Jonna Jinton Sweden: incantevoli gioielli argentei che brillano nelle lande del Nord

Jonna Jinton

Sui suoi gioielli spira l’incantata aria del Nord: quella che si insinua tra i fitti boschi, increspa le superfici dei laghi, agita le fiamme dei falò. E’ un’aria impregnata di un’atmosfera fiabesca, che in Inverno, con la prima neve, si accentua mentre il buio avanza e il sole tramonta sempre più presto. Ci troviamo in Svezia, nel cuore della Scandinavia, e ad accompagnarci in questo viaggio è Jonna Jinton, artista e YouTuber originaria di Gothenburg ma trasferitasi nelle lande settentrionali del Regno quando aveva 21 anni. Lì, circondata da un paesaggio naturale mozzafiato, ha cominciato a dedicarsi all’ arte in svariate forme: fotografia, pittura, scrittura, musica, ripresa cinematografica e, non ultima, la creazione di gioielli. Ma soprattutto ha abbracciato lo stile di vita che ama di più al mondo, a contatto con la natura selvaggia e con il susseguirsi delle stagioni. Foreste popolate da una fauna che include lupi e renne, immensi laghi, la spettacolare aurora boreale, una distesa di ghiaccio che di notte “canta” emettendo particolarissimi suoni sono scenari di cui Jonna può godere semplicemente affacciandosi alle finestre della sua casa-laboratorio.

 

 

L’ avventura della gioielleria è iniziata nel 2009. Dopo aver appreso le tecniche della lavorazione dell’argento, l’artista svedese ha fondato una piccola impresa artigiana dove, in società con sua madre Anita, vendeva i monili che insieme realizzavano a mano. A uno stop di qualche anno è seguita una ripresa dell’attività. Nel 2018 Johan, il marito di Jonna, si è unito alla società ed è nato Jonna Jinton Sweden, un brand che oggi si avvale di un discreto numero di argentieri e dipendenti. I gioielli in argento di Jonna Jinton sono realizzati e prodotti a Skultuna, nella Svezia centrale; la spedizione della merce in tutto il mondo viene invece effettuata nel villaggio di Myckelgensjö. Per acquistare queste meravigliose creazioni di stampo vichingo, infatti, basta accedere al sito web di Jonna Jinton. La sezione “Jewelry” ospita la sua collezione: una serie di orecchini, anelli, collane e bracciali ispirati alla tradizione nordica e alla magia naturale e faunistica svedese, ma anche a concetti motivazionali ben precisi. Qualche esempio? La linea Wild si rifà ai palchi, le “corna” ramificate delle renne, e ne riproduce la forma forgiandola in argento, mentre la scritta “Be like the bison”, incisa su collane e braccialetti, è un invito ad affrontare le tempeste della vita come fa il bisonte, che non indietreggia mai davanti alla bufera.

 

 

All’argento vengono spesso accostate pietre come il quarzo, il cristallo austriaco, il larimar e la labradorite: secondo antiche leggende artiche, quest’ ultima deriverebbe dai fuochi dell’ aurora boreale cristallizzatisi nel ghiaccio. Il suo colore, una nuance di blu splendente, fa sì che venga definita un “frammento del cielo nordico di notte”. Il cristallo austriaco, invece, viene ribattezzato Aurora Borealis per i riflessi cangianti che ricordano le luci del suggestivo fenomeno ottico. Ma l’argento stesso rimanda al Grande Nord. E’ un colore lunare, associato alla luna, che si addice ai paesaggi innevati e alle interminabili notti dell’ Inverno scandinavo. Simbolicamente, rappresenta il viaggio che dall’ interiorità sfocia verso l’esterno; un punto di partenza necessario, perchè solo conoscendo molto bene noi stessi possiamo imparare a conoscere ciò che ci circonda. Nella stessa direzione vanno i gioielli ispirati all’ antica tradizione scandinava: amare quella terra straordinaria che è la Svezia significa conoscerne le radici, incantarsi ad ascoltare un canto millenario tramandato dal cielo eterno.

