Sulle tracce del Principe Maurice: nell’ era del Coronavirus

Evento “Eros & Thanatos” a Palazzo Labia, Venezia: il Principe Maurice interpreta la Marchesa Casati e una miriade di ulteriori personaggi in un accavallamento esilarante di personalità che “litigano” tra di loro

Pensare al Principe Maurice è evocare la magia del Teatro Notturno, il magnetismo di incredibili performance, la gioia sfrenata della festa. Però, da circa un mese, qui ogni festa si è interrotta. Sull’ Italia è piombato il silenzio, un silenzio intriso di paura e di cupezza: il lockdown per arginare il contagio da Coronavirus ha stravolto i connotati delle nostre esistenze. E barricati nelle case, bloccati in città blindate per motivi di salute pubblica, abbiamo salutato anche l’arrivo della Primavera. Il Principe, com’è ovvio, non è sfuggito alla regola. Mi sono messa sulle sue tracce via telefono e l’ho trovato in quel di Milano, deciso a trascorrere diligentemente il periodo contraddistinto dall’ hashtag #iorestoacasa: ancora attonito per l’ emergenza che ci è piovuta addosso, affronta la vita indoor con spirito propositivo e in buona compagnia (sarà lui stesso a rivelarvi con chi sta condividendo la “clausura”, non voglio rovinare la sorpresa!) . “Questa casa, per me, è un Paese dei Balocchi! Me la sto passando meravigliosamente. Abbiamo tirato fuori vecchie cose, vecchi costumi…stiamo creando il mio nuovo look”, mi dice entusiasta. Pensa già al futuro, a quando l’incubo sarà finito, e la sua energia mi galvanizza. Maurice approfitta della pausa generale per lasciare la creatività a briglia sciolta: lo immagino muoversi in quella Wunderkammer milanese come un pesce nell’acqua, tingendo la quotidianità di colori scintillanti. D’altronde, non potrebbe essere altrimenti. La fantasia è la sua più grande alleata, gli permette di tramutare ogni esperienza in una nuova avventura. Vi invito a leggere l’ intervista che segue, perchè è un autentico tripudio di racconti, consigli, considerazioni e reminiscenze: il Principe Maurice vi stupirà ancora una volta, regalandovi il perfetto antidoto contro la monotonia di queste giornate di semi-reclusione.

Nessuno di noi, credo, avrebbe immaginato che la diffusione del Coronavirus potesse avere un impatto così devastante sulle nostre vite: tra l’era del Coronavirus e quella pre-Coronavirus esiste un abisso. Per cominciare, vorrei innanzitutto chiederti come stai vivendo tu, icona della notte per eccellenza, un periodo in cui gli eventi sono stati accantonati in tutta fretta e annoverati tra i veicoli di maggior contagio.

Lo sto vivendo con grande senso di consapevolezza e di responsabilità. All’ inizio, sinceramente, avevo minimizzato pensando che fosse tutto un po’ esagerato. Ma alla luce dello sviluppo della pandemia, degli effetti, della facilità di contagio eccetera, mi sono immediatamente reso conto che bisognava stare veramente accorti, attenti per se stessi e per gli altri. Quindi, sto vivendo questo periodo in accordo con le indicazioni del Governo. Devo dire che, effettivamente, sarebbe rischiosissimo frequentare dei luoghi affollati, concordo in pieno sulla decisione di chiudere i locali. Naturalmente mi sono saltate parecchie date, alcune molto importanti, però sono state rimandate. In ogni caso credo che si debba mantenere un atteggiamento di speranza, di positività, osservare la dovuta cautela per non ammalarsi ed essere pronti alla rinascita, che sarà sicuramente meravigliosa. E poi ho capito da contatti, telefonate, videochiamate e così via, che questo isolamento si sta rivelando un po’ una scrematura: ha risvegliato il senso di umanità e di solidarietà tra gli amici veri. E’ qualcosa che mi piace molto, perché nel calderone dei social non si riusciva a capire chi veramente tiene a te, chi è davvero un amico oppure ti segue per curiosità e basta.

 

Cin cin nel backstage del Gala Ufficiale del Carnevale di Venezia a Ca’ Vendramin Calergi: oggi, potrebbe essere un brindisi di buon auspicio per una rapida fine dell’ emergenza Coronavirus

Avventuriamoci nell’ era pre-Coronavirus del Principe Maurice. Recentemente l’hanno contraddistinta due performance al top, seppur molto diverse tra loro. Comincio con la prima in ordine cronologico: “The Heroes of Piramide”, l’omaggio che hai tributato alla techno insieme ai dj Cirillo, Ricci Jr.e Saccoman. Quali ricordi conservi di quella serata bomba all’ Aera Club & Place di Fabriano?

Riflettendo sul pre e sul post Coronavirus, devo dire che quel ricordo è vivissimo e consolatorio. E’ stata una serata veramente entusiasmante, pregna, ricca, c’era gente meravigliosa di tutte le età (un dettaglio che mi aveva colpito anche la prima volta che sono venuto all’ Aera Club di Fabriano) e tutto ciò è bellissimo. La musica è un linguaggio universale. Qualsiasi tipo di musica, se trova gruppi di persone che la gradiscono, le fa stare davvero bene insieme. Io in questo periodo ascolto più che altro musica classica, ma eventi come “The Heroes of Piramide” mi riportano agli antichi fasti degli anni ‘90 e mi rincuorano molto. Quella serata è stata meravigliosamente organizzata, siamo stati ospitati con tutti gli onori…Si respirava un mood davvero bello, gioviale e spensierato. Chi avrebbe mai immaginato che di lì a pochi giorni ci saremmo trovati in questa situazione? E’ incredibile. I ricordi che conservo mi riportano quindi ad uno degli ultimi momenti vissuti in libertà e in totale divertimento.

 

Il flyer della serata “The Heroes of Piramide” all’ Aera Club and Place di Fabriano

Il 19 Febbraio, invece, nella meravigliosa cornice di Palazzo Labia hai dato vita ad uno dei più applauditi eventi del Carnevale di Venezia: “Eros & Thanatos”, un atto unico in parole e musica dove hai raccontato la follia d’amore interpretando alcuni personaggi-emblemi. Ad accompagnare i tuoi monologhi c’erano Raffaello Bellavista al pianoforte (un nome già noto ai lettori di VALIUM), Matteo Marabini alla marimba e Serena Gentilini, modella oltre che promessa del canto. La tua esibizione, corroborata dai giovani talenti che ti affiancavano, è stata celebratissima. Che cosa ci racconti al riguardo?

E’ stato un gran successo sia dal punto di vista artistico che dal punto di vista, chiamiamolo così, istituzionale. Per me è stata un’immensa soddisfazione riuscire a riunire sotto la stessa egida due realtà importanti per la città come Vela (la società che organizza il Carnevale e tutti i grandi eventi per il Comune di Venezia) e la RAI. Questi due enti già collaboravano, ma in sordina. Ti racconto il modo in cui è nato questo spettacolo. Eravamo ancora in fase organizzativa e il direttore artistico Massimo Checchetto mi ha chiesto di organizzare qualcosa per il Carnevale culturale. Il Carnevale di Venezia, come vi avevo già spiegato, vive su due binari: uno più popolare, con tutti gli eventi di Piazza San Marco e quelli sì esclusivi, ma un po’ commerciali del Carnevale ufficiale, ed uno più raffinato, legato ai Musei e alle location alternative. Il direttore, quindi, voleva che io ideassi una performance per il Carnevale culturale a dimostrazione che faccio anche altro, rispetto al genere di spettacoli per cui sono conosciuto. E’ stato un bellissimo stimolo, un bel riconoscimento. Quasi contemporaneamente, siccome avevo già organizzato eventi ufficiali per la RAI e per l’ANICA durante la Mostra del Cinema di Venezia, il direttore di RAI Veneto Giovanni De Luca mi ha messo a disposizione la sede di Palazzo Labia. Non avrei mai pensato di esibirmi lì, è una location a dir poco meravigliosa! Ho fatto quindi 2 + 2 ed ho intuito che da parte di Vela e della RAI c’era la volontà reciproca di collaborare. Sai, è come quando due innamorati non si dichiarano: io ho fatto da “ruffiano” (nel senso positivo del termine!) e li ho fatti sposare. Per cui “Eros & Thanatos” è stato l’unico evento che ha avuto sia il marchio ufficiale del Carnevale che quello di RAI Veneto. Lo spettacolo è stato veramente un exploit culturale e ha sancito la collaborazione di due realtà fondamentali per la città. Penso che la sede della RAI di Venezia sia la più bella sede operativa televisiva del mondo! Il fatto di potermi esibire nel pazzesco salone affrescato dal Tiepolo mi ha dato lo spunto del tema, perché io non avevo ancora deciso cosa fare. Poi, grazie a quella serie di affreschi, ho riflettuto su Cleopatra e sul mistero della sua morte: si era suicidata per motivi politici o per amore, visto che poco tempo prima si era tolto la vita Marco Antonio? Ho cercato di dare una risposta, giacchè sostanzialmente il mio “Eros & Thanatos” era basato sulla follia del suicidio legato alla delusione amorosa. Quindi, in maniera a volte meno drammatica e più grottesca, ho spiegato come la follia d’ amore possa portare anche a questo, oppure, soprattutto oggi, al femminicidio o alla violenza che scaturisce da un amore morboso. Ho sviluppato lo spunto tra il serio e il faceto, con intermezzi musicali ad hoc. Ma mentre la parte musicale era stata studiata, provata, ed era perfettamente sincronizzata nei suoi tempi, la mia esibizione è stata totalmente improvvisata. Tant’è che nel backstage avevo il supporto del mio assistente storico Sascha Sgualdini!

