Lo Schiaccianoci, il perenne fascino di una fiaba di Natale

 

” Ora mi rivolgo a te, benevolo lettore o ascoltatore – Fritz, Theodor, Ernst, qualunque sia il tuo nome – , e ti prego di richiamare alla mente il tuo ultimo vivido ricordo di una tavola di Natale addobbata di bei doni colorati; potrai così immaginarti i bambini che, con la luce negli occhi, restano impietriti e muti, nonchè Marie che dopo un po’ con un gran sospiro dice: “Oh, che bello, oh che bello!”, e Fritz che tenta qualche capriola perfettamente riuscita. Quell’ anno i bambini dovevano essere stati proprio buoni e ubbidienti, perchè non avevano mai ricevuto in dono tanti regali così belli e magnifici come quella volta. Sul grande abete al centro stavano appese tante mele d’oro e d’argento. Confetti e caramelle colorate e ogni tipo di leccornie spuntavano dai rami come se fossero gemme e fiori. Ma bisogna ammettere che la cosa più bella, in quell’ albero delle meraviglie, erano le centinaia di piccole luci che tra i suoi rami scuri brillavano come stelline. L’ albero stesso, illuminato dentro e fuori, sembrava invitare i bambini a cogliere i suoi fiori e i suoi frutti. Attorno all’ albero era tutto meravigliosamente scintillante e colorato…Quante belle cose! Se solo si potessero descrivere…”

Ernst T.A.Hoffmann, da “Lo schiaccianoci. Una fiaba di Natale.”

 

 

Natale è terminato da poche ore, ma vale la pena di prolungare le sue atmosfere con uno dei racconti migliori di sempre, “Lo schiaccianoci” di Ernst T.A. Hoffmann. La storia di Maria (o Clara, come viene chiamata nella trasposizione danzata del libro), Fritz e Schiaccianoci, le loro avventure tra realtà e sogno nella notte più magica dell’ anno, sono un classico natalizio che ha dato origine anche al suggestivo balletto musicato da Piotr IlicTchaikovsky e coreografato da Marius Petipa oltre che, molti anni dopo, da icone della danza del calibro di George Balanchine e Rudolf Nureyev. Queste testimonianze fotografiche rappresentano quindi un omaggio ad una fiaba e ad un balletto – di cui VALIUM aveva già parlato in occasione del live sul grande schermo di “The Nutcracker” del Royal Ballet, rileggi qui il post – che non cesseranno mai di rievocare l’ incanto delle feste natalizie.

 

 

 

 

 

 

Foto, dall’ alto verso il basso:

Sammydavisdog via Flickr, CC BY 2.0

Larry Lamsa via Flickr, CC BY 2.0

Gabriel Saldana via Wikimedia [CC BY-SA 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0)]

Larry Lamsa via Flickr, CC BY 2.0

Main State Ballet via Flickr, CC BY 2.0

Larry Lamsa via Flickr, CC BY 2.0

Larry Lamsa via Flickr, CC BY 2.0

 

Yule, Solstizio d’ Inverno

 

