare. Come saprete, esistono svariati tipi di cioccolato. Il cioccolato fondente viene considerato il più “puro”, il cioccolato al latte è amalgamato al latte condensato mentre il cioccolato bianco, derivando da un impasto di burro di cacao e latte, è del tutto privo di polvere di cacao. Per analizzare i benefici della cioccolata calda, dobbiamo quindi riferirci alle proprietà del cioccolato fondente.

 

 

Affinchè sia sano al massimo, dovrebbe contenere almeno il 70% di cacao. Contenuto nei semi del Theobroma Cacao, una pianta originaria del Sudamerica, il cioccolato abbonda di grassi saturi e monoinsaturi (come l’acido oleico, ricco di proprietà antinfiammatorie), di minerali quali il potassio, il ferro, il magnesio e il rame. Particolarmente rilevanti sono però i polifenoli, dalle spiccate virtù antiossidanti. I flavonoidi, nello specifico, svolgono un ruolo basilare nella neutralizzazione dei radicali liberi, causa dello stress ossidativo e dell’ invecchiamento dell’ organismo. Grazie ai flavonoidi e all’ epicatechina, che mantiene le arterie coronarie ben dilatate, il cioccolato fondente si rivela un toccasana per l’ apparato cardiovascolare; a tutto ciò vanno sommati i benefici che comporta l’ abbassamento della pressione arteriosa. Un’ altra preziosa virtù del cioccolato fondente riguarda l’ ottimizzazione dei valori di colesterolo, con un calo significativo del colesterolo LDL (il cosiddetto colesterolo “cattivo”) e un incremento del colesterolo HDL (o colesterolo “buono”). L’ effetto antistress dell’ alimento più goloso di tutti è ben noto: aumentando i livelli di serotonina, l’ “ormone del buonumore”, il cioccolato agisce come un autentico antidepressivo naturale. Questo alimento, inoltre, è particolarmente efficace nel prevenire le malattie neurovegetative. L’ ossido nitrico, del quale stimola il rilascio nel sangue, contrasta infatti la formazione di beta amiloide (la proteina responsabile del morbo di Alzheimer). Le proprietà dei polifenoli sono praticamente infinite: riducono l’ avanzamento delle patologie oncologiche, incentivano la produzione di insulina combattendo il diabete di tipo 2, arricchiscono la flora intestinale di lattobacilli e bifidobatteri. Per chi fa sport, i polifenoli si rivelano preziosi nel tenere a bada i radicali liberi che si attivano con l’ allenamento, mentre gli zuccheri forniscono una bomba di energia prima, durante e dopo l’attività fisica. In più, grazie all’ elevato numero di fibre contenute nel cioccolato, l’ appetito viene tenuto costantemente sotto controllo. Il cioccolato fondente favorisce anche un minor assorbimento dei grassi e dei carboidrati. Il risultato? Al contrario di quanto si possa pensare, non fa ingrassare e contribuisce al mantenimento del peso forma. Certo, va assunto in quantità ragionevoli: considerate che 100 g di cioccolato contengono 545 calorie.

 

 

Come gustare la cioccolata calda? E’ possibile scegliere differenti tipologie di latte, ad esempio quello di soia o di riso, per ottenere una bevanda “vegana” o destinata agli intolleranti al lattosio. Oppure, si può decidere di puntare sul latte parzialmente scremato per renderla meno calorica. Ma aromatizzare la cioccolata calda è davvero il top: cannella, zenzero e peperoncino le doneranno uno squisito sapore speziato, una scorza d’arancia e lo sciroppo d’acero saranno l’ optimum per arricchirla di un delizioso profumo invernale, mentre la panna e il caramello la doteranno di un’ opulenza del tutto speciale.

 

 

Passiamo ora ad uno degli argomenti più affascinanti relativi alla cioccolata calda, la sua storia. Che è una storia remotissima: basti pensare che ha radici presso le antiche civiltà precolombiane. Gli Olmechi, un popolo che si stanziò nel Messico centrale tra il 1400 e il 1500 a.C., erano già soliti coltivare e consumare cacao in modo massiccio. Ai Maya spetta l’ ideazione della cioccolata sotto forma di bevanda: arrostivano una mistura di cacao e fagioli, la insaporivano con un po’ di pepe e aggiungevano dell’ acqua per donarle una consistenza liquida. Il preparato si chiamava “xocoatl”, e rivestiva una valenza mistica tale da essere soprannominato “il cibo degli dei”.  I Maya, d’altronde, ai chicchi di cacao attribuivano un enorme valore: venivano utilizzati persino come valuta. Nel 1517, quando il conquistatore spagnolo Hernàn Cortés approdò sulla costa messicana, iniziò ad apprendere usi e costumi dell’ Impero Azteco. Fu l’ Imperatore Montezuma a fargli assaggiare la “xocoatl” (o “chocoatl”), una bevanda deliziosa che mescolava cioccolato, spezie e vaniglia risultando soffice come il miele. Montezuma la considerava afrodisiaca e la consumava regolarmente prima degli “incontri galanti”. Con la conquista del Messico e la nomina di Cortés a governatore, quest’ ultimo inviò in Spagna cacao a profusione. Carlo V si innamorò talmente della cioccolata calda da decretarla “bevanda in” delle classi agiate; cominciò ad offrirla come dono di nozze ogni qualvolta un membro della sua casata si univa in matrimonio con un aristocratico europeo. La cioccolata calda si diffuse così in tutto il Vecchio Continente. E dato che l’ Imperatore manteneva rigorosamente segreta la ricetta della bevanda, svariate leggende cominciarono ad aleggiare sulla sua preparazione.

