Tendenze AI 2017/18 – Il ritorno della Regina delle Nevi

Gilberto Calzolari

Sarà che Natale è nell’ aria, e circola già voglia di fiaba…O magari che il cappotto sfoggiato da Meghan Markle, promessa sposa di Harry di Inghilterra, ha riportato il bianco a livelli wow. Ma un dato è certo: l’ Inverno mantiene un rapporto del tutto speciale con il total white. Li accomunano le sfumature, che spaziano dal candore della neve ai bagliori argentati del ghiaccio, e una rarefatta luminosità, distribuita tra il cielo color perla e un paesaggio congelato. I look che le collezioni AI 2017/18 consacrano al bianco rispecchiano perfettamente questo mood: pizzi, dettagli in pelliccia, ruches, tessuti damascati e ricami su tulle sono i leimotiv di creazioni che potrebbero apparire in una contemporanea versione de “La regina delle nevi” di Hans Christian Andersen. Cappotto immacolato compreso.

 

Giambattista Valli

MSGM

Blumarine

Moschino

Chanel

Philosophy by Lorenzo Serafini

Roberto Cavalli

Carolina Herrera

Blugirl

Ermanno Scervino

Zimmermann

Burberry

Guy Laroche

Luisa Beccaria

Oscar de la Renta

 

Gigi Hadid per Stuart Weitzman: arrivano le “Gigi Mules”

Le attesissime “Gigi Mules” sono finalmente arrivate: la seconda collaborazione di Gigi Hadid con Stuart Weitzman combina lo stile ad alto tasso delle flats con il fascino del colore e, soprattutto, della simbologia esoterica. La top del momento ha creato delle mules a punta stretta, in pelle scamosciata e foderate in shearling, una garanzia di tepore anche nei giorni più gelidi. Il tacco, metallizzato, dona un tocco di raffinatezza extra a scarpe declinate in nuance intriganti come il  rosa chiaro, l’ indaco scuro e un grigio satinato che vira quasi al lilla. A differenziarle è esclusivamente il talismano “evil eye”, un amuleto in pelle applicato sulla tomaia a mò di mistico decoro: mentre nel modello battezzato EYELOVE appare solo sulla scarpa destra, sulle mules EYELOVEMORE si moltiplica e assume la forma di un pattern. Denominatore comune è un profuso twist magico, che l’ “evil eye” sintetizza con valenza incisiva. “L’ amuleto contro il malocchio è un simbolo potente e protegge coloro che lo indossano contro le energie negative”, commenta Gigi Hadid, che evidenzia come sia  “attraente da guardare” e susciti “emozioni di benessere e bellezza. “

 

Ma le vibrazioni positive delle “Gigi mules” non si limitano ai dettagli estetici. Fedele al suo motto “Look good, do good” Gigi Hadid sancisce infatti, attraverso le sue creazioni, la partnership con Pencils of Promise,  un’ organizzazione no profit impegnata nella costruzione di scuole e di opportunità educative per i bambini dei Paesi in via di sviluppo.

Il legame suggestivo tra l’ “evil eye” e la top viene anche sottolineato in un video, “The Season for Loving” (che potete visualizzare qui),  diretto da Cameron Duddy: con il remix della storica hit degli Zombie “Time of the Season” in sottofondo ci avventuriamo,  mules ai piedi, insieme a Gigi in un walking trip tra le vie di New York. L’ assolato labirinto urbano, l’ “occhio-amuleto”che ricorre come un emblema, le sequenze dal sapore psichedelico ci trasportano in una dimensione ammaliante e esoterica che rende la limited edition della modella per Stuart Weitzman ancora più magnetica. Le “Gigi mules” preferite da VALIUM? Le EYELOVEMORE in grigio satinato e con talismano in versione multipla, sicure candidate a must have dell’ Inverno e – perchè no? – anche della prossima Primavera.