Oggi, l’ Inverno fa il suo ingresso ufficiale. La notte raggiunge la sua massima durata e il giorno è un barlume fugace, pronto a svanire dopo poche ore. I fiocchi di neve, prima di imbiancare il suolo, sembrano cristallizzarsi nell’aria gelida: freddo e oscurità predominano. L’ atmosfera è impregnata di un sentore magico, il tempo si arresta come per immortalare istanti di solennità. E’ il Solstizio d’Inverno, e già da domani la luce, seppur impercettibilmente, farà poco a poco il suo grande ritorno. Non è un caso che l’ inglese “Yule” paia derivare dal norreno “Hjòl”, “ruota”, perchè con il Solstizio la ruota dell’ anno si trova nel suo punto più basso prima di ricominciare a salire. Da Hjòl potrebbero aver avuto origine il tedesco, il danese e lo svedese Jul così come l’islandese e il norvegese Jol, che stanno entrambi ad indicare sia il Solstizio d’Inverno che il Natale. I popoli germanici precristiani erano soliti associare innumerevoli leggende e simbolici rituali a questa data di transizione tra il buio e la luce. Ecco allora il Vecchio Sole che muore e il Sole Bambino che viene al mondo, il Re Agrifoglio (il re dell’ anno vecchio) che lascia il posto al Re Quercia (il re dell’ anno nuovo) ma, soprattutto, i falò: supremi emblemi di luce, inneggiavano alla rinascita del sole. Gli antichi Celti li tramutarono nel perno delle loro celebrazioni, danzando e festeggiando fino all’ alba intorno ai fuochi propiziatori. A Yule morte e rinascita sono mediate dalla trasformazione, poiche tutto ciò che perisce si trasforma per originare una nuova vita; è all’eterno ciclo della natura, infatti, che si rifanno i miti del Solstizio. E in questo primo giorno d’ Inverno, voglio augurarvi un Felice Yule con una spettacolare serie di abiti di Haute Couture: bianchi e fiabeschi come quelli di una Regina delle Nevi.

 

Ralph & Russo

Guo Pei

 

Givenchy

 

Ashi Studio

Georges Hobeika

Jean-Paul Gaultier

 

Yanina Couture

Dolce & Gabbana

 

Stephan Rolland

Elie Saab

 

Illustrazione “La Regina delle Nevi” by Elena Ringo http://www.elena-ringo.com [CC BY 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/3.0)]

 

Sulle tracce del Principe Maurice: il Buon Natale del Principe ai lettori di VALIUM

 

Lo avevamo lasciato tra le brume halloweeniane e lo ritroviamo sotto lo splendente sole di Palma di Maiorca: il termometro segna 22 gradi, la vegetazione rievoca atmosfere tropicali. Il Principe Maurice è nel suo buen retiro per festeggiare il Natale (non importa se in anticipo, e più avanti capirete il perchè) con i tanti amici che vivono sull’isola. Cene, party e aperitivi si susseguono, l’allegria è incrementata dalla perenne estate maiorchina, l’ esuberanza dei colori si riflette persino nel presepe che Maurice ha allestito. Ma il Principe è di buonumore a prescindere. Il Natale è una delle ricorrenze che preferisce: un break da condividere con le sue molteplici famiglie, dove per “famiglia” si intendono i vincoli di sangue così come le amicizie e i legami professionali di lunga data. Non è un caso, quindi, che le festività di  Maurizio Agosti Montenaro Durazzo  – questo il (nobile) nome con cui è registrato all’ anagrafe – si snodino tra le location più disparate. Tra un volo e l’altro sono riuscita a rintracciarlo proprio a Palma, ed è da qui che invia il consueto messaggio di auguri a tutti i lettori di VALIUM: perchè anche noi, da un po’ di tempo a questa parte, siamo onorati di rappresentare una delle sue famiglie!

Innanzitutto tanti cari auguri, Maurice. So che nel 2020 ci sorprenderai con una serie di performance inedite e sempre più esplosive, ma intanto raccontaci come sarà il tuo Natale…