 

Con il fido assistente personale Sascha Sgualdini

Mi sono organizzato così: dietro le quinte ho preso tutti i costumi dei personaggi che pensavo di impersonare, maschili e femminili, li ho messi su un grande tavolo antico e mentre i ragazzi suonavano io decidevo chi interpretare. La “sigla” di apertura dello spettacolo, dopo la presentazione del Direttore di Rai Veneto in persona, è stata la proiezione sulle pareti affrescate della mia video performance dedicata a Lindsay Kemp nei panni della regina Didone, che sembrava un ectoplasma trasudato dal muro… impressionante anche per me vedere questo estratto dal mio “Principe Maurice #Tribute” di Daniele Sartori utilizzato in questo modo suggestivo… Improvvisare è qualcosa che adoro! Quel pomeriggio, ho deciso su due piedi anche in base a ciò che mi ispirava la musica. Ho iniziato con Cleopatra che poi è diventata la Marchesa Casati, dopodichè ho interpretato Casanova, Orfeo e persino me stesso. In fin dei conti, ho sperimentato anch’io un sentimento congiunto di amore e morte a causa della scomparsa del mio compagno. E’ stato veramente straordinario, un esperienza che non dimenticherò mai! Siamo andati in overbooking nel giro di due giorni, per fortuna la RAI ha acconsentito ad aggiungere 20 posti. La gente è venuta in grande spolvero, intuendo l’importanza dell’evento. Alcuni indossavano maschere spettacolari, c’erano persone elegantissime e le autorità. E’ stato tutto molto emozionante. Tra l’altro, Raffaello Bellavista ha avuto l’onore di suonare uno Steinway & Sons grancoda della RAI che è stato trasferito appositamente nel salone del Tiepolo. Per quanto mi riguarda, non avevo altro canovaccio se non il tema: ho oltrepassato addirittura il concetto di Commedia dell’Arte dedicandomi all’ improvvisazione totale! Ma è talmente nelle mie corde che mi è venuto naturale, ed è arrivato in maniera molto naturale anche al pubblico. La gente si è lasciata ammaliare.  Sono venuti a vederci da tutta Europa, per cui ho recitato in italiano, in inglese e in francese. Insomma, è stato veramente bello, bello, bello! (Clicca qui per guardare il servizio che ha dedicato all’ evento RAI Veneto). Credo che questo spettacolo entrerà a far parte delle mie pietre miliari, perché nella sua raffinatezza e nella sua particolarità è sicuramente uno dei gioielli più preziosi della mia carriera. C’ era un po’ tutto quel che provoca l’amore: momenti di grande gioia, disperazione, romanticismo, cinismo…Mancava solo la passione sessuale, che non si poteva espletare in quel frangente! (ride,ndr)

 

Il Principe nei panni di Orfeo, con tanto di lira: la location è quella della cappella privata di Palazzo Labia

Uno scatto tratto da “Eros & Thanatos”

Qual è l’aspetto che ti ha emozionato di più, di “Eros & Thanatos”?

Diciamo che mentre recitavo, e ho citato appunto anche “Didone abbandonata”, l’aspetto che mi ha più emozionato è stato quello dell’abbandono. Il dramma dell’abbandono può essere di due tipi: l’abbandono di un partner che ti lascia oppure l’abbandono voluto dal destino, che ti porta via con la morte. Ecco, il senso dell’abbandono l’ho sentito molto forte, anche perché, come ripeto sempre, molti anni fa io sono stato “abbandonato” da mio fratello gemello. Poter esprimere artisticamente l’abbandono mi ha aiutato una volta di più ad esorcizzarlo. Secondo me è l’aspetto più triste delle relazioni amorose, se vogliamo è anche una morte: la morte di un sentimento nel quale tu credevi. Ai suoi antipodi c’è l’eros, che è l’inizio di tutto. Il primo intrigo non è mai intellettuale, è quello scambio malizioso di sguardi dalla forte valenza erotica: parte tutto da lì. Quindi, sia Thanatos che Eros sono importanti. Io ho vissuto entrambi in maniera molto forte.

 

Il salone da ballo di Palazzo Labia: un dettaglio del meraviglioso ciclo di affreschi del Tiepolo

In adorazione davanti a Mina: ma è veramente lei? Il pubblico di “Eros & Thanatos” per un momento ha dubitato, quando ha adocchiato il geniale travestimento di Alessio Aldini ( l’hairstylist veneziano delle star)

Il forfait di Michele Soglia (del Duo Bellavista Soglia) ha fatto sì che alla tua performance prendessero parte due nomi nuovi come quelli del Maestro Marabini e di Serena Gentilini. Che feeling si è instaurato tra di voi?

Questo forfait è stato dovuto a un cambio di data. Originariamente, lo spettacolo era fissato per il 14 febbraio. Poi, però, sono stato ingaggiato per condurre uno straordinario San Valentino in Piazza San Marco con Federica Cacciola e Tommy Vee, per cui abbiamo dovuto posticiparlo al 19. Il Maestro Soglia, purtroppo, non ha potuto dare la sua disponibilità per quella data. Mi è dispiaciuto moltissimo, perché ho molta stima e molto affetto per lui, ma abbiamo dovuto fare di necessità virtù. L’ha sostituito quindi il giovanissimo Matteo Marabini, che è davvero molto bravo. I Maestri Bellavista e Marabini si sono attenuti al repertorio prestabilito e ci sono riusciti splendidamente. La presenza di Serena Gentilini – una ragazza stupenda, potrebbe essere già una top model – è stata una sorta di ciliegina sulla torta. Ha una voce soave, ma anche intensa, per cui ho proposto che cantasse “Lascia ch’ io pianga” dal “Rinaldo” di Handel: ne è scaturito un gran finale memorabile! Io questi giovani li amo tantissimo, sono seri nel prepararsi, passionali nell’ interpretare, profondi e desiderosi di esprimersi. Sono entusiasta! Troveremo il modo di replicare l’evento nella stessa formula e in location piccole, preziose, già suggestive di per sé, in modo da non aver bisogno di scenografie.

 

Raffaello Bellavista e Matteo Marabini durante l’ evento “Eros & Thanatos”

Serena Gentilini mentre si esibisce in “Lascia ch’io pianga”

Prima dello stop dovuto al Coronavirus, il Carnevale di Venezia era esploso in tutto il suo fulgore. Quali flash ti porti dentro, di questa edizione “incompiuta”?

I flash sono due. Il primo, la bellezza e il successo del Gala Ufficiale a Palazzo Ca’ Vendramin Calergi. Il direttore artistico Massimo Checchetto ha puntato su un tema – “Nurture Love, Feed the Folly” – che ha trasformato il Palazzo in un autentico giardino delle delizie, dove la natura nutre l’amore e porta a un’estasi giocosa, quasi dionisiaca. La scenografia era straordinaria: un letto d’erba con un baldacchino di fiori era l’elemento predominante, tutto era improntato sulla presenza di creature fantastiche. C’erano farfalle, uccelli del paradiso…Due personaggi, come dei grandi pupazzi fatti d’erba, sembravano cespugli che si animavano e volevano far festa con noi. Tanto per citarti solo qualcosa di quello scenario a dir poco fiabesco! Mi è rimasta impressa la band di NuArt che accompagnava l’evento, la cantante Giorgia Papasidero ha una voce pazzesca e una presenza scenica notevole, e poi il format senza soluzione di continuità con la cena. L’ aperitivo veniva accompagnato da un live musicale, io cantavo l’ultima canzone e invitavo a cena gli ospiti; durante la cena, quelle creature fantastiche si esibivano tra i tavoli cantando e giocando in mezzo alla gente. Due altri due miei ricordi sono legati alla domenica finale, quando a mezzanotte il Carnevale è stato sospeso. Quella sera a Palazzo Vendramin Calergi c’era molta gente, abbiamo fatto il countdown di mezzanotte come a Capodanno prima di salutarci e di darci appuntamento al prossimo Carnevale. Noi siamo riusciti a far star bene la gente comunque: tutti sono andati via felici, consapevoli che quella serata sarebbe stata un ricordo a cui aggrapparsi per sorridere in momenti come questi.