 

 

 

Stunna Lip Paint, il nuovo “rosso universale” di Fenty Beauty

 

Dal debutto di Fenty Beauty in poi, VALIUM ha deciso di seguire fedelmente gli sviluppi della linea make up che Rihanna dedica alle donne di ogni razza e cultura. L’ ultima novità in ordine di tempo si chiama Stunna Lip Paint ed è un lipstick declinato in un rosso universale: una nuance che fa girare le teste per strada, pensata apposta per risaltare su qualsiasi tonalità di pelle. E di questo possiamo essere certi, dal momento che Rihanna l’ ha individuata in prima persona e l’ ha testata ripetutamente prima di incoronarla sfumatura perfetta! Anche il suo nome, in pratica un sinonimo di “cool”, descrive al meglio questo lipstick a lunga durata dal soffice finish matte, impalpabile ma setoso quanto basta per scongiurare le sbavature o l’ “effetto raggrinzito”. Cromia ad alto impatto e aderenza ottimale si coniugano all’ estrema precisione di tratto garantita dall’ applicatore. La texture liquida avvolge le labbra e, mixandosi ai pigmenti, le leviga e al tempo stesso le riveste di colore puro: è così che prende vita un rosso a dir poco da urlo e con formula al 100% cruelty free.

 

 

 

 

 

 

 

 

Giulia Pivetta: la moda tra fenomenologia e cultura giovanile

 

La osservi, e pensi che Giulia Pivetta sia una perfetta incarnazione del tipo di donna che più spesso descrive: l’ età è indefinibile, l’ aspetto a metà tra la donna adulta e un’ adolescente in via di sboccio, il look vagamente rétro. In realtà Giulia ha 33 anni, cinque libri e numerosi articoli già all’ attivo ed è impegnata su più fronti, ad esempio come docente alla Domus Academy di Milano. Ma quel che salta all’ attenzione è la sua ricerca, da sempre incentrata sulla moda come fenomeno sociale e sulle culture giovanili. La moda che Giulia racconta si interseca con la “strada”, con il fermento adolescenziale, con le evoluzioni del costume, e viaggia di pari passo con il mutare delle epoche e dei loro iter di stile.  Il suo studio approfondisce il punto d’ incontro tra estetica e cultura: Lolita, il dandy, il “Pink Feminism” delle Millennials sono solo alcuni dei temi inerenti al suo universo. Su tutti, risalta un’ indagine a 360° – o sarebbe meglio dire “una passione smisurata” – che ruota attorno agli anni ’60. E’ Giulia stessa a spiegarci da dove nasce, e molto altro ancora.

Cosa mi racconti di te e del tuo percorso?

Ho sempre avuto una grandissima propensione verso tutto ciò che è visivo, che riguarda l’immagine. Non so se è una questione generazionale o più personale, del modo in cui cresci…Però sono sempre stata molto attaccata alle immagini, soprattutto alle immagini degli abiti: quello che gli abiti rappresentavano per me nella mia vita, nella mia infanzia, anche in modo inconscio. Da lì mi è venuto il desiderio di fare la stilista. Questo è stato il mio primo input, per cui i miei studi dopo le superiori sono stati orientati al Fashion and Textile Design. Mi sono diplomata al NABA, ma non ho concretizzato il mio sogno perché, in quel momento, non sentivo l’ambiente canonico della moda particolarmente adatto a me. Avevo un’idea molto romantica, molto “rétro” se vuoi, della figura dello stilista, che non combaciava con la realtà dei fatti. Nel contempo mi sono avvicinata ai temi delle avanguardie storiche, delle culture, dello stile, tutto quello che lontano dalle passerelle accadeva e che alle passerelle, poi, in realtà parlava. Per cui mi sono specializzata in modo molto naturale in quello che ora è il mio mestiere: raccontare immagini e abiti che per me hanno rappresentato la felicità per tanti anni e anche tuttora. Ho iniziato a raccontare non tanto la situazione delle passerelle, ma come gli abiti e la moda fanno parte della vita quotidiana della gente, come dalle passerelle si vada a parlare di persone vere. Della moda, cioè, intesa come qualcuno che crea ma anche come qualcosa che ha a che fare con la vita delle persone. Le subculture e le avanguardie sono state un po’ un pretesto, perché non ti parlano di fashion design ma ti parlano di ragazzi. La cultura giovanile, l’adolescenza con la sua ribellione sono gli elementi fondamentali della mia ricerca.  ll mio è un cercare di raccontare con parole facili, ma non superficiali, che cos’ è la moda reale. E poi ci sono queste benedette immagini a guidarmi, questi vestiti che sono essenzialmente immagini. La scrittura per me è un veicolo, uno strumento, non il fine principale: non voglio fare la scrittrice.

 

Il titolo e il logo della copertina di “Ladies Haircult” (2016, ed. 24 Ore Cultura)

Docente, autrice, fine conoscitrice dei fenomeni di moda e di costume. Come ti sintetizzeresti in una definizione?