Come hai anticipato, il mio Natale sarà suddiviso tra tanti luoghi e tante famiglie. Dalla famiglia vera e propria – ossia da mia sorella – vado ormai da anni il giorno di Santo Stefano, quando ci riuniamo insieme ai pochi parenti rimasti, e con i miei pronipotini il Natale sarà ancora più dolce. In questi giorni però sono a Palma, sull’ isola di Maiorca, con la famiglia costituita dai miei cari amici del posto: ho un programma di feste prenatalizie molto fitto, molto bello e interessante, oltre che appuntamenti di lavoro per eventi da realizzare qui nel 2020. Ve ne parlerò piu avanti! Quindi, dopo una serie di cene e di cocktail tra Milano, Roma e Maiorca, la vigilia di Natale la passerò probabilmente a Venezia, a casa mia, e spero di riuscire ad andare alla messa di mezzanotte di San Marco (augurandomi che non ci sia l’acqua alta) perché io adoro le vigilie, le celebrazioni, le messe: sono cattolico, e in fondo amo questa tradizione.  Il fenomeno dell’acqua alta a Venezia è sempre piu frequente, la Basilica è stata danneggiata e dato che con immensa emozione, il 20 Novembre scorso, ho avuto l’onore di accendere le luminarie di Piazza San Marco insieme al sindaco Luigi Brugnaro, vorrei completare il mio iter natalizio assistendo  ad una messa meravigliosa, con un grande coro, come lo è quella di San Marco la notte della vigilia. Il giorno di Natale sarò invece a Treviso per un pranzo dai Venerandi: un’ altra mia famiglia. Sono i titolari dell’ Odissea, un locale a dir poco incredibile, e organizzeranno un pranzo di Natale riservato agli amici e ai familiari. Io con loro collaboro moltissimo e sarà un piacere prendere parte a questo appuntamento! Dopodichè, subito in treno fino a Milano, dove già in serata andrò da mia sorella per la consueta riunione familiare di Santo Stefano. Dovrò organizzare un intero Tir di giocattoli destinati ai nipotini, perché mi piace tanto fare il Babbo Natale di turno.  Preferisco fare Babbo Natale piuttosto che la Befana! (ride, ndr) Infine, tra il 27 e il 30 Dicembre preparerò il Capodanno che passerò a Treviso, all’ Odissea, dove ho in programma un megaspettacolo. L’ anno scorso ho portato con me un cavallo dalle sembianze di unicorno. Stavolta ho in serbo una grande sorpresa, ma ve la svelerò solo a posteriori per non “fare spoiler”! Le mie feste sono movimentate come la mia vita, però devo dire che sono gioiose e ben condivise. Il Natale, secondo me, va vissuto proprio con questo spirito.

 

Il Principe, testimonial per l’accensione delle luminarie natalizie in piazza San Marco, insieme al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro.

Gli auguri di Natale del Principe Maurice, per VALIUM, sono ormai un’ istituzione: quali parole dedichi ai nostri lettori in questa attesissima occasione?

I tempi che viviamo sono strani, duri. Sono tempi dove si hanno poche certezze dal punto di vista politico, sociale ed economico. E’ importante, quindi, la certezza di avere accanto chi si ama in questa ricorrenza così tenera e gioiosa perchè coinvolge la figura di Gesù Bambino, dei bambini che sono felici di ricevere regali. Il mio augurio è che possiate trascorrere un Natale in assoluta tranquillità, serenità, al riparo dalle preoccupazioni che con l’anno prossimo, probabilmente, torneranno ad attanagliare l’anima. Il mio messaggio, non solo a Natale ma in qualsiasi circostanza, è quello di valorizzare i rapporti umani: i rapporti tra amici, tra familiari, perché sono l’unica cosa certa e bella che possiamo avere nella vita. Su questi punti fermi – perché lo sono – dobbiamo concentrare le energie per sentirci pronti ad affrontare tutte le prove che l’ esistenza ci mette di fronte. Le feste natalizie rappresentano quei pochi istanti di gioia che vanno condivisi. Il mio consiglio è di non mandare messaggi di auguri tramite i social. Telefonate alle persone care, ascoltate la loro voce e donate. Il regalo più bello è l’umanità: torniamo ad essere più umani. Un altro dei miei auspici è che questo momento di pace porti maggior consapevolezza nei confronti dei problemi, soprattutto quelli inerenti alla natura ed ai cambiamenti climatici che stanno devastando il pianeta. A Venezia ne abbiamo preso coscienza con l’ episodio drammatico dell’ acqua alta. Vi auguro, quindi, che il vostro Natale sia  un momento di pace, di serenità, ma anche di riflessione.

 

Il presepe “maiorchino” di Maurice

Sempre Maiorca: 22 gradi, pieno sole..