 

Il Principe Maurice al Gala “Nurture Love, Feed the Folly” al Casino di Venezia

La scenografia fiabesca del Gala

Sempre al Gala, con la cantante Giorgia Papasidero

Si pensava di chiudere già dal sabato grasso, ma c’era un evento troppo importante per essere disdetto: il Volo dell’Aquila con il campione Kristian Ghedina, una performance legata alla promozione dei giochi olimpici invernali. Per il pomeriggio, invece, ho chiesto e ottenuto che si chiudesse con l’evento a mio avviso più importante del Carnevale di Venezia, l’elezione della Maschera più Bella. E’ stato molto emozionante, la piazza era pienissima perché si sapeva che il Carnevale sarebbe finito lì. Io ho cantato “Heroes” dedicandola al pubblico e a tutti noi, eroici nel portare avanti lo spettacolo fino a quel momento. Ho voluto concludere con il concorso della Maschera più Bella per ringraziare tutte quelle persone che mettono una passione e una creatività incredibili nel creare i loro costumi. Il Carnevale di Venezia è un Carnevale ad personam, ogni persona è l’elemento fondamentale di una kermesse di un’eleganza e una bellezza uniche al mondo. Le maschere, quest’ anno, erano stupende come non mai: io adoro dar spazio al talento, all’ immaginazione di chi si impegna con tanta passione. Ognuno vuole avere il suo momento di gloria! Non è un caso che mi sia vestito da Andy Warhol per condurre il concorso, come per dire che tutti devono avere i loro 15 minuti di celebrità. Ho sublimato questo mood in maniera un po’ pop ed è piaciuto tantissimo! C’è un terzo flash, poi, che vorrei segnalare: Carnevale è cominciato sabato 15 Febbraio, ma siccome il giorno prima era San Valentino, Vela ha deciso di mettere in pre-apertura un evento speciale dedicato agli innamorati. E’ stato divertentissimo…Io ero un po’ il disturbatore, mentre i due conduttori “seri” – molto professionali, seppure ironici – erano Federica Cacciola e Tommy Vee. L’ elemento folle, invece, era rappresentato dal sottoscritto. Ho esordito interpretando San Valentino (ride), ma in maniera simpatica, poi ho impersonato Casanova e davo lezioni di bacio avvalendomi di due enormi lingue di gommapiuma. Infine sono diventato il Professor Agosti, “esperto in ormoni elettivi legati al concetto scientifico di amor”. Intervistavo il pubblico con il microfono, si sono venute a creare situazioni simpaticissime…Lo spettacolo è stato animato da tutte le migliori scuole di danza della città metropolitana di Venezia. Devo dire che quei giovani ballerini e ballerine erano bravissimi, spaziavano dalla danza classica a quella latino americana, è stato davvero molto bello. Anche la danza, così come la musica e l’arte in generale, unisce le persone: soprattutto un tipo di danza come il tango, che favorisce l’incontro fisico.

 

Maurice interpreta San Valentino al “San Valentino Night Ball” del Carnevale di Venezia

Gioioso e giocoso in piazza San Marco

Per le nuove generazioni italiane, diciamo dai Millennials in poi, il decreto “Io resto a casa” si associa a un’esperienza del tutto nuova: come affrontarla al meglio, secondo il Principe?

Io, in realtà, ho notato qualcosa di molto particolare. Cioè: visto che i giovani sono già abbastanza abituati a stare isolati a causa dei social, queste restrizioni li hanno portati, forse per ribellione e in maniera sconsiderata, a volersi incontrare davvero. Quindi si verificano episodi in cui dei gruppi di adolescenti fanno comunella nei parchi, oppure altrove, come se nulla fosse. E’ una cosa bellissima, ma si potrà fare dopo! Non ora. Per cui, sicuramente questa è un’esperienza nuova. Adesso che sarebbero obbligati a non ritrovarsi tra loro, a restare a casa, pare che i giovani vogliano fare il contrario. Allora il mio messaggio è: state vivendo in modo sbagliato le misure precauzionali contro la diffusione del Coronavirus. Adottate un atteggiamento di responsabilità per il vostro bene e per il bene comune, implementate gli incontri via social – tanto, ormai, la tecnologia consente di fare videochiamate e così via. Bisogna che prendiate coscienza della gravità della situazione e che vi preserviate dall’ ammalarvi, perché siete la nostra speranza. Adesso dovete farvi compagnia da lontano e rispettare le regole, che sono per tutti e soprattutto per voi. E’ anche vero che non si può rimanere attaccati 24 ore su 24 allo smartphone, quindi vi suggerisco di ricominciare a leggere, se avete delle passioni iniziate a coltivarle…Una cosa che manca a me in questo momento e dove mi trovo ora, ad esempio, è il pianoforte. Però ascolto tanta musica, cicinfischio anch’io sui social…Insomma, me la cavo. Poi, con la mia mitica grande amica costumista Flavia Cavalcanti, sono in ottima compagnia!

 

A Palazzo Papadopoli (ora Aman Hotel), sul Canal Grande, durante un ricevimento privato super esclusivo

Con le 12 Marie del Carnevale di Venezia 2020 e l’ organizzatrice Maria Grazia Bortolato

Che scenario auspichi, da qui a qualche mese? Pensi che la quotidianità torni a impregnarsi di musica, aggregazione, voglia di condividere?

Sì. Lo spero, più che altro. Il periodo è lungo, c’è il rischio che la depressione prenda il sopravvento, che si vada in paranoia…Ma spero che si trovi tutti la forza di resistere e, per chi ha resistito, la voglia di ritrovarsi con gioia poi sarà tanta. Magari con qualche incertezza, con qualche paura, ormai entrate per sempre nel nostro spirito perché questa è un’esperienza scioccante per tutti…Penso che una cicatrice rimarrà, ma non sarà una cicatrice brutta e ci ricorderà quanto è importante volersi bene subito e non rimandare l’espressione dei sentimenti. Bisogna fare una cernita tra chi ti avvicina con superficialità e per opportunismo e chi invece, da vicino o da lontano, ti manda della bella energia pur non conoscendoti bene. In una situazione come questa, si verifica una selezione naturale dei sentimenti veri.

 

Il Direttore Artistico Massimo Checchetto insieme al Principe al Gran Teatro La Fenice

Natura morta carnascialesca nella magione veneziana del Principe Maurice

Cosa può insegnare la “reclusione” a cui ci costringe il Coronavirus?

A riflettere, a meditare, a implementare le proprie passioni…Se non sai cosa fare, vuol dire che devi trovare qualcosa dentro di te. Cercando bene, magari, troverai un talento, la predisposizione a fare qualcosa: ti servirà a crescere. Sicuramente. L’ho già detto in passato, l’etimologia della parola “crisi” deriva dal greco e ha l’accezione di “crescita”. Io non ho mai vissuto la crisi – né personale, né sociale, né pubblica – come un dramma o la fine di tutto, l’ho sempre vissuta come uno stimolo alla crescita. Credo che quando questa emergenza si sarà conclusa ci sarà un rinascimento, e soprattutto sai di cosa? A rischio di ripetermi, dei sentimenti veri. Perché sono la cosa più importante. Come il gusto di condividere la festa, che prima magari veniva vista in maniera un po’ superficiale e relativa. Io, invece, l’ho sempre considerata un momento importante di aggregazione.

 

L’ invito dell’ evento “Eros & Thanatos”

Tramonto rosso prima della chiusura anticipata del Carnevale. Uno scatto a tinte forti, altamente suggestivo: quasi un emblema del dramma Coronavirus

Il Cocoricò avrebbe dovuto riaprire a Pasqua, con una nuova gestione. Quale messaggio lanci ai tantissimi giovani (e non) già sul piede di partenza, pronti a partecipare a questa attesissima inaugurazione?