A volte vivo molto male, altre molto bene il fatto di non sentirmi racchiusa in una definizione. Per sintetizzare potrei dire che sono un’autrice giornalista, poi però bisognerebbe specificare “di moda e di costume”…Non amo le definizioni strette perché secondo me semplificano, e le semplificazioni banalizzano.

 

La copertina di “Dreamers & Dissenters” (2012, ed. Vololibero)

Nei tuoi libri volgi spesso lo sguardo allo stile e alla cultura pop anni ’60: cosa ti affascina di più, di quel periodo?

Sono stati un po’ il motivo scatenante che mi ha fatto aprire il vaso di Pandora: quando li ho scoperti, mi si è aperto davanti tutto un mondo. E’ facile capire cosa affascina degli anni ’60. Negli anni ‘60 c’è stata la sintesi e allo stesso tempo l’esplosione di un’estetica, di tante estetiche…Ho scritto un libro che è, appunto, una lode spassionata a questo decennio. Si intitola “Dreamers and dissenters” ed è illustrato da Matteo Guarnaccia. Nel libro prendo in analisi un’ epoca che definisco “di dissenzienti e sognatori” e racconto tutti gli stili nati allora. Ne abbiamo inseriti forse una trentina, ma ci siamo dovuti limitare! In soli dieci anni è nata una serie di input, al di là delle passerelle, su cui ci sarebbe stato da scrivere tanto altro ancora. E’ stato un decennio davvero ipercarico, con un’energia che si è concentrata come poche volte è capitato nella storia. Un fermento che ha coinvolto le gerarchie sociali, le estetiche, l’arte, la musica…

 

 

Le copertine di “Ladies’haircult” (2016) e “Barber Couture” (2014), ed. 24 Ore Cultura

La moda è, da sempre, legata a doppio filo all’ evoluzione del costume. Qual è il rapporto che le unisce e quale delle due influenza l’ altra per prima?

Diciamo che la moda non è fatta altro che di persone che guardano quello che succede, che sentono quello che sta per succedere e lo trasferiscono negli abiti. Per cui, c’è un po’ questo: la moda ruba dalla strada, dalle subculture ma anche dalle persone, prende ispirazione da quelle che sono espressioni autentiche di stile, poi le rilegge e le fa diventare una cosa poetica anche quando non c’è poesia. Ma questo è solo un aspetto. Dall’ altro lato è anche vero che lo stilista fa un lavoro di sintesi, di input, crea qualcosa di nuovo che diventa qualcos’altro e addosso alla gente diventa un’altra cosa ancora. Quindi, secondo me, è un continuo dare e ricevere tra una parte e l’altra. Anche perché il punto di contatto è rappresentato dagli stilisti, che sono uomini nel mondo…E oltretutto, sempre di più. Oggi il fashion designer lavora con un team di persone, è come se nel suo studio avesse una microcollettività, gli input vanno e vengono. E’ una cosa normalissima, un motivo di grande orgoglio per i designer di tutti i marchi più famosi: avere un team con cui lavorare attraverso uno scambio continuo.

 

La copertina di “Lolita. Icona di stile” (2016, ed. 24 Ore Cultura)

Nel 2016 hai analizzato in un libro il fenomeno di Lolita e delle “ninfette”, su Marie Claire è uscito un tuo articolo sul “Pink Feminism” delle Millennials. Come è cambiata l’affermazione del femminile, da Lolita in poi?

Sono due argomenti molto connessi, e non solo per via del rosa! L’ affermazione del femminile con Lolita si veste di un linguaggio, diciamo, “antico”, nel senso che è qualcosa che c’era già: Lolita incarna una tipologia di femminilità ancestrale, che però tramite lei inizia a parlare un linguaggio pop. Se vuoi anche grazie al film, perché nel momento in cui qualcosa di scritto prende una forma estetica e si fa immagine, diventa veicolabile a tutti. Questo è stato il grande apporto di Lolita. E poi, il nome: un nome che fosse attuale, moderno, e lo è tuttora. Un nome che fosse unico, perfetto per il momento in cui è uscito, per la persona che stava a rappresentarlo e per il tipo di femminilità che rappresentava. Da allora è cambiato il fatto che l’infanzia, o anche il lato bambino, giocoso, è diventata un valore, qualcosa da difendere e che non va buttata via insieme al primo paio di scarpe col tacco e al primo filo di rossetto. Ed è un valore che va preservato, mentre prima si lasciava alle spalle nel momento in cui si entrava nell’ età adulta.  “Pink Feminism” perché il rosa è il colore della donna, ma è anche un colore che rimanda molto all’ infanzia, quindi ha una doppia valenza. Poi ovviamente viene chiamato così anche per via del “Millennial Pink” e del successo pazzesco che ha avuto questo colore. Ma è un tipo di messaggio, quello che passano le femministe di oggi, che – e si vede anche nelle foto dell’articolo – non fa finta di essere qualcos’altro. Si rifà all’ infanzia, a uno spirito ancora molto presente in tutte le ragazze che hanno 18, 16 anni: non è che da un momento all’ altro ti dimentichi delle penne colorate che fino a due settimane prima avevi usato per scrivere nel tuo diario.