Il sito web di Jonna Jinton Swedenhttps://jonnajintonsweden.com/

Il canale You Tube di Jonna Jinton: https://www.youtube.com/c/jonnajinton

 

Wild – Orecchini

Wild – Anello

Wild – Collana

Bison – Collana

Ancient – Anello

Andromeda – Collana

Andromeda – Orecchini

Berg – Anello

Body, Mind, Soul – Orecchini

Fjall – Collana

Rimfrost – Anello

Aurora Borealis – Collana

Perfect Imperfect – Anello

Ice – Orecchini

Ice – Collana

Guardian – Anello

Origin – Bracciale

Eternity – Orecchini

Eternity – Braccialetto

Celestial – Anello

Way of the Heart – Collana

Fjall – Anello

Fjall – Collana

Rose Quartz – Collana

Destiny – Bracciale

Freyja – Bracciale

Freyja – Orecchini

New Path – Anello

 

 

Seven Magic Mountains, l’iconica opera di Land Art di Ugo Rondinone nel deserto del Nevada

 

Nel cuore del deserto del Nevada, a circa 30 minuti da Las Vegas, si innalzano pinnacoli in netto contrasto con il paesaggio circostante: sono sette, e a prima vista potrebbero sembrare totem o torri di pietra. I colori, molteplici e fluorescenti, li rendono ancora più impattanti. Ci troviamo davanti a un miraggio? Il nostro sguardo viene catturato immediatamente, la mente comincia a farsi domande. Perchè quelle sette monumentali sculture sono comparse all’ improvviso, in un luogo del tutto inaspettato, e decifrare la loro funzione è quasi imprescindibile. Ecco dunque la risposta: Seven Magic Mountains è una celebre opera di Land Art di Ugo Rondinone. L’ artista, nato in Svizzera nel 1964 e residente a New York, ha inaugurato il suo capolavoro l’ 11 Maggio del 2016 prevedendone la fruizione per due anni; in realtà, i totem variopinti e torreggianti rimarranno nel deserto per molto altro tempo ancora (forse fino al 2027). Il perchè non è difficile da intuire: l’ installazione è diventata iconica, quasi un emblema del paesaggio stesso. Il pubblico accorre a visitarla in massa, tanto più che per vederla non si paga neppure il biglietto. Ma con quale intento è nata e quale è stato il processo di lavorazione di Seven Magic Mountains? Il complesso si trova nel deserto del Mojave, precisamente nella valle di Ivanpah, e sorge su un terreno brullo circondato dalle montagne. A comporre l’ opera sono macigni calcarei sovrapposti verticalmente; si va da un minimo di tre pietre a un massimo di sei. L’ altezza delle “montagne” raggiunge i nove – dieci metri, e ciascun masso è tinto di un colore fluorescente. Osservando le sette creazioni, affiorano indizi di una sacralità primordiale: elementi del Hoodoo di matrice africana, residui totemici dei nativi americani appartenenti alla tribù degli Ojibway.

 

 

Coniugando Land Art e Pop Art, l’ opera in realtà sancisce un connubio tra natura e artificio. La sua realizzazione, che si è avvalsa del contributo di giovani land artist locali, è durata ben cinque anni. Prodotta dal Nevada Museum of Art e dall’ Art Production Fund di New York, Seven Magic Mountains si erge a pochi passi dal lago Jean Dry e fiancheggia l’ Interstate Highway 15 (che attraversa da nord a sud la California, il Nevada, l’ Arizona, lo Utah, l’ Idaho e il Montana). Rondinone ha dichiarato di essere subito rimasto colpito da quel tratto di deserto in cui regnano solo il silenzio e il sole. Ha pensato, quindi, di collocare proprio lì le sue sette montagne magiche, i sette cumuli di pietre accatastate l’una sopra l’ altra. L’ ispirazione riconduce a un tema predominante nel lavoro dell’ artista svizzero, il rapporto tra uomo e natura. Le sue sculture e i suoi dipinti rievocano spessissimo elementi cosmici e naturali: la luna, il sole, l’aria, l’universo…Natura, romanticismo ed esistenzialismo compongono per Rondinone una sorta di triade di riferimento. Da essa scaturisce il dualismo che permea l’ opera situata nel deserto. Le Seven Magic Mountains costituiscono un trait d’union che connette il naturale e l’ artificiale, la sedimentarietà e l’astrazione, la solidità e l’ equilibrio precario, il minimalismo e il romanticismo. Il misticismo, in questo mix, è presente eccome. Soprattutto nel suggerire riflessioni tra la divinità naturale e i simulacri di Las Vegas, a una manciata di chilometri dall’ installazione.