Vi posso anticipare che io farò parte della squadra. Attualmente, nel locale si stanno facendo dei lavori di ristrutturazione molto importanti per renderlo ancora più bello. Ci sarà un grande investimento per quanto riguarda le novità, il talento, l’avere tutto il meglio. Bisogna soltanto avere pazienza, perché poi si riaprirà alla grande. La data sarà da stabilire, ovviamente, in base agli sviluppi dell’allarme Coronavirus…Proprio a proposito di questo, l’aver deciso di condividere l’esperienza del lockdown insieme a Flavia Cavalcanti, nella sua casa di Milano, si sta rivelando un’esperienza formidabile! E’ mia amica da sempre, anche lei partecipe di quel rinascimento di fine anni ‘80, inizio anni ‘90, quando si è imposto un nuovo tipo di musica, un nuovo modo di vivere la festa della notte…Mentre gli anni ’80 erano puro edonismo, ognuno si esibiva da sé, negli anni ’90 è sorta una “tribù che balla”. Flavia è stata partecipe di tutto questo perché emigrò dal Brasile proprio in quegli anni e a Riccione entrò a far parte dello “staff” epocale. Poi ha preso la sua strada, che ora è iper luminosa perché sta creando costumi per il musical, il teatro, le pubblicità e le serie TV…E’ lanciatissima. Abbiamo pensato di “restare a casa” insieme per due motivi. Innanzitutto ci accomuna lo stesso tipo di sensibilità, per cui stiamo vivendo questi momenti in simbiosi e in totale sintonia emozionale. Ci conosciamo da anni e ci vogliamo un gran bene, ci legano una stima e una fiducia reciproca, casa sua è comodissima perché siamo nella mitica via Gluck: condividiamo queste giornate in maniera molto intensa, bella e emozionante. In più la mia famiglia vive tutta nei dintorni, nella zona del milanese, e affrontare lo stato di allerta a pochi passi dai miei affetti più cari mi conforta. Con Flavia stiamo già studiando il nuovo Principe Maurice, i suoi nuovi look a partire dal Cocoricò in poi. Posso darti un’esclusiva, un’anticipazione mondiale. Anche per un discorso di purificazione – è come se da questa durissima esperienza ne uscissimo purificati nell’ animo – il colore dominante sarà il bianco. I miei saranno dei costumi particolari, sui quali si potranno fare delle proiezioni mappate per dare una visione di quello “che c’è dentro”. Se io da fuori sembrerò bianco, non va scordato che il bianco è l’insieme di tutti i colori. Attraverso queste mappature, quindi, appariranno immagini grafiche, dinamiche, esplosioni di luce e di colori, accompagnate ovviamente dalla techno o dalla tech house, ma in una versione inedita. Ci sarà una rinascita anche in questo senso: sempre nelle nostre corde, con il nostro gusto, ma con l’aiuto di costumi nuovi, di una tecnologia nuova e di un nuovo spirito. Ai giovani dico: aspettatevi qualcosa di meraviglioso che vi consolerà di tutte le rinunce che state vivendo ora! La raccomandazione è di vivere questo momento con senso di responsabilità e di mettere a frutto i sacrifici per crescere dentro. Capisco che, a quell’ età, nel cuore si hanno tante domande per cui si cerca una risposta. Il mio consiglio è di cercare qualche risposta anche in questa esperienza, che è drammaticissima, ma anche estremamente intensa e dal punto di vista spirituale può diventare veramente preziosa. Io ho sempre parlato di libertà, dignità e amore. Adesso la libertà è condizionata dalle circostanze, dalla dignità e dal senso della responsabilità. Quel che ne scaturirà sarà un maggior amore per se stessi e verso gli altri. Perché avendo più tempo per riflettere ci si capirà di più e perché degli altri, a causa dell’isolamento, sentiamo la mancanza…Quando ci è stato imposto di non stringerci la mano, di non abbracciarci, per me è stato scioccante: io sono espansivo, trovo che abbracciarsi sia uno scambio di energie. Questa rinuncia va sublimata: bisogna convogliare l’energia non più nel contatto fisico, ma in quello mentale e spirituale. Anche se non vedo l’ora di riabbracciare tutti quanti! (ride, ndr) Una critica che mi sento di fare è che il nostro settore, quello dell’entertainment, è stato messo in secondo piano. Come se non lavorassimo. Noi per fare quello che facciamo ci mettiamo studio, sacrificio, investimento, e vorrei che fossimo un pochino più apprezzati e considerati: perché la formica, senza la cicala, magari lavorerebbe meno volentieri. Produciamo divertimento, che è un prodotto essenziale per vivere. Anche gli animali cacciano, mangiano, però giocano tra loro. Una cosa positiva del blocco generale, invece, è che la riduzione delle attività industriali e del traffico ha reso l’aria pulitissima! Milano non è mai stata bella come ora. Guarda, a questo punto ringrazio il cielo che tutto questo sia successo nel momento dell’arrivo della Primavera. Sono sulla terrazza dell’appartamento di Flavia proprio adesso e ci sono piante bellissime che hanno germogli, foglioline nuove…questo spazio è un meraviglioso valore aggiunto!

 

Maurice insieme a Flavia Cavalcanti durante una serata (naturalmente, in epoca pre-pandemia) a Milano

Memento mori: il Coronavirus annienta il Carnevale di Venezia. Foto di Attilio Bruni

Un’immagine intrisa di speranza e positività: a Milano, tra gli zampilli della Fontana Torta degli Sposi si intravede un arcobaleno. E’ l'”andrà tutto bene” del Principe Maurice, un auspicio che il sole torni a splendere dopo questo tragico periodo

 

 

 

 

Lucia Bosè, nel blu degli Angeli

Lucia Bosè in “Accadde al Commissariato” (1954) di Giorgio Simonelli

Stento ancora a crederci, ma pare che il Coronavirus abbia stroncato anche la vita di una delle più amate attrici italiane: Lucia Bosè. La notizia, scioccante, purtroppo è assolutamente vera. Lucia Borloni – questo il suo nome all’ anagrafe – è scomparsa ieri a Segovia, in Spagna, a causa di una polmonite aggravata dal COVID-19. Aveva 89 anni. Recentemente ho letto la biografia che le ha dedicato Roberto Liberatori, scritta in stretta collaborazione con la diva, e devo dire che l’ho trovata appassionante. Della Bosè, lo confesso, conoscevo l’ essenziale: il celebre incontro con Luchino Visconti quando, giovanissima, lavorava in una pasticceria di Milano, la vittoria a Miss Italia nel 1947,  qualche film in bianco e nero dei suoi esordi (come “Le ragazze di Piazza di Spagna” di Luciano Emmer, datato 1952, che è stato oggetto di un remake televisivo per RAI 2), il matrimonio nel 1955 con Luis Miguel Dominguin, che chiamava “il torero” e che amò per tutta la vita nonostante la burrascosa separazione. Se in Italia era la musa di Visconti e lavorava con registi – Michelangelo Antonioni, Giuseppe De Santis, Francesco Maselli – poi entrati negli annali della settima arte, in Spagna frequentava abitualmente Pablo Picasso, Ernest Hemingway e Jean Cocteau, assidui dell’ entourage del marito. Di Lucia Bosè mi rimane impresso il volto, intenso e luminoso: era un volto malleabile, che le permetteva di incarnare i più disparati ruoli nonostante la sua raffinatezza. Quando Luchino Visconti la vide per la prima volta alla Pasticceria Galli di Milano, dove la Bosè era stata assunta come commessa, ne rimase talmente colpito da dirle che in futuro avrebbe fatto del cinema. Lucia aveva solo 16 anni, ma la profezia del Maestro si avverò con tutti i crismi.

 

Con Ivan Desny ne “La signora senza camelie” (1953) di Michelangelo Antonioni

Quel volto fotogenico, su cui la luce si posava creando affascinanti giochi di bagliori e ombre, non può essere scordato. Sposando Dominguin Lucia Bosè scelse l’amore, privilegiò la famiglia e accantonò la carriera, ma dopo la separazione  – fu la prima donna a chiederla, nella Spagna ancora iper tradizionalista del 1967 – si accorse che non riusciva a rimanere lontana dal cinema. Tornò dunque sul set e lavorò fino al 2014, diretta da registi prestigiosi (Luis Bunuel, i fratelli Taviani, Federico Fellini, Mauro Bolognini, Liliana Cavani, Francesco Rosi, Ferzan Ozpetek…) e non necessariamente in ruoli da protagonista; l’ importante, era che un personaggio la conquistasse. Non aveva paura di imbruttirsi per esigenze di copione e si affidava volentieri a cineasti esordienti, se rimaneva intrigata da una sceneggiatura. Lucia era una donna forte, ribelle nel profondo e volitiva: nel 2000 realizzò il sogno di creare un Museo degli Angeli, all’ interno del quale ospitava opere d’arte a tema angelico. Lo allestì in Spagna, nel piccolo comune di Turégano, dove rimase attivo fino al 2007. Credeva nell’ Angelo Custode e persino il look che sfoggiava di recente, connotato dall’ immancabile chioma blu, aveva qualcosa di soprannaturale. Come Pablo Picasso, padrino di battesimo del suo primogenito Miguel (oggi popstar planetaria), anche Lucia Bosè ha avuto un “periodo blu”. Ma se per Picasso fu una fase decadente, inquieta e malinconica, la Bosè l’ha vissuto certamente come una rinascita, una riappropriazione di sè attraverso il trascendente. Adesso che è scomparsa, non ho dubbi su dove si trovi in questo momento: tra i suoi amati Angeli, le figure celesti di cui ha subito il fascino per una vita intera.

 

 

Buon Equinozio di Primavera

 

Vieni, Primavera, vieni

a svelare la bellezza del fiore

celata nel bocciolo

tenero e delicato.

Lascia cadere le note

che porteranno i frutti,

e passa con cura il tuo pennello

d’oro di foglia in foglia.

 

(“Scintille”, Rabindranath Tagore)

 

 

 

 

Le emozioni danzano sulle punte: incontro con l’ Étoile internazionale Petra Conti

(Photo by Joe Shalmoni – Courtesy Fondazione Arena di Verona)

E’ eterea come una ninfa e ha sempre il sorriso sulle labbra: Petra Conti si muove leggera, sembra danzare persino quando cammina. Non riesco a immaginarla che su un palco, mentre si libra in un grand-jeté con la grazia di una farfalla. Eppure, la sua souplesse si coniuga con una straordinaria forza interiore. Questo connubio, a cui si aggiungono un talento innato, dosi massicce di saggezza e un ferreo senso della disciplina, sintetizza gli ingredienti che compongono la personalità di Petra, Étoile con un curriculm che annovera performance nei più prestigiosi teatri internazionali. Classe 1988, nata ad Anagni da padre italiano e madre polacca, a poco più di 20 anni viene nominata Prima Ballerina del Teatro alla Scala e da allora, per lei, inizia una carriera che la porta costantemente in giro per il mondo. Diplomatasi con lode all’ Accademia Nazionale di Danza e perfezionatasi al Teatro Mariinsky di San Pietroburgo, Petra è appena diciassettenne quando viene convocata all’ Arena di Verona per esibirsi come Étoile Ospite nel balletto “Cenerentola”, in cui interpreta la protagonista. Oggi, riapproda su quel palco di frequente. L’ultima volta risale al 2019, in occasione del 97° Festival Lirico, dove è stata invitata a danzare – sempre in qualità di Étoile Ospite – sia in “Aida” che ne “La Traviata”, l’ultima regia del Maestro Zeffirelli, trasmessa in mondovisione e presenziata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Dopo l’ esperienza al Teatro alla Scala, Petra ha rivestito il ruolo di Prima Ballerina al Boston Ballet e, dal 2017, si è stabilita in California dove è Resident Principal Guest Dancer del Los Angeles Ballet. La sua carriera di Étoile Ospite, nel frattempo, si è consolidata stabilmente: le più celebri compagnie mondiali se la contendono e la sua fama è cresciuta al punto tale da elevarla al rango di stella internazionale del balletto. Pluripremiata per le sue doti tersicoree, nel 2014 Petra ha avuto l’ onore di essere insignita del titolo di Ambasciatrice della Danza Italiana nel Mondo. Ma il suo talento non si limita a una tecnica impeccabile: il pathos interpretativo che sprigiona sul palco le è valso la definizione di “Anna Magnani della Danza” (da un titolo che le dedicò il settimanale Panorama), e non sorprende. Petra Conti è così, cuore e determinazione, soavità e potenza, emozioni e ineccepibile rigore stilistico. Se la danza è “arte in movimento”, questa giovane Étoile italiana è un’ Artista con la A maiuscola. Ho voluto fortemente incontrarla per ospitarla nel mio blog.