Nell’ articolo sottolinei che il “sistema lo combatti meglio se ne fai parte integrante”. Non pensi che, essendo l’arte una delle più alte forme di espressione umana, le artiste che citi operino da un punto di vista privilegiato?

Oggi tutto è molto più connesso, non esiste un milieu intellettuale che vive lontano dalle dinamiche del mondo e che quindi può permettersi certe cose perché tanto, poi, alla fine rimane immune da tutto. C’è sempre una ricerca personale, secondo me. Un percorso di indagine condotta anche sulla base della sensibilità individuale. Il sistema lo combatti meglio dal di dentro, se sei parte di esso: queste ragazze sono delle artiste, ma al tempo stesso lavorano come fotografe, registe…Fanno tante cose. Certo, si tratta   sempre di lavori che hanno una componente creativa molto alta. Ma è una scelta personale il fatto di fare un lavoro artistico a mille livelli, dove c’è una tua espressione propria o meno. E vale anche per tutte coloro che producono lavori che possono far parte del commercio, del sistema. Non noto divisioni così nette.

Dalla celebre t-shirt che recitava “We all should be feminists” ideata da M.Grazia Chiuri a molti altri esempi attuali, anche il mondo della moda è stato contagiato dalla vena femminista: tendenza o potente elemento amplificatore?

Dipende da quale espressione della moda si tratta. Parlando ad esempio di Dior, Maria Grazia Chiuri è una donna e quindi ha molto senso che voglia far arrivare a tutte, anche a livello di mainstream, quella frase.  Io non trovo che se il femminismo passa a più livelli, attraverso cioè un capo di abbigliamento, attraverso la moda, sia negativo. Gli abiti veicolano sempre dei messaggi, e piuttosto che un messaggio di distruzione preferisco che portino un messaggio di coscienza e di autocoscienza. Penso che è nella natura della moda trasmettere messaggi. Poi, che la gente sia conscia o meno del messaggio che sta portando addosso, è un altro discorso.

 

Luca Rubinacci. Foto © Mattia Balsamini tratta dal libro “Dandy. Lo stile italiano” (2017, ed. 24 Ore Cultura)

In “Dandy. Lo stile italiano”, il tuo ultimo libro, ti occupi di questa storica figura maschile e del suo universo. Qual è l’identikit di un dandy italiano del nuovo millennio?

Nel libro esistono dei caratteri che accomunano tutti, poi ovviamente ognuno li declina a proprio modo e si vede. Ognuno ha la sua identità. A livello stilistico è il fatto di conoscere quello che si indossa, cioè sapere che alla base di un abito o alla base dell’abbigliamento c’è la cultura, e soprattutto arrivare all’ abbigliamento attraverso la cultura. Che non vuol dire una mera ricerca estetica dal punto di vista delle forme, ma è tutto quel compete la cultura tessile, la cultura della manifattura, la cultura dell’artigianalità, la storia…Questo, a mio avviso, è il leitmotiv presente nell’ identikit di un dandy italiano. Poi è ovvio che se mi chiedi dei dettagli estetici tipo “ha la pochette” piuttosto che “le scarpe verdi”, fatico a dirlo. I protagonisti del mio libro sono molto diversi tra loro ed una cosa che, a mio parere, li accomuna, è quella di riuscire a amalgamare molti mondi, di non rimanere ancorati alla sartoria artigianale. Mescolare un abito fatto a mano con qualcosa, magari, di origine militare o che arriva dagli anni ’60. Secondo me è fondamentale.

 

Luigi Presicce nella copertina di “Dandy. Lo stile italiano”. Foto © Jacopo Menzani e Tommaso Majonchi.