 

 

Le sette sculture, sicuramente, ispirano meditazioni. Pongono interrogativi, esortano a ragionare, a dedurre e a rinvenire collegamenti. Le loro cromie vivaci, le loro forme irregolari e massicce erompono come per magia dal suolo arido del Mojave. Immaginatele mentre si stagliano contro il suggestivo cielo del tramonto…Tra le mille luci di Las Vegas e quella landa solitaria e selvaggia, le Seven Magic Mountains si insinuano come un’ oasi di straordinaria poesia. Dal 2016 in poi, l’ installazione è stata visitata da milioni di persone. Turisti e autoctoni se ne sono innamorati al punto tale da far sì che i due anni inizialmente dedicati alla sua fruizione fossero prorogati. A causa del particolare clima del deserto, tuttavia, i totem sono stati sottoposti a frequenti restauri: i raggi del sole, le temperature – una media di 37 gradi tutto l’anno – e i persistenti venti sabbiosi rappresentano degli ineludibili fattori di danneggiamento. Le vernici utilizzate per tingere i massi, ad esempio, contengono pigmenti eco-compatibili che tendono a scolorire con il tempo. Ogni restauro è stato quindi eseguito nel massimo rispetto sia della salvaguardia ambientale che della presevazione di una delle più prestigiose opere di Land Art degli Stati Uniti da 40 anni a questa parte.

 

Omaggio ad Arthur Rackham, illustratore di fiabe ma non solo

 

“Fabula Docet”

(Esopo)

 

Le illustrazioni delle fiabe hanno un ruolo importantissimo: aggiungono pathos e coinvolgimento a un genere altamente evocativo già di per sè. Prova ne è il fatto che quasi mai, neppure dopo anni, riusciamo a dimenticare le immagini associate alle fiabe della nostra infanzia. Ricordiamo con esattezza il libro da cui erano tratte, la copertina, i disegni che accompagnavano il testo. E insieme a tutto questo, lo stile dell’ illustratore. Perchè – fateci caso – non esistono due disegnatori che abbiano un tratto simile; ognuno vanta caratteristiche del tutto proprie e inconfondibili. Partendo da un simile presupposto, viene spontaneo approfondire l’ iconografia fiabesca di un’epoca in cui l’ interesse per il racconto fantastico (sia a livello filologico che simbolico, morale e artistico) raggiunse il suo culmine: l’età vittoriana. A quei tempi, Arthur Rackham si affermò come nome di punta dell’ illustrazione. Nato nel quartiere londinese di Lambeth nel 1867, Rackham crebbe in una casa di fronte al giardino botanico creato da John Tradescant il Vecchio e il Giovane due secoli prima: uno scenario ideale per il piccolo Arthur, che eccellendo nel disegno si dilettava a riprodurre i dettagli del corpo umano e i reperti esposti al British Museum e al Museo di Storia Naturale di Londra. Nel frattempo si era iscritto alla City of London School, dove i suoi elaborati artistici gli valsero svariati premi. Ma a scuola non rimase a lungo. A 16 anni fu costretto ad abbandonarla in seguito a dei problemi di salute, e decise di imbarcarsi per l’ Australia insieme alle sue zie.  Durante il viaggio non fece altro che disegnare, adorava immortalare tutto ciò che lo colpiva della realtà circostante. Tornato a Londra, all’ età di 18 anni pensò di ripetere l’ esperienza scolastica: iniziò a frequentare la Lambeth School of Art e, parallelamente, a lavorare come addetto alle vendite. Il suo talento per il disegno, in quel periodo, gli fruttò le prime collaborazioni nel campo dell’ illustrazione. Debuttò nelle vesti di freelance, e dopo un anno fu assunto dal Westminster Budget nel doppio ruolo di giornalista e illustratore. Era il 1892. Nel 1893 uscì “To the Other Side” di Thomas Rhodes, il primo libro che conteneva le sue immagini, mentre nel 1894 i lavori di Rackham apparvero in “The Dolly Dialogues” e “The Prisoner of Zenda” di Anthony Hope.