…e una natura lussureggiante

A conclusione della photogallery, torniamo a Venezia con l’aristocratico (quanto suggestivo) presepe a Palazzo del Principe

 

Photo courtesy of Maurizio Agosti

 

Il surreale Natale di ROD Almayate

 

Potreste pensare ad un colore migliore del giallo per rappresentare ROD Almayate? Emblema deIla vitalità, dell’ immaginazione, della conoscenza, riflette i codici del marchio alla perfezione. Ma c’è un valore aggiunto nel connubio tra il giallo e la label di gioielli disegnata da Roberto Ferlito: il rimando al sole dell’ Andalusia, quel sole lucente e infuocato che risplende su un mare azzurrissimo. E’ proprio  a pochi passi da Malaga che ROD Almayate ha stabilito i suoi headquarter, laddove i cardini della tradizione spagnola sono prepotentemente confluiti (rivisitati e corretti) nell’ iconografia del brand fondato a Firenze nel 2012 con il nome di Schield. I lettori di VALIUM hanno già avuto modo di imbattersi nel duo composto da Roberto Ferlito e Diego Diaz Marin, rispettivamente direttore creativo e art director di ROD: ospitati in svariate occasioni, Diego e Roberto sono due amici di lunga data di questo blog (rileggi qui l’ intervista relativa al lancio di ROD Almayate). La loro cifra è l’irriverenza, l’ironia surreale, un’ inventiva a briglia sciolta che non conosce limiti. E se a Natale siamo tutti più buoni, i due decidono di rincarare l’audacia venandola di sfrontatezza e di mordacità, ma senza tralasciare i toni giocosi. Ecco allora una campagna, scattata dal sempre esplosivo Diego Diaz Marin,   che elegge il giallo di ROD a colore natalizio per eccellenza e lo esalta in ogni scatto.

 

 

Gialle sono le palline appese all’ albero di Natale, gialli sono i pacchi accumulati ai suoi piedi, giallo è il logo del brand: la luminosità prevale al pari del sole che brilla su Almayate, uno spirito playful la fa da padrone. La modella assaggia le sfere dell’ albero scambiandole per dei frutti succosi, Paco – il bulldog francese di Diego e Roberto – assiste a un suo spuntino a base di biscotti pan di zenzero prima che si faccia immortalare, inginocchiata quasi religiosamente e con le forme curvy fasciate da un abito sfrangiato come un “mantòn de Manila” (il tipico scialle andaluso), mentre regge tra le mani una montagna di pacchi.

 

 

Negli altri scatti, tra stelle, palline e fiocchi ornamentali, campeggiano gioielli  tratti dalle collezioni più iconiche create da Roberto Ferlito. Ritroviamo gli orecchini della serie Guillermina Flower (il cui nome è un omaggio alla madre di Diego), grandi fiori in palladio e ottone placcato oro tempestati di cristalli Swarovski, così come quelli a forma di cerotto della Pharmacy Collection e le due gambe femminili appartenenti alla linea Body Lovers; oppure, ancora, i gamberetti in versione “tapas” inseriti nella collezione Tapeo (dove l’ ispirazione attinge ad uno dei riti più amati dagli spagnoli, quello delle “tapas” serali). Tra le collane risaltano il girocollo Teeth, composto da molari in ottone placcato oro impreziositi da Swarovski multicolor, ma anche lo sfavillante choker Puri Lace che, con la sua foggia a laccio di scarpa, fa da leitmotiv all’ omonima collezione. Ma è la linea Body Lovers a oltrepassare il confine tra creatività e irriverenza, sfoggiando l’ ironia che permea l’universo di ROD a 360°: denominatore comune, un sesso femminile inciso sui ciondoli dei collier, sugli anelli e sui bracciali. Come a ribadire che, partendo da Schield fino ad approdare a ROD Almayate, un humor provocatorio e dissacrante resta il fil rouge di ogni progetto di Diego Diaz Marin e Roberto Ferlito.