Chi rappresenta maggiormente, oggi, la quintessenza del dandy del Bel Paese?

In realtà lo fanno tutti. Io i “miei dandy” li ho scelti proprio perché per me tutti rappresentano – per un motivo o per l’altro – quella figura, per cui non ho preferenze. Potrebbe essere Alessio Berto come Gerardo Cavaliere, i fratelli Guardì…Oppure Luigi Presicce, l’artista in copertina. Dandy lo sono un po’ tutti, li ho selezionati con cura! Ognuno di loro è esemplificativo di un carattere ben preciso.

 

Rodolfo Valentino. Foto © Ullstein Bild / Alinari

Hai qualche progetto in serbo di cui mi vorresti parlare?

Assolutamente sì: è un progetto che si sta chiudendo in questi giorni, ma fino a un nuovo ordine non posso pronunciarmi. Ti aggiornerò appena posso!

 

Sergio. Foto © Giulia Gasparini

Barnaba Fornasetti. Foto © Mattia Balsamini

Tavolo del Maestro Liverano. Foto courtesy Liverano & Liverano

 

 

Glitter People

 

” Ero sempre in imbarazzo perchè mio padre vestiva in giacca e cravatta e mia madre indossava le décolletè e un comodo maglione mentre i genitori dei miei amici erano punk o hippy. “

Shirley Manson

 

 

Photo by Artemka (Opera propria) [CC BY-SA 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)], via Wikimedia Commons

Tendenze AI 2017/18 – A fairy-tale tulle

Molly Goddard

Vaporoso, fiabesco, scenografico tulle: che sia declinato in abiti oppure in gonne, teatralmente stratificato o see-through, non perde la sua allure preziosa e dona un tocco di femminilità irresistibile. Forse perchè ricorda il tutù, la mise delle ballerine di danza classica associata a tanti sogni di bambina. E poi perchè è impalpabile, ma plastico al punto giusto per essere “scolpito” in innumevoli giochi di balze e ruches. Un tempo consacrato agli abiti da sera, il tulle si è perfettamente integrato nei look della vita quotidiana e la sua versatilità spazia da uno stile etereo a più marcati accenti rock. Le collezioni dell’ Autunno/Inverno 2017/18 lo vedono protagonista, a cominciare da Molly Goddard che ne ha fatto il materiale d’ elezione delle sue creazioni oniriche e spettacolari.

 

 

Molly Goddard

Delpozo

Luisa Beccaria

Givenchy

Dior

Gucci

MSGM

Patrizia Pepe

Philosophy by Lorenzo Serafini

Noa Raviv

Vicolo

 

 

 

Il close-up della settimana

(Photo by Patrick Demarchelier)