 

 

L’ attività di Arthur Rackham si svolse sempre all’ insegna dell’ eclettismo: oltre alle fiabe, illustrò romanzi per adulti e per ragazzi. Le sue opere, citando qualche titolo esemplificativo, impreziosiscono libri come “Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll, “Canto di Natale” di Charles Dickens, “Peter Pan nei Giardini di Kensington” di James Barrie, raccolte di fiabe di Esopo, di Hans Christian Andersen e dei Fratelli Grimm, ma anche volumi immaginifici del calibro di “I viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift, “Sigfrido e il crepuscolo degli dei” di Richard Wagner, “Il re del fiume dorato” di John Ruskin, “Sogno di una notte di mezza estate” di William Shakespeare. Solo la morte, sopravvenuta nel 1939 a causa di un male incurabile, interruppe la carriera di Rackham, che venne più volte omaggiato con premi e mostre (tra i quali ricordiamo una medaglia d’oro all’ Esposizione Internazionale di Milano del 1906 e un’ esposizione al Museo del Louvre nel 1914). Lo stile del grande illustratore rimane inimitabile: l’ impronta dell’ Art Nouveau è palese, accentuata da atmosfere oniriche ad alto tasso di magnetismo. Il colore riveste una funzione predominante, evoca e suggerisce, si sfuma in magici giochi cromatici o esalta dettagli conferendo loro un impatto visivo straordinario. Scenari, cose e personaggi sono tratteggiati con linee di contorno accuratissime, la fantasia che impregna le illustrazioni stimola potentemente l’ immaginazione del lettore. Tra gli artisti che ispirarono Rackham figurano nomi quali quello di John Tenniel, Aubrey Beardsley e Albrecht Durer. Il successo ottenuto dal disegnatore fu tale da sedurre persino la Disney, che assurse il suo stile a punto di riferimento quando, nel 1937, realizzò il film d’animazione “Biancaneve e i sette nani”.

 

Mo Eid e i suoi “Pinkscape” onirici

 

A identificarlo è solo un nome monosillabico: Mo. Nessun indizio sull’ età, sul sesso, sul background professionale. Il suo volto è altrettanto misterioso. Su Instagram, si firma Mo Eid e la foto del profilo lo raffigura come un avatar dal viso viola che indossa occhiali alla John Lennon. Altre informazioni, invece, sono ben precise: Mo Eid proviene da Dubai e si definisce un designer multidisciplinare. VALIUM lo ha scoperto grazie alle sue opere di digital art. Rappresentano paesaggi onirici e altamente visionari, combinazioni di “indoor” e “outdoor” che sembrano uscite da miraggi notturni. Due elementi fanno da fil rouge: le distese acquose (il mare, il lago, il fiume, ma anche una semplice piscina) e i colori pastello, prevalentemente il rosa, che impregnano l’ immagine di un mood rarefatto. “Sogno” è la parola chiave dell’ opera di Mo. E’ proprio nel bel mezzo di un sogno che colloca le sue location digitali. Il letto, non a caso, rappresenta un ennesimo leitmotiv delle immagini dell’ artista. Appare nei posti più impensati: in cima a una piramide di scale, su una lingua di terra protesa nel mare, in aperta campagna…Ma non solo. Il confine tra “interno” ed “esterno” è del tutto sfumato, pressochè inesistente. Basti pensare che le tende di una casa si aprono, quasi a mò di sipario, su uno sfondo che ingloba il mare, enormi nuvole rosa e una cascata di glicine. Oppure che una sorta di salotto avveniristico sfoggia un prato color lavanda al posto del pavimento. Alberi in cromie surreali spuntano nelle abitazioni e tra le dune del deserto, la pedana di una piscina si affaccia su un lago selvaggio, una tipica “Red Telephone Box” britannica campeggia in una landa ammantata di neve. Questa serie di paesaggi ha un nome, “Pinkscape”. Mo spiega di averli ideati durante il lockdown, al culmine della pandemia: il suo scopo era quello di creare una realtà parallela, spazi sconfinati in cui evadere mentalmente durante la “grande chiusura”. Nei luoghi onirici che raffigura la fantasia vaga senza vincoli, abbatte qualsiasi barriera; i colori eterei e le atmosfere impalpabili evocano sensazioni di pace e di serenità. Il rosa, in particolare, rappresenta un sollievo e un’ esortazione al tempo stesso: è un invito al “think pink” che prende le distanze da tutte le ovvietà associate a questo motto.