 

 

Nel 1563, anno in cui la capitale sabauda fu trasferita a Torino da Chambéry, il duca Emanuele Filiberto I di Savoia elesse la cioccolata calda a dessert ufficiale dei festeggiamenti. Un secolo dopo, in Inghilterra furono addirittura inaugurate delle “Chocolate House”, dove la cioccolata calda si sorbiva durante confronti e discussioni sui più disparati argomenti. Era il 1657 quando, a Londra, aprì i battenti la prima Chocolate House. Il costo della bevanda, tuttavia, era talmente elevato da destinarla unicamente all’ élite. Ai britannici va anche il merito di aver introdotto il latte al posto dell’ acqua con l’ intento di impreziosirne la ricetta. La prima cioccolata calda prodotta meccanicamente risale al 1828: nei Paesi Bassi fu lanciata un’ apposita macchinetta. Il gusto della bevanda originale, però, risultò alterato e la differenza non passò inosservata. Oggi, la cioccolata calda è diffusa in tutto il mondo, e negli Stati Uniti d’America è celebratissima: viene arricchita di innumerevoli ingredienti, ma la panna – in barba alle calorie! – rappresenta un’ aggiunta pressochè fondamentale.

Le Frasi

 

” Il cioccolato è materia viva; ha il suo linguaggio, il suo respiro, il suo battito interiore. Imparare a comprenderlo richiede tempo, sensibilità e silenzio… Perché solo quando il cioccolato si sente oggetto di intima attenzione, e solo allora, esso cessa di ammaliare la gola e si mette a dialogare con i sensi. “

(Alexander von Humboldt)

 

La casetta di un tipico mercatino natalizio. E’ interamente in legno, adornata di luci che risplendono nel buio invernale. Su un’insegna scritta a mano spicca il suo nome: “Casa Cioc Cioc”. In bella vista nello stand, una varietà incredibile di cioccolata. Bianca, al latte, fondente, gianduia, cruda, aromatizzata…le tipologie sono innumerevoli. A proposito, sapevate che esiste anche la cioccolata rosa? E che il cioccolato di Modica, in Sicilia, ha ricevuto il riconoscimento di IGP (indicazione geografica protetta) dall’ Unione Europea? Stay tuned su VALIUM, perchè la rubrica “La colazione di oggi” vi stupirà con un tripudio di news, descrizioni e curiosità sull’ alimento più goloso e soprattutto sui suoi derivati…Buon weekend a tutti.

Buti collezione AI 2021/22: la vibrante ad campaign firmata da Pier Fioraso

 

Come vogliamo la borsa ideale? Innanzitutto le chiediamo che sia bella, che ci soddisfi esteticamente. E poi la preferiamo stilosa, comoda, maneggevole. Desideriamo che sia capiente il più possibile, perchè in borsa infiliamo il nostro mondo, e al tempo stesso che sia minuta, aggraziata, mai ingombrante. Adoriamo le borse con il manico che, all’ occorrenza, possiamo indossare anche a tracolla. Se sono colorate, sfiziose ma eleganti e soprattutto sostenibili, è davvero il top. Queste riflessioni mi sono venute spontanee, mentre ammiravo le immagini della campagna pubblicitaria AI 2021/22 di Buti. La storica pelletteria fondata da Pilade Buti nel cuore della Toscana, un’ azienda a conduzione familiare, è attiva dal 1950 ma non ha mai sovvertito i propri valori: la creatività, la passione, un savoir faire artigianale di elevata qualità. Buti concepisce la borsa come uno squisito accessorio di design. La cura dedicata al prodotto è altissima, coinvolge l’ intero processo produttivo. I maestri artigiani prestano un’attenzione meticolosa ad ogni dettaglio della creazione, realizzando una borsa fatta a mano con amore e con la massima dedizione. Ciascun pezzo è unico, senza tempo, sfoggia materiali pregiati e una gamma di colori inesauribile; può essere personalizzato tramite accessori, finiture o pellami a scelta del cliente: l’ obiettivo è consegnargli una borsa che lo rispecchi, che esprima la sua personalità a 360 gradi.