Il tuo amore per la danza è scoccato come un colpo di fulmine o è maturato a poco a poco?

L’amore per la danza è sbocciato e cresciuto insieme a me. Mia mamma e mia sorella sono state entrambe ballerine, per cui sono nata in una famiglia dove la danza classica era la cosa più naturale del mondo.

 

(Photo by Joe Shalmoni)

Per molte bambine, la danza è “la favola”: tant’è che iniziano a prendere lezioni vedendosi già in tutù sul palco. Cosa ha rappresentato la danza, per te, sin da piccola?

In realtà io non ho iniziato danza da piccolissima, infatti ho preso le prime lezioni solo a 11 anni, quando sono entrata all’Accademia Nazionale di Danza di Roma. Non ricordo di essermi mai immaginata sul palco con il tutù, forse perché ho sempre percepito la danza come qualcosa di naturale e intrinseco alla mia natura, un linguaggio perfetto. La danza è diventata ben presto il mio modo di esprimermi, di sfogare le emozioni che avevo dentro.

Il tuo percorso ha avuto inizio all’Accademia Nazionale di Danza di Roma, ma il tuo talento si è rivelato ben prima del diploma: avevi solo 15 anni quando hai avuto l’onore di danzare in TV con Roberto Bolle. Che cosa ricordi di quello straordinario evento?

Quell’evento mi ha cambiato la vita e mi ha decisamente incoraggiata a continuare a lavorare ancora di più. L’esperienza di ballare con Roberto Bolle a 15 anni è stata per me una grande conferma, che la danza era la mia strada e che il mio destino sarebbe stato quello di diventare una ballerina; ho sempre creduto che con tanto duro lavoro sarei potuta arrivare lontano.

 

 

Hai debuttato come Étoile Ospite all’Arena di Verona con il balletto “Cenerentola”. Eri appena diciassettenne. Da allora è iniziata, intervallata da prestigiose tappe (la nomina come Prima Ballerina della Scala nel 2011, l’invito al Boston Ballet dove hai ricoperto lo stesso ruolo fino al 2017), la tua carriera di Prima Ballerina ospite. Qual è il valore aggiunto – sia in termini professionali che di emozioni – dell’essere una “freelance” della danza?

Essere invitata come Étoile Ospite nei teatri di tutto il mondo è il traguardo più bello che potessi raggiungere: far combaciare la danza con il viaggiare e’, per me, davvero un sogno che si avvera, visto che sono uno spirito libero per natura. Essere una freelance della danza significa sia essere il “capo di se stessi”, sia assumersi una grandissima responsabilità per il ruolo che si ricopre e il nome che si rappresenta. Significa poi, in concreto, autogestirsi nell’organizzazione delle prove e dei viaggi, essere il manager di se stessi, doversi preoccupare di ogni minimo dettaglio, dallo stare in forma tra un ingaggio e l’altro ad ordinare per tempo la quantità di scarpe da punta che potrebbero servire e, poi, imparare la coreografia prima di arrivare nel teatro che mi ospita… Credo non tutti sopporterebbero un tale stress! A me, invece, tutto questo piace da matti, mi fa sentire viva e sempre sulla cresta dell’onda. E poi c’è il valore aggiunto di lavorare in diversi teatri e, quindi, di confrontarsi con primi ballerini di tutto il mondo, imparare anche da loro sempre qualcosa di nuovo per arricchire la mia carriera, farsi conoscere e apprezzare da un pubblico sempre diverso, essere continuamente ispirata dalla novità di un nuovo posto di lavoro…

 

Petra mentre si esibisce nell’ “Aida” al Festival Lirico 2019 dell’ Arena di Verona (photo Ennevi – Courtesy Fondazione Arena di Verona)

Ancora uno scatto tratto dal Festival Lirico 2019 dell’ Arena di Verona: qui Petra è immortalata ne “La Traviata”, ultimo allestimento del Maestro Zeffirelli (photo Ennevi – Courtesy Fondazione Arena di Verona)

Come danzatrice hai dei modelli, delle figure di riferimento?

Sì, ovviamente, ho figure di riferimento sia nel campo della danza, sia nel campo dell’arte in generale. Credo sia indispensabile farsi ispirare dai modelli di ieri e di oggi; ma non solo, tutto, anche la natura può essere per me fonte di ispirazione! Da Anna Magnani a Michelangelo, da Bob Fosse al film “Joker”, dalle pantere ai cigni… Le parole di un libro, i colori del tramonto, una canzone, un profumo… E poi i video delle grandi ballerine del passato e del presente, eterni miti. Non voglio fare nomi perché per me ogni grande ballerina è, appunto, grande per qualcosa in particolare e ciascuna in maniera differente da un’altra. L’arte non si può paragonare, si può solo apprezzare!

 

 

Alla tua giovane età grazie alla danza hai girato il globo, lavorato con prestigiosi artisti, ricevuto premi ed onorificenze. Cosa provi, facendo un bilancio?

Sono estremamente grata per una carriera da sogno, ma non mi “siedo sugli allori”. A 31 anni sento di aver fatto tanto, mi sento una ballerina matura e con esperienza da vendere, ma non mi sento affatto arrivata! Ho ancora tanto da dare e tanto da imparare.

Come viene percepita la danza al di fuori dei confini italiani? Esistono Paesi che ti hanno colpito particolarmente riguardo l’attenzione rivolta al balletto e la formazione professionale?

Tra i tanti Paesi visitati mi ha particolarmente colpita Cuba! Ho ballato all’Havana nel 2018 ed è stata un’esperienza unica vedere la passione per il balletto fortemente impregnata in ogni angolo dell’isola. A Cuba il rispetto, l’ammirazione e la conoscenza della danza sono sconfinati, a mio avviso, al pari della Russia.

 

Petra Conti e Eris Nezha durante le prove de “Il Lago dei Cigni”

Una delle frasi che sei solita scrivere per motivarti recita: “Ho imparato che tutti vogliono vivere in cima alla montagna, ma tutta la felicità e la crescita avvengono mentre la scali”. La trovo bellissima. Potresti commentarcela?

È uno dei miei motti! In inglese si può riassumere semplicemente in “enjoy the journey” e, in effetti, rappresenta il mio modus vivendi. Apprezzare il viaggio e non pensare ossessivamente solo alla meta, godersi ogni piccola vittoria, imparare da ogni sconfitta, vivere nel momento. C‘è chi dice di non vedere l’ora di arrivare a destinazione, ma per me già il viaggio in sé è bellissimo e fondamentale!

 

 

La tua carriera ha subito una battuta d’arresto dopo che hai scoperto di essere affetta da un cancro al rene. Com’è stato ritornare alla danza, e alla vita in senso lato, dopo quella spiacevole esperienza?

Tutto quanto per me ha un valore diverso adesso: vivo ogni giorno e ogni spettacolo al massimo, con la consapevolezza di essere davvero fortunata ad aver avuto una seconda chance. Ogni giorno ringrazio Dio e sento profondamente la responsabilità di dover fare di più, di aiutare, di motivare… Non posso assolutamente sprecare questa seconda opportunità di vita che mi è stata regalata. E se sono ancora qui è perché ho ancora tanto da fare, ancora tanto da dare, perché devo contribuire di più, perché il mio destino non è ancora compiuto.

(Photo by Joe Shalmoni – Courtesy Fondazione Arena di Verona)

Attualmente sei “Resident Principal Guest Dancer” del Los Angeles Ballet. Potremo rivederti in Italia a breve?

Da qualche anno a questa parte sta diventando un appuntamento fisso tornare in Italia d’estate: negli ultimi tre anni, infatti, sono stata Prima Ballerina ospite all’Arena di Verona in occasione del prestigioso Festival Lirico. Per ora non posso anticipare nulla, ma vi terrò aggiornati!

Viviamo nell’era digitale. Pensi che i social media possano essere efficaci per divulgare l’arte della danza, per stemperare l’alone eccessivamente “elitario” che a volte sembra circondarla?