 

 

Foto via Pexels

Il “Sogno d’amore” di Marc Chagall in mostra a Napoli

Marc Chagall, “Il gallo viola” (1966-72)
Olio, gouache e inchiostro su tela, 89,3×78,3 cm Private Collection, Swiss © Chagall® by SIAE 2019

Inaugurerà all’ indomani di San Valentino e, già nel titolo, si accinge a prolungarne la magia: “Chagall. Sogno d’amore” è la mostra che Napoli dedica a Marc Chagall. Ospitato nella suggestiva Basilica della Pietrasanta – Lapis Museum di Napoli, l’ iter espositivo ripercorre la vita, l’ opera e il grande amore dell’ artista russo per Bella Rosenfeld, che sposò nel 1915. 150 capolavori suddivisi tra dipinti, acquarelli ed incisioni tracciano questo excursus avvalendosi di testimonianze rare, pressochè sconosciute al pubblico; ad accomunarle è un universo onirico venato di stupore e meraviglia. La mostra, curata da Dolores Duràn Ucar, esplora a tutto campo l’ immaginario di Chagall: sogno e realtà si fondono in un poetico mix di fiabe, ricordi, suggestioni religiose e belliche esaltato da cromie di un’ intensità vibrante. La fantasia predomina, tratteggiando personaggi, atmosfere e ambientazioni collocati nel labile confine in cui si intrecciano utopia e mondo tangibile. Per sottolineare le sfaccettature di questo cosmo artistico, l’ esposizione si dirama in quattro sezioni che ne indagano altrettanti temi ricorrenti:  la tradizione russa che permò l’ infanzia (e non solo) del pittore, il senso di sacralità profuso nelle opere dedicate alla Bibbia, il bestiario che – nelle acqueforti delle Favole – si fa metafora dell’ umano e, ancora, l’ universo circense, avvolto da uno spiccato mood bohemienne. Ma è l’amore  il vero filo conduttore dell’arte di Marc Chagall, quell’ amore che lo legò per sempre a Bella Rosenfeld e ne fece la sua musa ispiratrice. I dipinti che la vedono protagonista, intrisi di pigmenti puri e sospesi in scenari sognanti, rappresentano l’epitome dei suoi leitmotiv stilistici.

“Chagall. Sogno d’Amore”, organizzata e prodotta dal Gruppo Arthemisia, si avvale del patrocinio del Comune di Napoli. E’ sotto l’egida dell’Arcidiocesi di Napoli e in sintonia con la sezione San Luigi della Pontificia Facoltà Teologica dell’ Italia meridionale, Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia, della Rettoria della Basilica di S.Maria Maggiore alla Pietrasanta e dell’ Associazione Pietrasanta Polo Culturale ONLUS.