 

La collezione Autunno Inverno 2021/22 del marchio include tre differenti linee. New Energy è un’ ode alla sostenibilità. Buti abbraccia una filosofia eco-friendly finalizzata ad instaurare la massima armonia tra l’azienda e l’ambiente. Fortemente radicato nel territorio e fautore di una politica aziendale che valorizzi il talento degli artigiani toscani, il brand si avvale di materiali innovativi come l’ Apple Marlene, un tessuto realizzato con gli scarti della lavorazione della mela, e il cuoio vegetale. Entrambi, a poco a poco, sono andati affermandosi al pari dei pellami signature di Buti, iconici e inalterabili nel tempo. Innovazione e tradizione si intrecciano sapientemente, apportando nuova linfa alla ricercatissima lavorazione artigianale. Flaw-Less si incentra invece sul patchwork: rombi di materie prime di scarto vengono cuciti l’uno accanto all’ altro per creare uno stile versatile e splendidamente sfaccettato. Regenerated Design, infine, mira a dare nuova vita ai tipici pellami del brand. Le materie prime si rigenerano attraverso cicli produttivi successivi e riducendo al minimo gli scarti, con la massima attenzione affinchè non si verifichi un impatto negativo sull’ ambiente. Per facilitare il processo, Buti ha progettato un nuovo design dei prodotti: il riutilizzo delle risorse primarie viene incentivato e coniugato con la qualità.

 

 

La advertising campaign della collezione è stata ideata da un nome prestigioso. I lettori di VALIUM lo ricorderanno molto bene: si tratta di Pier Fioraso (rileggi qui la sua intervista), Art-Creative Director e Consultant che vanta oltre dieci anni d’esperienza in progetti creativi e di forte impatto nei settori della moda, del lusso e del lifestyle. Pier ha sviluppato concept in collaborazione con brand del calibro di Alexander McQueen, Balenciaga, Emilio Cavallini, LuisaViaRoma, Max Mara, Missoni, Opening Ceremony e Stefanel, per citarne solo alcuni. A capo di WeAreCreative, agenzia creativa-digitale che si avvale di un vasto network di fotografi, storyteller, stylist e creativi ad ampio spettro, Fioraso elabora proposte visionarie e innovative. La campagna per la collezione Autunno Inverno 2021/22 di Buti ne è un pregnante esempio: scattata dal fotografo Raffaele Grosso, inneggia ai segni distintivi del brand. Uno su tutti? Il colore, che ritroviamo sia nelle borse che negli sfondi e nei look indossati dalle modelle. L’ azzurro, il lilla, il fucsia, il giallo, il turchese, l’ ottanio e l’arancio sono le nuance più ricorrenti, vivaci e molto potenti visivamente. L’ attitude è altrettanto strong. Descrive la disinvoltura, la spigliatezza, il brio della donna Buti, un marchio che ha oltrepassato il 70esimo anniversario. Come dire: “70 anni e non sentirli”! L’ energia e il dinamismo sono gli stessi del brand, lo stare al passo coi tempi pur mantenendo uno chic di base, uno stile fortemente caratterizzato, anche. La gioia di vivere pervade ogni scatto, ed è rigenerante in un periodo ancora rabbuiato dal Covid. Le immagini ci mostrano una donna indipentente, attiva, che predilige le mini borse ma non disdegna le shopping bag.

 

 

A unire le tre linee Autunno Inverno 2021/22 è un denominatore comune: il desiderio di esibire una borsa che esprima se stesse e la propria personalità. Se ci fate caso, in effetti, la borsa che scegliamo rivela molto di noi. Perchè ci accompagna in ogni momento, fa parte della nostra vita e del nostro quotidiano. La borsa, insomma, racconta chi siamo: un concetto che viene sottolineato tramite foto vibranti e con straordinaria efficacia dalla spumeggiante campagna pubblicitaria Buti firmata da Pier Fioraso.

 

 

CREDITS

Project:
Buti Bags | AW 2021-22 Collection
@buti_italia #ButiBags #AW21 #Digital #Campaign #Adv
Art Direction & Styling: @PierFioraso
Photographer: @Raffgrosso
Digital Operator: @Frneri_
Fashion Assistant: @JaqueVuelma @Gabri_Casari
Hair & Make-up: @Clo.fba at @RockandRoseAgency
Produced by: @WeAreCreative.Agency
Models:
@KorlanMadi at @FashionModel.it
@AmbersHall at @EuphoriaFashionAgency

 

 

Winter Forest

 

Gufi, volpi, renne, cervi, lupi, cerbiatti, scoiattoli…il bosco invernale, al contrario di quanto si pensa, è animato da una ricca fauna. Sulla neve candida risaltano i piumaggi multicolor dei più disparati volatili, le lepri trotterellano tra gli alberi scheletrici, i gatti selvatici appaiono e scompaiono ribadendo l’ enigmaticità che li contraddistingue. L’ estratto che ho pubblicato ieri su VALIUM, “Passeggiata d’ Inverno” di Henry David Thoreau, mi ha stimolato ad approfondire la meraviglia della natura nella stagione fredda. Lo faccio attraverso queste immagini, potentemente evocative: per esaltare tutto l’incanto che la fauna selvatica è in grado di sprigionare durante i mesi più gelidi dell’anno.