Assolutamente sì! Io credo fortemente nell’efficacia dei social e mi sto impegnando molto per usare il mio account Instagram come “biglietto da visita”, come specchio della vita di un artista; una sorta di “diario di bordo di una ballerina”, per avvicinare e motivare giovani di tutto il mondo. Cerco infatti di condividere ogni aspetto di questa bellissima arte, dalle prove in sala al lavoro sul proprio corpo, dai dolori alle soddisfazioni, dalla vita di ogni giorno di una prima ballerina ai piccoli consigli e alle frasi motivazionali che possano ispirare i danzatori di domani. L’era del divismo è tramontata da un bel po’ e credo che rendersi più “umani” e raggiungibili, avvicinarsi quanto più possibile al proprio pubblico e ai propri fan sia assolutamente necessario oggi per mantenere viva la danza, per sempre.

 

Petra nell’ “Aida” durante il Festival Lirico 2019 dell’ Arena di Verona (photo Ennevi – Courtesy Fondazione Arena di Verona)

 

 

 

“Andrà tutto bene”: il flash mob di VALIUM

 

In questi giorni, l’ Italia che “resta a casa” si fa protagonista di un nuovo fenomeno: il flash mob. Viene annunciato tramite i messaggi di WhatsApp o sui social, innescando un passaparola interminabile. Ci si dà appuntamento per un dato giorno, ad una data ora, con l’ intento di ritrovarsi tutti affacciati alla finestra o sul balcone. Lo scopo? Superare l’isolamento, farsi coraggio, sentirsi uniti nella lotta contro il COVID-19. Prende vita, quindi, un’ autentica performance collettiva. Si canta la stessa canzone, si accendono candele, si “spara” l’inno di Mameli a tutto volume, o magari si esplode in un fragoroso applauso rivolto a chi ogni giorno è in prima linea per sconfiggere il virus. Tra gli elementi ricorrenti del flash mob, ne spicca uno: un grande lenzuolo bianco su cui campeggiano un disegno dell’ arcobaleno e la scritta “Andrà tutto bene”. Perchè non poteva essere che l’iride, lo spettacolare arco che spunta dopo la tempesta, a simboleggiare la situazione attuale. I suoi colori incantevoli, la sua perenne meraviglia, sono un invito alla speranza  corroborato da uno slogan che è un concentrato di ottimismo e positività. E se è innegabile che il Coronavirus sia una tragedia di portata mondiale, nel nostro piccolo possiamo unire le forze per instaurare una vigorosa sinergia sia tra di noi che con chi combatte quotidianamente contro il “nemico invisibile”. Oggi anche VALIUM lancia un flash mob: questa parata di arcobaleni vuol essere un tributo a tutti coloro che, incentivando una nuova solidarietà, non smettono mai di credere che “andrà tutto bene”.

 

 

 

“Io resto a casa”…e cresco: una guida in 5 punti

 

“Io resto a casa”: questo lo slogan della campagna lanciata in Italia per fronteggiare l’emergenza Coronavirus. Con il decreto del 9 Marzo firmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM), l’ intera nazione è diventata “zona rossa” e sono state applicate misure restrittive che, tra l’altro, limitano al minimo gli spostamenti. Uscire di casa è permesso solo per motivi strettamente necessari; l’ obiettivo è far sì che gli italiani non si muovano dal proprio domicilio in modo da contrastare la diffusione del virus. Le disposizioni saranno in vigore fino al 3 Aprile, poi si vedrà. Cosa possiamo fare, intanto, per affrontare una quotidianità tanto diversa da quella che eravamo abituati a vivere finora? Quali occasioni può offrirci, questo periodo, per sviluppare una nuova coscienza, una nuova consapevolezza? Come possiamo tramutare una pausa forzata in un’ opportunità per guardare la vita sotto un’altra ottica? Ecco 5 spunti ad hoc.

 

 

1. VIAGGIARE, Sì’…MA DENTRO NOI STESSI. Abbiamo molto più tempo libero a disposizione, i ritmi sono rallentati. Centelliniamo le uscite e lavoriamo (chi può) con lo smart working. L’occasione è propizia per avventurarci in un bel viaggio all’ interno di noi stessi: ci permetterà di riflettere su chi siamo, come affrontiamo la vita e gli imprevisti. Tutti dati che apprendiamo soprattutto durante le emergenze. A differenza dei nostri antenati, messi di fronte alla guerra e ad epidemie come l’asiatica o la spagnola, la maggior parte di noi non ha avuto molte opportunità di testare la propria tempra, di conoscersi davvero. Questo è il momento giusto per farlo.

 

 

2. ADATTARSI CON CREATIVITA’. “Il fattore più importante nella sopravvivenza non è né l’intelligenza né la forza, ma l’adattabilità.”, ha detto Darwin. L’ isolamento sociale è una situazione alla quale, per quanto dura sia, dobbiamo adattarci per il bene di noi stessi e degli altri. Ma non per questo ci è dato di farlo passivamente, tramutando lo stare a casa in pura inedia: “adattabilità”, in tal caso, significa adeguare la temporanea clausura ai propri gusti e alla propria personalità. Adorate l’ happy hour? Organizzatevi una pausa aperitivo in casa, sbizzarrendovi con la preparazione di stuzzichini inediti. Vi manca la palestra? Richiedete al vostro istruttore un training personalizzato da svolgere a domicilio. Amate il cinema? Scaricate i vostri film preferiti e sprofondatevi sul divano per guardarli con tanto di bibite e popcorn. In breve: seguite i vostri hobby, inventatevi nuove passioni o approfondite a tutto campo quelle che già avete. Al termine dell’ isolamento, garantito, ripartirete con più entusiasmo e ricchi di conoscenze.

 

 

3. L’ IMPORTANZA DEL “CARPE DIEM”. E’ il momento di riscoprire il valore della locuzione di latiniana memoria. “Carpe diem”, diceva Orazio, “quam minimum credula postero”, ovvero: “Afferra il giorno, confidando il meno possibile nel domani”. Molti di noi la traducono con “cogli l’attimo” e ne fanno il loro motto, almeno a parole. In realtà, l’ abitudine di fare programmi a lungo termine, di procrastinare tutto il possibile, di pianificare la vita da qui a un anno, sono la norma per un buon numero di persone. Ma – come dimostra il virus – esistono eventi che, ahimè, sfuggono al nostro controllo. E’ fondamentale, quindi, assaporare l’attimo e valorizzare con la massima intensità il “qui e ora”. Questo comporta anche l’essere grati di ciò che abbiamo, grati all’ esistenza e a tutti i suoi doni. Oggi ci sono, domani chissà: i buddhisti la chiamano “impermanenza”, un concetto che sottolinea la transitorietà delle cose e dei fenomeni.

 

 

4. MAI PIU’ “CONTROL FREAK”. I “maniaci del controllo” (questa la traduzione della locuzione inglese), nei momenti di emergenza, hanno la vita dura. Dobbiamo accettare di non essere onnipotenti, di non poter governare a 360° la nostra quotidianità, prendere coscienza che i problemi non riguardano solo “gli altri” ma possono coinvolgerci in prima persona. L’ imprevisto va affrontato con umiltà e come una grande opportunità per imparare: all’ insegna del rispetto del prossimo e di tutto quel che ci circonda, oltre che di noi stessi. E’ un’ occasione preziosa, insomma, per acquisire una nuova consapevolezza e un nuovo modo di rapportarsi all’ esistenza.

 

 

5.  RISCOPRIRE LA VICINANZA…A DISTANZA. Le emergenze hanno la caratteristica, del tutto positiva, di avvicinare le persone. Nel caso del Coronavirus, anche a dispetto della distanza di sicurezza. L’ avete notato? Non siamo vicini fisicamente, sono vietati gli abbracci, le strette di mano e gli assembramenti, ma non per questo ognuno è rinchiuso nella sua torre d’avorio. Anzi! Mai come adesso proliferano le informazioni (attenzione alle bufale, però), le conversazioni sui social, le telefonate, la solidarietà. Video, news e foto impazzano per via telematica e tramite la messaggistica istantanea, ci si aiuta l’ un l’altro e ci si fa compagnia come si può, enfatizzando gli aspetti positivi dell’ era digitale. La videochiamata, diciamo la verità, è una splendida invenzione!

 

 

 

Silvia Elena Resta: quando l’ equitazione diventa arte

Foto di Maurizio Polverelli

I lettori di VALIUM conoscono già Silvia Elena Resta, l’ artista equestre di origine russa che è stata ospite di questo blog qualche mese fa (clicca qui per rileggere la sua intervista). Oggi, Silvia torna a trovarci per raccontarci qualcosa in più sull’ avventura che ha intrapreso anni orsono: un’ avventura che coniuga la magia del teatro equestre con un rigoroso addestramento dei cavalli e dei cavalieri. A tutti coloro che desiderano addentrarsi in questi ambiti, la magnetica amazzone offre la possibilità di partecipare ad un incontro che coinvolgerà esperti di alto livello. L’ evento, strutturato su due giornate, si suddividerà in una conversazione a tema equestre e in una lezione di prova per i workshop di equitazione. L’ idea vi intriga? Se volete saperne di più, non dovete far altro che continuare a leggere. Nell’ intervista che segue, inoltre, Silvia Elena Resta ci introdurrà alla psicologia equina: un’ occasione unica per imparare a conoscere un animale che, dopo una millenaria convivenza con l’uomo, è stato quasi esclusivamente relegato alle attività sportive. Dulcis in fundo, la star del teatro equestre commenterà per noi la campagna Primavera/Estate 2020 di Gucci. Trattata su VALIUM proprio ieri (trovi qui il link), la adv ideata da Alessandro Michele ha donato all’ iconografia del cavallo connotazioni completamente nuove: in questa intervista, il parere di Silvia e le sue considerazioni al riguardo.