La mostra è visitabile dal 15 Febbraio al 30 Giugno 2019 presso la Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta (piazzetta Pietrasanta 17-19) di Napoli

Per info: www.chagallnapoli.it

 

Marc Chagall, Gli innamorati con l’asino blu,1955 ca.
Olio su tela, 30×27 cm Private Collection, Swiss © Chagall®, by SIAE 2019

 

Marc Chagall, I fidanzati su sfondo blu, 1931-32
Olio su tela, 24×19,2 cm Private Collection, Swiss © Chagall®, by SIAE 2019

 

Photo courtesy of Gruppo Arthemisia

 

 

 

Andy Warhol: in arrivo due mostre italiane che celebrano il re della Pop Art

BOLOGNA
Andy Warhol
Marylin, 1967
Serigrafia su carta, 91,40×91,40 cm
Eugenio Falcioni
© The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts
Inc. by SIAE 2018 per A. Warhol

Il 6 Agosto scorso, Andy Warhol avrebbe compiuto 90 anni. Quasi un secolo di genialità allo stato puro, eclettismo e visionarietà. Artista chiave del XX secolo, il re della Pop Art è un’ icona indiscussa: non stupisce, dunque, che le mostre a lui dedicate si susseguano. In Italia sono in procinto di inaugurarne due, finalizzate ad approfondire la sua opera e l’humus da cui prendeva vita. A Bologna, “Warhol & Friends. New York negli Anni ’80” esordirà il 29 Settembre ed avrà come location Palazzo Albergati: focalizzata su un contesto di gran fermento creativo, l’esposizione illustrerà attraverso 150 opere il decennio più esplosivamente edonistico del secolo scorso. A far da sfondo all’ iter sarà New York, culla di un’arte sorta in un roboante mix di mondanità, eccessi e trasgressione. Tutt’ altro che frivoli ad oltranza, gli anni ’80 hanno rappresentato l’ apice di un nuovo modo di creare: dal loro clima effervescente sono scaturite contaminazioni tra musica, cinema, arte e letteratura del tutto inedite, una filosofia “di rottura” che aveva come armi il colore e la sperimentazione. Protagonisti del milieu artistico dell’ epoca erano, oltre a Warhol, Jean-Michel Basquiat (del quale ricorre il trentennale della morte), Julian Schnabel, Keith Haring, Francesco Clemente e Jeff Koons, che a Bologna saranno presenti con alcune opere. Non potevano mancare, poi, i celebri scatti con cui Edo Bertoglio, fotografo della rivista warholiana “Interview”, ha immortalato le star più acclamate degli Eighties. Due nomi su tutti? Madonna e Grace Jones.

“Warhol&Friends. New York negli anni ‘80”
Dal 29 settembre 2018 al 24 febbraio 2019
Palazzo Albergati, Bologna

 

ROMA
Andy Warhol
Liz, 1964
Serigrafia su carta, 58,7×58,7 cm
Collezione privata, Milano
© The Andy Warhol Foundation for the Visual
Arts Inc. by SIAE 2018 per A. Warhol

Dal 3 Ottobre, a Roma, prenderà invece il via “Andy Wharol”, una mostra interamente dedicata al padre della Pop Art che verrà ospitata nell’ Ala Brasini del Complesso del Vittoriano.  Curata da Matteo Bellenghi, l’ esposizione ripercorre l’iter artistico di Warhol dalle origini. Da quelle serigrafie della Campbell’s Soup, cioè, che riprodotte in serie nel 1962 diedero l’ imprinting a tutta l’ opera del Maestro. Altre memorabili serie riguardarono Marilyn, Elvis Presley, la Coca Cola, che prima l’ America e poi il mondo intero assursero a vere e proprie icone pop. Le 170 opere in mostra “racconteranno” le intuizioni di un artista che ha segnato un turning point basilare non solo nell’ espressione visiva: la musica, il cinema e la moda sono state ugualmente rivoluzionate da un’ estetica che, per la sua originalità, si differenzia da qualsiasi modello precedente.  Anche Roma si accinge quindi a celebrare l’ artista che il 12 Novembre verrà omaggiato con l’ attesissima mega-retrospettiva “Andy Warhol – From A to B and Back Again” del Whitney Museum di New York.

