
Il 20 luglio, due giorni fa, Elio Fiorucci è stato trovato morto nella sua casa di Milano. A stroncarlo, forse un malore occorso nell’ afosa mattinata di lunedì. Se ne va così, all’ improvviso e a poco più di un mese dal suo ottantesimo compleanno, il designer che lanciò in Italia la cosiddetta “moda giovane”, tracciando una linea di demercazione che evidenziava uno stile totalmente inedito rispetto a quello di ogni precedente generazione. Ricettivo, ironico, perennemente sintonizzato sulle frequenze del cambiamento e del fermento socio-culturale, Fiorucci ha convogliato con naturalezza la propria genialità creativa nella creazione di un brand rivolto al mondo giovanile a 360°: non solo look, ma un vero e proprio lifestyle definiva la sua proposta, concretizzata in multistore – come quello, leggendario, di Galleria Passarella a Milano – che andavano oltre la concezione classica di boutique tramutandosi in luoghi di incontro all’ insegna della condivisione di un feeling e un mood aperti alle novità e avversi ad ogni convenzionale barriera. Non è un caso che oggi, a quasi mezzo secolo dall’ inaugurazione di quello stesso store e dopo un’ inevitabile serie di mutamenti associati al fluire del tempo, lo stile Fiorucci sia rimasto caratterizzato da una propria, inconfondibile impronta. “Forever young” (come cantavano anni orsono gli Alphaville). Il mio ricordo di Elio Fiorucci è paragonabile a un puzzle composto di molteplici tasselli, un mix di reminescenze e suggestioni che risale ai miei primi anni di scuola: in un caleidoscopio visivo, ecco riapparire le foto dell’ opening del Fiorucci store di New York pubblicate dai femminili patinati che “rubavo” a mia madre, con una sensualissima e grintosa Loredana Bertè nelle vesti di madrina e gli immancabili Andy Warhol e Grace Jones. Ecco avanzare, come in tanti flashback, gli indizi di una femminilità sfrontata ma giocosa, giocata su dettagli che hanno fatto storia: gli skinny jeans, i pants in vinile, le vertiginose zeppe, i body e i leggins in technicolor…Quell’ esplosione di colore che ha da sempre contraddistinto il Fiorucci style come a rimarcare un nuovo status, una nuova linea di pensiero che apriva un varco nel grigiore e nella gravosità degli anni di piombo. Tonalità che nei primissimi anni ’80 si accendono di toni fluo, declinandosi in lurex e nel plexiglas di accessori dalle linee geometriche come minibag e pochette. Glamour e twist underground si intersecano costantemente, veicolati da una comunicazione che a tutt’ oggi rimane negli annali: riaffiora subito alla mente un tripudio di pin up che, tratteggiate a aerografo, ammiccano da una serie di adesivi da collezione affiancate ai celebri angioletti. Quanti ricordi legate alle “questue”di stickers nei negozi, con le amiche degli anni teen! Quelli griffati Fiorucci erano i più ambiti: la porta della mia ex cameretta ne conserva ancora le tracce. E sebbene io non abbia potuto visitare il multistore milanese che agli inizi del Nuovo Millennio, resta ben impresso in me il mood innovativo di uno stile che, alla portata di tutti, si imbeveva di una forte esclusività: quella che fa sentire unici anche con un solo dettaglio, portatori di un’ attitude che lascia galoppare l’ estro a briglia sciolta. Sempre con sana audacia e positività. Come disse Elio Fiorucci durante un’ intervista ad Exibart, “Ognuno ha il proprio progetto. Io, ad esempio, penso di essere nato con un progetto d’ amore. Per me il piacere, la comunione con gli altri, il divertimento, la gioia e l’ ironia, è fondamentale. ” . Tutti valori che rimarranno indelebilmente associati, oltre che al suo volto sorridente, alle sue iconiche creazioni. A titolo immortale.