L’incontro “Estetica, musicalità e tecnica dell’arte equestre” prevede la partecipazione di un’artista, uno storico, un musicista e un fotografo che intavoleranno una conversazione sullo spettacolo equestre indagandone tutte le sfaccettature. Puoi raccontarci qualcosa rispetto a questo appuntamento?

L’ evento, che si terrà sabato 4 e domenica 5 aprile in via Staggi a Gatteo (FC), è nato da alcuni colloqui che ho avuto con Giovanni Battista Tomassini, giornalista RAI ma anche grande appassionato di cavalli e soprattutto di storia dell’equitazione. Tomassini ha scritto un libro che studia gli antichi volumi dedicati all’equitazione e i grandi maestri del passato, sottolineando l’importanza, per i cavalieri, di approfondire la storia equestre. Ho parlato con lui al telefono del libro che ha scritto e di quei trattati, risalenti al 1500 e ai secoli successivi ma ancora oggi validissimi. Inoltrandoci nei temi dello spettacolo equestre e discutendo di estetica e musica nell’ equitazione, ci siamo trovati d’accordo nel ritenerle degli aspetti fondamentali della cultura equestre classica. La musicalità, per esempio, è imprescindibile: il ritmo è una componente essenziale dell’ andare a cavallo. Un cavaliere, quindi, dovrebbe avere anche cognizioni musicali. Così dicendo mi riferisco a tutta l’equitazione, non solo a quella artistica. L’ incontro sarà una chiacchierata interdisciplinare che verte proprio su questi temi, sarà gratuito e aperto a tutti. Oltre a me, che sarò presente in quanto artista e tecnico equestre, ci saranno Simone Vassalli, musicista diplomato al Conservatorio e grande appassionato di cavalli, Giovanni Battista Tomassini, giornalista e conoscitore dell’equitazione storica, e Maurizio Polverelli, un bravissimo fotografo che parlerà dell’importanza dell’immagine nell’arte equestre contemporanea. Per un artista equestre l’ immagine ricopre un ruolo preponderante, ma presuppone una cura e una preparazione sia del cavallo che della persona, oltre a richiedere specifiche competenze in chi fotografa…Dopo la conversazione presenteremo i nostri workshop, che inizieranno il giorno successivo e proseguiranno per tutto l’anno.

 

Danza aerea con Nicoletta Amaduzzi. Silvia è in sella al cavallo Engraido 14

I workshop successivi all’ incontro saranno incentrati su discipline solitamente integrate nelle esibizioni di arte equestre: la musica, la drammaturgia, l’immagine e via dicendo. A chi sono rivolti e quale sarà il target dei partecipanti?

Penso che il target sarà molto vario, perché i workshop si rivolgono a una vasta tipologia di persone. Sicuramente non verrà chi non è interessato ai cavalli! Possono partecipare anche persone che non hanno mai cavalcato, ma vogliono capire cos’è l’equitazione al di là dei concetti antiquati che vedono il cavallo solo come un mezzo per andare a fare una passeggiata. Un’idea dalla quale spero che tutti si allontanino: i cavalli non sono biciclette, non li si può affittare come se fossero oggetti! L’equitazione è un modo di vivere oltre che uno sport, ed è bella proprio perché ti mette a contatto, a confronto con un altro essere vivente. Ti obbliga a metterti in gioco sia su un piano emotivo che fisico. Chi pensa di montare a cavallo soltanto per fare un giro guardando il panorama dall’ alto, si perde il 90% di quello che il cavallo gli può dare. Tutti coloro che, invece, vogliono scoprire questo 90% di esperienza emotiva, preparazione atletica e confronto con se stessi, possono venire da noi ed apprenderlo attraverso la pratica artistica. I corsi sono interessanti anche per chi pratica già l’equitazione e vuole migliorare la propria tecnica o il rapporto con il proprio cavallo e, in ultima analisi, per chi vuole saperne di più sullo spettacolo equestre e magari metterlo in scena, sia a livello amatoriale che professionale. I workshop sono rivolti anche ai principianti, che prenderanno parte a lezioni apposite. I bambini – ma solo dai 10 anni in su – potranno partecipare in base alla disponibilità dei posti. È chiaro che chi non è mai andato a cavallo verrà istruito soprattutto sulla preparazione di base, mentre chi è a un livello avanzato avrà maggiori possibilità di spaziare.

 

Silvia e Fidalgo, il suo “storico” cavallo bianco. Foto di Sara Baroni

Quali sono, a tuo parere, i requisiti che deve possedere chi vuole intraprendere il percorso dell’equitazione artistica?               

Bisogna essere molto competitivi e molto caparbi, la costanza è importantissima. È un’attività impegnativa dove non si apprende solo una disciplina: c’è sì la tecnica equestre, ma ci sono anche la drammaturgia, le materie riguardanti la musica, la scenografia e così via. La preparazione fisica e atletica sono fondamentali. Per cui, bisogna lavorare veramente tanto e tutti i giorni. Diciamo che è necessario avere lo stesso rigore di un ballerino di danza classica. L’equitazione artistica non è adatta, invece, a chi si aspetta dei risultati immediati. Chi pensa di poter subito eccellere, rimane arenato in livelli superficiali e discutibili; i risultati più apprezzati sono raggiunti solo da chi dimostra un impegno regolare nell’allenamento e possiede una grande curiosità verso il mondo dell’arte in toto. Per una preparazione ideale è ottimo assistere a degli spettacoli, non solo equestri ma di tutti i generi. E poi, bisogna avere una vera passione per i cavalli e per la cultura equestre: amare quel mondo, leggere libri a tema, tenersi informati. Molte persone riescono ad instaurare un buon rapporto con il cavallo spontaneamente. Ma non c’è niente di intuitivo nel cavalcare. Esiste una tecnica ben precisa che va studiata. Quando parliamo di equitazione, tanto più di equitazione artistica, dobbiamo tener conto della necessità di una preparazione quasi scientifica, oserei dire: d’accordo, sono in ballo due esseri viventi e si tratta di un’attività sportiva, non di una scienza, ma la preparazione tecnica è assolutamente imprescindibile.

 

Uno scatto tratto dallo spettacolo “Il sacrificio del Minotauro” al Salon du Cheval di Parigi. Con Silvia c’è Engraido 14. Foto di Jean-Léo Dugast

Cosa offre l’equitazione artistica in termini di benessere fisico e di armonia interiore?

Questa è una bellissima domanda perché è risaputo quanto l’equitazione, il rapporto con il cavallo, possano essere terapeutici. Ad esempio esiste l’ippoterapia, una disciplina rivolta ai portatori di handicap o a coloro che hanno determinate problematiche psico-fisiche, ed è scientificamente provato come il contatto con i cavalli migliori la vita di queste persone. Ippoterapia a parte, l’equitazione può affinare molti lati del carattere attraverso il mettersi in gioco, in discussione, l’instaurare una buona relazione con l’animale. L’equitazione artistica non dovrebbe essere finalizzata solo all’esibizione. Finora, diciamo che il concetto predominante è stato “Chi apprende l’equitazione per lo spettacolo lo fa solo perché vuole esibirsi”. I corsi di danza generici, per dire, non hanno esclusivamente questo scopo. Si può prendere parte al saggio di fine anno, ma non è obbligatorio. Chi frequenta le lezioni vuole anche divertirsi, fare movimento…Nel mondo equestre non era così: è stata quasi sempre tralasciata la preparazione in virtù dell’esibizione. Così facendo, molte persone non hanno osato avvicinarsi all’equitazione artistica perché pensavano che non fosse una disciplina a sé stante. Invece lo è ed è complessa, in quanto oltre alla preparazione sul cavallo comprende svariate materie che la rendono persino più interessante. Sono discipline acrobatiche, di danza aerea o giocoleria, e tutte, oltre che giovare al fisico, aiutano a crescere interiormente. Per cui, se ne ricava un beneficio sicuro!

 

Fidalgo sul palco del Teatro Bonci di Cesena durante le prove di “Ritorno a Itaca”

Il campo della didattica equestre dev’essere estremamente affascinante. Mi chiedo in che percentuale influisca, nell’apprendimento, l’empatia che si riesce ad instaurare con il cavallo, la conoscenza approfondita di questo elegante animale. Chi è il cavallo e qual è il suo principale punto di forza nel rapportarsi con l’uomo?            