“ANDY WARHOL”
dal 3 ottobre 2018
Complesso del Vittoriano – Ala Brasini, Roma

La mostra è organizzata da Arthemisia in collaborazione con Eugenio Falcioni & Art Motors srl

 

BOLOGNA
Andy Warhol – Campbell’s Soup, 1965
Serigrafia e polimeri, 91×61 cm
Museu Coleção Berardo, Lisbona
© The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts Inc. by SIAE 2018 per A. Warhol

 

Photo courtesy of Arthemisia Press Office

 

 

Art Trend: quando la moda si fa doppiamente arte

Valentino

Dall’ Italian Pop Art di Giosetta Fioroni ai più disparati leit motiv che ingloba questa corrente artistica: abiti come involucri del cioccolato, loghi di fast food a sostituire quello della Maison, Biancaneve e Sponge Bob che fanno capolino dagli oufit. Ma anche grafismi ispirati alle geometrie optical di Bridget Riley, slogan, disegni che sembrano realizzati con l’aerografo, pattern rivolti al Costruttivismo russo o ai cromatismi  di Sonia Delaunay, suggestioni post-cubiste, moderniste e di matrice Art Nouveau, figure astratte o come fossero dipinte all’ acquarello: lo stile dell’ Autunno/Inverno guarda all’ Arte come fonte di ispirazione per la creazione di capi che abbinino forma e contenuti, valorizzando un connubio che quasi sempre si fa un tutt’uno. Perchè se la moda è arte, riprendendone gli assiomi sottolinea doppiamente il suo valore. Eccco alcune proposte a tema dei designer per la stagione fredda.

 

Red Valentino

 

Tsumori Chisato

 

Roland Mouret

 

Dries Van Noten

 

Manish Aurora

 

Issey Miyake

 

Fausto Puglisi

 

MSGM

 

Moschino

 

 

Il close-up della settimana

 

La Fontana di Trevi, storica location dell’ improvvisato “bagno” notturno di Silvia e Marcello (ovvero Anita Ekberg e Marcello Mastroianni) , i leggendari protagonisti de La Dolce Vita felliniana, da circa un mese ha aperto al pubblico il cantiere nel quale è in corso il suo restauro. Il ponte panoramico che permette di osservare in tempo reale il restyling a cui è soggetta la fontana, tramutatosi ormai in un centro di attrazione turistica, ha contato a tutt’ oggi su un numero di visitatori che si aggira attorno alle 250.000 presenze per una media di 1200 persone l’ora. La Fontana di Trevi, conosciuta in tutto il mondo, 23 anni dopo l’ ultimo restauro viene nuovamente sottoposta ad un “ritocco” nel look in virtù del patrocinio della Maison Fendi, costantemente attenta alla salvaguardia dei beni culturali della capitale: i lavori, che avranno presumibilmente termine nell’ autunno del 2015, includono – oltre all’ opera di restauro in sè – l’ implementazione e l’ ottimizazione dell’ impianto idrico, di illuminazione artistica, di videosorveglianza e l’ installazione di un sistema atto ad allontanare piccioni e volatili  dalla struttura della fontana,  per un investimento pari a 2, 18 milioni di euro. Attualmente, la visita al cantiere dal ponte panoramico osserva orari standard quasi da museo: dalle 9,30 fino alle 21,30, con possibilità di lancio della monetina da uno speciale e scenografico apparato allestito specificamente per l’ occasione. I dati dell’ iniziativa Restauro in Mostra sono stati resi noti dall’ Assessorato alla Cultura del Comune di Roma. Per seguire il restyling della Fontana sono state, inoltre, create soluzioni tecnologiche comprendenti un’ applicazione smartphone, appositi dispositivi Android e un sito web, www.restaurofontanaditrevi.it (o, in alternativa, www.trevifountain.it). Ma la Maison Fendi non limita il suo intervento alla “fontana de La Dolce Vita“: il progetto nel quale rientra il restauro, infatti, denominato Fendi for Fountains, è ben più vasto ed include anche il complesso delle Quattro Fontane oltre che di altre fontane storiche della Città Eterna. La Maison, infatti, fondata a Roma nel 1925, vanta un rapporto privilegiato con la capitale, un legame che affonda le sue radici nel tempo e che da sempre ha costituito una fonte inesauribile di ispirazione e di stimoli culturali. In virtù di questa speciale liason, Silvia Venturini Fendi non avrebbe potuto commentare l’atto filantropico in modo più pregnante: ” E’ nostro dovere rendere onore alla città di Roma, che ci ha dato così tanto e che fa parte del patrimonio creativo di Fendi. “