Era un “piccolo grande uomo”, prendendo in prestito il titolo di un film di Arthur Penn, laddove “piccolo” si riferisce unicamente alla sua statura. “Grande”, invece, è l’ aggettivo che definisce il suo talento immenso, ciclopico, che lo ha innalzato alle più alte vette del design della moda: è così che Azzedine Alaia verrà per sempre ricordato. Sono innumerevoli, le mostre fino ad oggi dedicate ai suoi abiti-scultura; il Musée d’Art Contemporain di Bordeaux, Palazzo Corsini a Firenze, il Guggenheim Museum di New York, il Musée d’Art Modern di Parigi e Galleria Borghese a Roma sono solo alcune delle prestigiose strutture che li hanno messi in esposizione. Non è un caso che la passione per la moda di Alaia sia nata e cresciuta in parallelo con quella per l’arte: classe 1940, tunisino, studia scultura all’ Accademia delle Belle Arti di Tunisi prima di trasferirsi a Parigi e dedicarsi al fashion design. E’ il 1957, e Azzedine debutta in grande stile nel team di Dior approdando in seguito da Guy Laroche e Thierry Mugler, ma alla fine degli anni ’70 corona il sogno di aprire un atelier proprio che avvia nel suo appartamento di rue de Bellechasse. Da allora, e per ben 20 anni a venire, quell’ indirizzo sarà meta di celebrities e grand dames del jet set del calibro di – per citarne solamente un paio – Greta Garbo e Marie-Hélène de Rotschild. L’ escalation di gradimento, nel 1980, è tale da spingere Alaia a lanciarsi anche nel prèt-à-porter. Il successo è immediato: agli Oscar della Moda indetti a Parigi nel 1984, il couturier viene premiato sia in qualità di “Miglior stilista” che per la “Migliore collezione” dell’ anno, e la sua fama varca i confini della Francia fino a raggiungere New York e Beverly Hills. “The King of Cling”, come viene soprannominato per gli abiti iperfascianti e seduttivi che crea, conta su una schiera di fedelissime che include, tra le altre, Madonna, Tina Turner, Naomi Campbell, Carine Roitfeld, Grace Jones (indimenticabile nel suo attillatissimo long dress rosa con cappuccio ), Shakira, Janet Jackson, Stephanie Seymour e Raquel Welch. Il prèt-à-porter si impone intanto come uno dei suoi punti di forza al pari dell’ Haute Couture: rimane celebre la collezione in cui, nell’ AI 1991/92, porta in passerella il maculato in total look ispirandosi a suggestioni street style e hip hop. Intorno alla metà degli anni ’90 Azzedine Alaia sparisce dai riflettori, ma continua a presentare le sue collezioni nel multispazio del Marais in cui ha unito boutique, showroom e atelier.  Nel 1996 partecipa alla Biennale di Firenze insieme a Julian Schnabel, realizzando uno straordinario abito che “dialoga” con le opere dell’ artista statunitense. Quattro anni dopo firma una partnership con il Gruppo Prada che acquisisce le licenze del suo marchio, ma nel 2007 ne riprende possesso concludendo un accordo con la holding svizzera Richemont. Avverso a un concetto di moda come “marketing”, Alaia si dichiara lontano dalla logica che identifica la moda con uno status symbol e che prevede collezioni a ritmo serrato. Sue priorità rimangono il design, la ricerca sull’ abito, l’ unicità dello stile. Il nuovo millennio consolida la sua carriera di couturier a pieno titolo: nel 2008 viene insignito della Légion d’Honneur dal governo francese, si susseguono le mostre a lui dedicate e le donne più famose del mondo fanno sfoggio delle sue creazioni. Tra le sue fan vanta, adesso, Michelle Obama, Marion Cotillard, Carla Bruni, Rihanna, Beyoncé, Gwyneth Paltrow, Kim Kardashian, Nicki Minaj oltre a molte, moltissime altre celebs ancora. Nel 2015 Azzedine Alaia lancia il suo primo profumo e la Galleria Borghese di Roma celebra il genio del designer tunisino tramite una mostra dal significativo titolo di Couture Sculpture. Il 18 Novembre scorso, “The King of Cling” muore a Parigi all’ età di 77 anni: la sua leggenda, ora, si accinge a tramutarsi in mito.

 

Lo sfizio

 

Il cappotto rosa? Ormai un basic del guardaroba. Anche l’ attuale stagione fredda lo vede protagonista, ma con un nuovo twist. Gucci lo inserisce ne “Il Giardino dell’ Alchimista”, la collezione che Alessandro Michele dedica all’ Autunno/Inverno 2017/18, e lo impreziosisce di dettagli ad hoc: il suo cappotto è tinto di quell’ evanescente nuance di rosa che Pantone ha battezzato “Ballet Slipper”, sagomato e sottolineato da rifiniture che ne seguono, esaltandolo, fedelmente il taglio. La allure dreamlike e iperfemminile è il suo segno distintivo, elemento chiave di uno stile intriso di potente magia alchemica. Si traduce nei grandi revers arrotondati, nella vita alta, nell’ orlo che accompagna il doppiopetto evitando di formare angolature nette. Ma soprattutto, risalta in una bordatura nera rivestita di strass che traccia arabeschi sul cappotto e ne definisce le forme:  a mò di scintillante guarnizione rimarca i contorni, evidenzia la vita, scolpisce il giro spalla, profila le due tasche applicate, descrive riccioli sui polsi e sui revers. Completano il look accessori che ne accentuano la preziosità eterea. Accenti di femminilità vengono ribaditi dai guanti in tulle e dalle décolletè con cinturino declinate in satin rosa, mentre il giardino evocato dalla collezione fa capolino nelle calze su cui si inerpica un ricamo di fiori. A far da copricapo, una cloche che richiama la bordatura del cappotto in un dettaglio tempestato di strass. Il mood è onirico, vagamente rétro, lo stile denso di accenni al déco. Si potrebbe concludere scrivendo che, se l’ elisir di lunga vita era al centro delle ricerche degli alchimisti, Alessandro Michele è in grado di attraversare le epoche delineando i caratteri di un’ estetica immortale.