 

GUILLERMINA FLOWER

PHARMACY

BODY LOVERS

 

TAPEO

TEETH

PURI LACE

Pendant Pussy Gold, dalla collezione BODY LOVERS

 

All Photos by Diego Diaz Marin

 

Merry Vintage Christmas

 

Natale non è Natale, senza un tocco vintage. La stessa iconografia di questa festa rimanda ad un passato divenuto mitico: il focolare acceso, Babbo Natale e la sua slitta di renne, le fiabe lette davanti al camino…quell’ atmosfera magica che tra luci, addobbi e pacchi regalo trasporta in una dimensione dove realtà e fantasia si intrecciano e le tradizioni si fondono con leggende che, in questo periodo, potrebbero persino risultare veritiere. Oggi, tra social e tecnologia padroneggiata a menadito, i bambini subiscono sempre di meno la fascinazione del Natale. Lo spirito a cui si associava un tempo, intriso di meraviglia e di stupore, però non è andato perso: lo testimoniano le cartoline di auguri d’antan ormai tramutatesi in preziosi oggetti da collezione. La prima ad uso commerciale apparve nel 1843, quando il businessman inglese Henry Cole commissionò ad un disegnatore 1000 Christmas Card da far stampare e da inviare ai propri cari.

 

 

Fu proprio durante l’età vittoriana che le cartoline natalizie conobbero un vero e proprio boom, propagatosi ulteriormente con lo sviluppo dell’ industrializzazione. All’ epoca soggetti come Babbo Natale, gli angeli, l’albero di Natale, i paesaggi innevati e soprattutto un’ infanzia felice, unita nell’ incantata attesa della vigilia, predominano, ma le illustrazioni variano anche a seconda delle tradizioni locali. Nel mondo anglossasone, dove i cardini delle festività natalizie si intersecano più marcatamente con la leggenda, prevalgono immagini e personaggi fantasiosi, come usciti da una fiaba. Ma in generale la gioia, la sorpresa e un pizzico di enigmaticità, probabilmente scaturita dal mistero che aleggia sul Natale, la fanno da padrone. Nella seconda metà dell’ Ottocento, la voga delle Christmas Card approda oltreoceano e spedire i propri auguri diventa un must al punto tale che i postini faticano a recapitare la copiosa corrispondenza. La Germania detiene allora la supremazia nella produzione di cartoline natalizie, che esporta negli States in quantità industriali. Solo nel 1915, con l’avvento sul mercato della Hallmark, le Christmas Card diventano una realtà in tutto e per tutto Made in USA.

 

 

Oltre un secolo dopo, il panorama degli auguri natalizi è completamente cambiato. L’ era di Internet e delle comunicazioni via e-mail o messaggistica, tuttavia, non ha relegato nel dimenticatoio le cartoline: saranno antichi reperti, testimonianze di un’ epoca ormai lontana, però non cesseranno mai di affascinare. Perchè possiedono lo straordinario atout di rappresentare la quintessenza del Natale, ovvero quel mood, quello stato d’animo che poco ha a che fare con la tecnologia ma molto, moltissimo, con la fiaba.

 

 

 

Cartoline, dall’ alto verso il basso: eccetto le nn. 3, 7, 8, 9, 11, 14, 16, 18, 22, tutte via Dave from Flickr, CC BY-ND 2.0

Cartolina n. 17 via Rawpixel from Flickr, CC BY 2.0

 

Rexanthony si racconta: conversazione con “The Lord of Techno”

 