Il close-up della settimana

Dain, “If the shoe fit”

 

Si è conclusa ieri, 16 luglio, la XXVesima edizione della kermesse capitolina Altamoda Altaroma presieduta da Silvia Venturini Fendi. Una rassegna più che mai all’ insegna del connubio Arte e Moda, discipline che intersecano e fondono simili iter di ricerca creativa caratterizzando una dimensione socio-temporale, un’era. Ampio risalto è stato dedicato agli eventi espositivi dislocati tra il Museo Nazionale Etrusco, la galleria d’ Arte Contemporanea Giacomo Guidi e la location storica del Complesso Monumentale di Santo Spirito in Sassia: è proprio in quest’ ultimo edificio, maestoso e quattrocentesco, che è stata celebrata l’ opera artistica di Dain, uno dei più interessanti e talentuosi street artist della scena newyorchese. La mostra a lui dedicata, Dain Tribute to R0me Special Project, è stata allestita a cavallo tra il 13 ed il 16 luglio ed ha permesso agli avventori di ammirarne la particolarissima cifra stilistica che unisce e sovrappone espressioni artistiche quali il ritratto, il collage ed i graffiti,  primo step nell’ excursus dell’ artista americano. Figura enigmatica, di Dain si conoscono unicamente le origini calabresi ed il distretto della Grande Mela dove pare che risieda, Brooklyn. Ma le sue opere parlano in sua vece e sono disseminate, sotto forma di ritratti urbani,  sulle cassette postali, sui portoni, sui muri e sulle insegne segnaletiche dell’ intera New York. La città eterna lo ha ospitato per la prima volta, rappresentando la tappa più recente di un iter espositivo che ha toccato metropoli internazionali quali New York, Parigi, Londra e poi ancora Chicago, Montreal. Miami e Portland: un evento di rilievo tale da far sì che proprio una sua opera, If the shoe fit, fosse raffigurata sul manifesto di AltaRoma 2014. Nucleo base della produzione artistica di Dain è il “ritratto urbano”, un assemblaggio – sotto forma di collage – dei volti delle dive più iconiche della Old Hollywood e della Hollywood contemporanea, delle quali lo street artist è un appassionato cultore. E’ così che nelle sue opere si rinvengono particolari del volto dell’ una o dell’ altra star accuratamente mescolati, scomposti e ricomposti a creare un nuovo volto, nuove forme, in collages impreziositi da grafismi dai vibranti colori pop che culminano nella classica firma dell’ artista: un cerchio attorno a un occhio della diva, un monocolo versione graffiti “a tinte strong“. Un lavoro fondato sul contrasto, quello di Dain: frappone la femminilità dei ritratti all’ intervento “distruttivo” dei graffiti, che infieriscono sul ‘bello’ accentuando la frammentarietà del collage con un incisivo “segno” della contemporaneità. Le  muse di cui “ruba” i volti hanno i nomi di – solo per citarne alcuni – Audrey Hepburn, Grace Kelly, Kate Moss, Angelina Jolie e danno vita al suo personalissimo mondo creativo. La mostra romana, curata da Valentina Ciarallo, ha incluso dieci opere inedite che Dain ha creato in esclusiva per l’ evento, evidenziando il fil rouge che unisce discipline artistiche e moda attraverso i ritratti “composti” di icone del calibro di Twiggy e Sophia Loren. “E’ un mix di immagini- ha dichiarato lo street artist – Ci sono volti di grandi donne come Sophia Loren, Liz Taylor, Twiggy e nuove iconografie da scoprire.” E sebbene lo sfondo dei ritratti capitolini sia costituito da pennellate multicolor e “in libertà” dalle reminescenze graffiti, manca in queste opere la firma d’autore realizzata come un cerchio attorno all’ occhio. Un dettaglio, si presuppone, che traduce la volontà di instaurare una pregnante armonia architettonica con il Complesso monumentale di Santo Spirito in Sassia e di favorire  – attraverso modalità innovative – un dialogo il più possibile ravvicinato con un nuovo interlocutore:  la moda.