 

Snowball, la Holiday Collection di MAC: tutta la magia dei fiocchi di neve

 

Scintillante come la luci natalizie, abbagliante come un vortice di fiocchi che si posano su un paesaggio innevato: MAC lancia la sua Holiday Collection e la battezza Snowball, “palla di neve”, un nome che sembra uscito da una fiaba. La palette cromatica in cui predominano l’oro, l’argento, il bronzo e il rosa ne accentua l’ incanto e la arricchisce di bagliori che i pack dorati elevano all’ ennesima potenza. A fare da leimotiv all’ intera collezione sono i fiocchi di neve, che fungono da preziosi decori: li ritroviamo in rilievo sui prodotti o declinati nello stilizzato pattern che contraddistingue le confezioni, ma il loro luccichio si tramuta ben presto in un mood perfettamente in tono con la magia del Natale. Oltre ai cosmetici della linea, Snowball include tutta una serie di kit dedicati alle Christmas Holidays, da regalarsi o da regalare. Io mi concentrerò sulla collezione vera e propria.

 

 

Si inizia con la Snowball Face Powder MAC, una polvere illuminante per il viso disponibile in due varianti (Here Comes Joy e Happy Go Dazzingly) che impreziosiscono di sfumature pesca e brillantezza pura un sottotono oro.

Di seguito troviamo gli Extra Dimension Eye Shadow, 5 ombretti monocolor e sfolgoranti che coniugano il finish metal ad una formula cremosa. Le nuance che li caratterizzano evocano tutto il magico fascino di una Regina delle Nevi: Frostwinked è un bianco dai perlacei riflessi argento, Stilishly Merry un oro “anticato”, Delicate Drift un rosa chiaro ricco di bagliori, It’s Snowing un rosa luccicoso che vira leggermente al viola e Starry Starry Night un nero cosparso di glitter argentati. Per esaltare ulteriormente lo sguardo, la collezione Snowball include inoltre ciglia finte nei toni dell’ oro e dell’ argento decisamente a effetto “wow!”.

 

 

Accanto agli ombretti, MAC propone sei rossetti dalle incantevoli sfumature festive: gli Snowball Lipstick sono Holiday Crush, un rosa oro profuso di glitter, Rouge en Snow, un rosso mela dal finish matte, I’m Glistening, un rosa chiaro con glitter viola, Elle Belle, un rosso intenso, Shimmer & Spice, un rosa polvere brillante, e Warm Ice, un nude acceso da glitter argento.

 

 

Ma alle confezioni singole, la linea affianca stilosissime palette. E’ il caso dei kit occhi  Snowball Eye Compact, declinati in versione Rose Gold Compact (con pack metallico argentato) e Gold Compact (con pack metallico laminato oro). Rose Gold Compact alterna nuance rosate e neutre ad un magnetico color rame,  mentre Gold Compact è giocato sui toni del carbone e su sfumature champagne sfavillanti.

Tra i must natalizi racchiusi in delizosi kit, non possono mancare gli astucci che contengono tre minijar di pigmenti e glitter. Snowball Pigment & Glitter Kit è disponibile in due opzioni colore:  GOLD privilegia nuance dorate e vanigliate, affiancando i due pigmenti Vanilla e English Gilt a glitter Gold all’ insegna dell’ oro puro. PINK è un’ ode al rosa che abbina i due pigmenti MAC Copper Sparkle e Whisper Pink a glitter tinti di un rosa vivace.

 

 

E non finisce qui. Per chi adora lo scintillio dei cristalli, la linea Snowball propone un adornment kit che mixa glitter, strass e fiocchi di neve dando vita ad un insieme di decori gioiello da applicare su viso e corpo. Ma attenzione: se foste interessate, sappiate che nel website italiano di MAC sono già sold out!

 

Tendenze AI 2017/18: the Tartan in red

Dsquared2

E’ un pattern senza tempo: il leggendario check scozzese che ritorna, puntuale, a far parte del nostro guardaroba dell’ Autunno/Inverno. Quello nei toni del rosso è forse il più mondialmente conosciuto, il più iconico. E’ così che il tartan riappare, in declinazioni inedite che  spaziano dal punk al glamour-grunge, in alcune delle collezioni più cool di stagione.

 

Fay

Junya Watanabe

Teresa Helbig

Burberry

Balmain

Marcelo Burlon County of Milan

Etro

Desigual