Il punto di forza del cavallo è quello di essere molto socievole. Tende a un’alta socializzazione, è un animale che vive in branco, che cerca i suoi simili e, quando non li trova, anche un essere umano per lui è qualcuno verso cui portare le proprie attenzioni. Per quanto riguarda il resto della tua domanda, vi faccio un esempio. Il cane è un animale molto domestico, l’uomo è abituato a vederlo e quindi a conoscerlo. Il cavallo, invece, oggi come oggi è conosciuto molto meno. In passato era diverso, poi la sua conoscenza è andata persa. Il problema non nasce dal fatto che il cavallo non abbia certe caratteristiche, ma dal fatto che l’essere umano spesso non riesce a comprenderle. Torno a ribadire che il rapporto con il cavallo non è di tipo intuitivo: non è che se lo tenessi in casa (per tornare al parallelismo con il cane) dopo un po’ lo capiresti, bisognerebbe che qualcuno ti insegnasse a relazionarti con lui. La psicologia del cavallo, la sua socializzazione, da qualche anno vengono molto valorizzate e tenute in conto. Oggigiorno rientrano nell’ “horsemanship”, una disciplina basata sull’analisi del comportamento del cavallo e sull’ attuazione di alcune tecniche per rapportarsi nella maniera più corretta con l’animale. Diciamo che si tratta di una sorta di educazione equina, ma non ha strettamente a che fare con il montare a cavallo. Di base si attua da terra. Comprendere il cavallo significa educarlo. Qualsiasi animale va educato, e l’educazione si effettua innanzitutto attraverso il gioco: perché il gioco insegna anche a socializzare. Il cavallo non è un animale indipendente né solitario, tende a rapportarsi con gli altri. Per l’uomo, questo potrebbe rappresentare un vantaggio nello stabilire un contatto. Come ti accennavo, il cavallo cerca la compagnia. Non si può tenere da solo in una scuderia. Bisogna che ci siano perlomeno altri erbivori, alcuni per esempio allevano delle caprette:  è un animale che patisce la solitudine. E chiede molta attenzione da parte dell’uomo. Per cui, quando ci sembra distaccato o non riusciamo a capirlo è soprattutto perché non gli abbiamo dato la giusta energia, il giusto spazio.

 

 

Un’ altra scena tratta dallo spettacolo “Il sacrificio del Minotauro”

Personalmente ti trovi più a tuo agio nelle vesti di artista o di istruttore equestre?  

Diciamo che da una parte c’è il lato artistico che sicuramente fa molto parte di me, ho una passione innata per l’arte in tutte le sue sfaccettature, e, dall’ altra, mi sono dedicata alla preparazione dei cavalli sin da piccola. L’ insegnamento è una conseguenza, mi piace ma adoro preparare fisicamente i cavalli perché li ho sempre avuti. Quando ero ancora una bambina ho sentito la necessità di rapportarmi con loro e l’aspetto artistico è andato di pari passo. Poi certo, mi interessa anche insegnare, perché voglio che le persone si relazionino con i cavalli nel modo giusto. Una volta a Giovanni Battista Tomassini (il nostro evento prende spunto anche da colloqui che coinvolsero la prestigiosa rivista “Cavallo Magazine” e da un incontro a cui Tomassini partecipò a Fieracavalli di Verona) è stato chiesto: perché bisogna invitare le persone ad approfondire la propria cultura equestre? Perché l’obiettivo più importante è il benessere del cavallo, e per migliorare la vita di tutti i cavalli è imprescindibile divulgare una valida cultura equestre. È un grosso errore dare al cavallo delle connotazioni antropomorfe, pensarlo come l’uomo. I cavalli non sono personaggi di Walt Disney, non bisogna considerarli né dei mezzi né pupazzi o giù di lì. Dobbiamo imparare a relazionarci con loro nel modo più appropriato.

 

Foto di Silvia Foco

In un passato neppure tanto lontano, l’equitazione veniva spesso considerata uno sport elitario, appannaggio di pochi privilegiati. Cos’è cambiato da allora?    

Negli anni ’80, quando gli italiani avevano molta disponibilità economica, avere un cavallo era quasi uno status symbol. Oggi, invece, mantenerlo è più difficile. Anche perché lo si deve mantenere nel giusto modo. Normalmente c’è chi paga la scuderizzazione in un circolo ippico, una soluzione abbastanza buona perché il cavallo è circondato da altri suoi simili, ma le spese che si affrontano purtroppo non sono poche. C’è anche da dire, però, che le persone tutto l’anno spendono soldi per andare in palestra o dallo psicologo con l’obiettivo di star bene, mentre la scelta potrebbe essere quella di avere un cavallo: l’equitazione può essere concepita benissimo come attività fisica che apporta del benessere. In più, c’è un’alternativa. Si potrebbe condividere il cavallo con un altro cavaliere a mezza fida, sarebbe un vantaggio sotto svariati aspetti.

 

Silvia insieme a Engraido 14

Il cavallo, ultimamente, sta conoscendo un vero e proprio boom di popolarità. Persino il mondo della moda gli affida ruoli da protagonista. Penso ad esempio agli scatti che Yorgos Lanthimos ha realizzato per la campagna pubblicitaria della Primavera/Estate 2020 di Gucci, ambientata a Los Angeles. Cavalli e pony sono presenti ovunque, soprattutto nei luoghi più inaspettati: nell’autolavaggio, sull’ aereo, in mezzo al traffico, persino al supermercato e dal benzinaio. È come se vedere un cavallo nel cuore di L.A. fosse la cosa più naturale del mondo. Cosa pensi di questo concept?

Le foto le ho trovate simpatiche e anche molto belle: si nota una preparazione relativa ai cavalli molto accurata, da parte dello staff. Uno dei temi che affronteremo nell’ incontro del prossimo aprile sarà proprio come, per scattare una bella fotografia con un cavallo, sia necessario avere delle approfondite cognizioni tecniche. Non solo da parte del fotografo, ma anche di chi mette a disposizione i cavalli nonché delle modelle, soprattutto se devono montare a cavallo. Nella campagna di Gucci quelle conoscenze si colgono, non sono assolutamente foto fatte a caso (il brand ha lavorato in sinergia con l’ associazione American Humane, ndr.), e la scelta dei posti inconsueti la trovo straordinaria: il cavallo, in effetti, ha un grande spirito di adattamento. È chiaro che si troverebbe bene in un bel prato verde, gli piace correre e l’erba, per lui, è un ottimo cibo. Ma al di là di ciò, sarebbe un’antropomorfizzazione associare il cavallo solo ad ambienti naturali. In realtà si trova bene anche altrove, laddove venga abituato con i giusti modi e i giusti tempi. Se certi posti sono piacevoli per noi, di solito lo sono anche per lui. Tornando alle foto, il fatto di vedere dei cavalli inseriti in location assolutamente inusuali sottolinea il fatto che li si possa pensare al di fuori dei luoghi più stereotipati. Quando guardo queste foto, io realizzo che il cavallo è un animale eclettico e soprattutto è un animale che, come il cane, può far parte della quotidianità di una persona. Nonostante abbia, sia ben chiaro, delle necessità molto più impegnative di quelle di un cane. Ma è l’essere umano che dovrebbe iniziare a pensare che può relazionarsi con il cavallo al di là degli stereotipi e comportarsi di conseguenza. Nelle fotografie di Yorgos Lanthimos il cavallo viene portato nel nostro quotidiano, e a me fa pensare che è un animale interessante da conoscere, non solo adatto a una passeggiata o a una gara di salto ostacoli. Sembra molto naturale che venga calato in quegli ambienti, ma bisogna ricordarsi che dietro a tutto ciò c’è una profonda conoscenza dell’animale. Se così non fosse, infatti, percepiremmo una forzatura, qualcosa di brutale o di poco elegante. Purtroppo, non è raro che alcuni si affidino a collaboratori incompetenti anzichè a dei professionisti. Invece è molto importante sapere che lo staff a cui ci si rivolge sia effettivamente preparato in tema equestre. È bello constatare che chi desidera un cavallo in una foto lo renda protagonista. Nella campagna di Gucci, dove viene immortalato in luoghi insoliti, diventa infatti il protagonista dello scatto: è questa la differenza che fanno immagini del genere. Quando vedo un cavallo fotografato, che so, nella Pampa Argentina, mi torna in mente il detestabile concetto di “cavallo come mezzo”.

 

Foto di Franco Aresi

Silvia in sella a Darko

Qual è il consiglio principale che daresti a un ragazzo o a una ragazza con il sogno di diventare artista equestre?

Impegnarsi davvero tanto nella preparazione tecnica e atletica, poi pensare che è assolutamente necessaria la conoscenza di discipline come la recitazione, per esempio, o la musica. Bisogna evitare di dare per scontato che ci sia qualcosa di innato o di intuitivo nel rapporto con il cavallo. Essere creativi è bello, ma bisogna innanzitutto conoscere la tecnica. Solo dopo ti puoi esprimere, prima devi imparare. Se vuoi avere a che fare con l’arte devi apprendere anche le discipline artistiche. E andare a scuola da chi è più preparato, se necessario in scuole diverse: a patto che tu possa contare sull’ insegnante migliore per ogni materia.

 

 

Foto di Sara Baroni

Concludo chiedendoti se tra i tuoi progetti a breve termine, oltre all’incontro del prossimo aprile, ce n’è qualcuno di cui vorresti parlarci.         

L’ incontro sarà un momento in cui metteremo in evidenza quelli che saranno i nostri workshop. Il mio progetto principale coincide con un luogo, il teatro equestre che porta il nome della mia compagnia, Le Zebre, dove prepariamo sia i cavalli sia i cavalieri. Quindi, per il momento, vorrei divulgare il fatto che proprio lì offriamo la possibilità di lavorare e di imparare con noi per quanto riguarda sia la preparazione dei cavalli che le discipline ad essa collegate.

 

Silvia e Fidalgo in “Ritorno a Itaca” al Teatro Bonci di Cesena

Foto di Melis Yalvac

 

Danza aerea con Nicoletta Amaduzzi, Elisa Brunetti e…Zar. Foto di Franco Aresi