Questa intervista ha il martellante sound della techno come sottofondo. Le sue note incalzanti e ritmatissime sottolineano ogni concetto, ogni argomento discusso. E siccome a tutto c’è un perchè, il motivo ha un nome ben preciso: quello di Rexanthony. Ebbene sì, proprio lui, “The Lord of Techno”, che oggi ho l’onore di ospitare su VALIUM. L’ amore per la musica è impresso nel suo DNA, e non poteva essere altrimenti per il figlio di Antonio Bartoccetti (fondatore delle band Jacula e Antonius Rex) e Doris Norton, musicisti icone nei generi – rispettivamente – del dark-prog e dell’ elettronica. La prima esibizione di Rexanthony (all’ anagrafe Anthony Bartoccetti)  avviene prestissimo e risale a quando, appena tredicenne, calcò il palco del Cocoricò di Riccione. Da allora, non ha più smesso di entusiasmare il pubblico e di radunare folle immense ad ogni suo live.  Classe 1977, nato a Fabriano, a poco più di 40 anni Anthony vanta una carriera quasi trentennale.  Si dà allo studio del pianoforte in tenerissima età e si appassiona contemporaneamente al synthesizer, che diverrà un leitmotiv della sua ricerca sperimentale. Nel 1990 già compone musica; un anno dopo esce il primo singolo, “Gas Mask”, di colui che potremmo definire l'”enfant prodige della techno”, ma è nel 1992 che esplode il boom Rexanthony: “For you Marlene” e “Gener-Action”,  in stile techno-rave, svettano al primo posto delle chart internazionali. Per Anthony sarà l’ inizio di un successo che non ha mai conosciuto momenti down, contraddistinto da live partecipatissimi nei club di punta del mondo della notte e da hit che si tramutano in veri e propri cult. Ricordiamo gli esplosivi “Capturing Matrix”(1995), rivisitato in infinite versioni, “Polaris Dream”(1996), l’album “Audax” (1998) (definito dalla critica il suo lavoro più significativo di rock elettronico/sperimentale), che si affianca ad opere come gli album della serie “Technoshock” e a quelli dedicati al Cocoricò. Incoronato “The Lord of Techno”, Rexanthony non abbandona il genere che gli scorre nelle vene e il principio del terzo millennio, per lui, coincide con una nuova serie di successi. Qualche esempio? “Hardcorized” (2001), “Capturing Future” (2003), il progetto “War Robots” (2008), focalizzato su temi come i diritti umani e le problematiche sociali. All’epoca, pensate, sono già uscite oltre 500 compilation delle sue hit! Con il passar del tempo, Rexanthony partecipa a innumerevoli eventi (per citarne solo alcuni, i Memorabilia del Cocoricò di Riccione) e lancia brani che entrano immancabilmente nella leggenda. Impossibile menzionarli tutti: vi basti sapere che, in prima persona,  Anthony compone, arrangia, realizza la parte musicale e vocale di ogni album che dà alla luce. A partire dalla techno, la sua sperimentazione coinvolge sound quali l’ hardtrance, l’hardcore, l’hardcore jungle, la cyber techno…con un’ energia sempre immutata, travolgente e trascinante come i live di cui è protagonista, dove incita il pubblico fino a farlo diventare parte integrante della performance. Nel colloquio che segue, sarà “The Lord of Techno” in persona a raccontarvi molto di più sul suo percorso e a rivelarvi le sue opinioni sui più disparati temi. Enjoy it!

Innanzitutto, come ti presenteresti ai lettori di VALIUM? Ho notato che, in rete, c’è ancora qualcuno che ti definisce un “dj”…nonostante la fama e una carriera internazionale.

Dal 1991, anno di esordio della mia carriera musicale, ad oggi la maggior parte delle mie performance sono state eseguite all’interno di club… e il club viene spesso associato musicalmente alla figura del deejay. Figura che nei primi anni ’90 si esibiva in consolle spesso nascoste e poco in risalto utilizzando i giradischi, in quanto il sound era riproducibile e mixabile solo attraverso i vinili. Tutto questo richiedeva molto impegno tecnico ed anche economico, visto che per acquistare musica attraverso i vinili era necessario investire interi stipendi. Io ho sempre apprezzato e mai sottovalutato la figura del deejay, che però è ben distinta da quella di un musicista. Negli anni ’90 il musicista era colui che creava la musica attraverso le note e il deejay colui che acquistava i dischi degli artisti che preferiva per poi ‘“suonarli” in discoteca. Oggi le cose sono decisamente cambiate, grazie anche all’avvento delle moderne tecnologie che hanno semplificato di molto tutti i vari processi. La maggior parte dei nuovi artisti sono “tuttofare” partendo dall’auto-gestione della comunicazione (social, foto, grafiche, loghi, video) alla produzione in studio, dalla creazione della copertina alla distribuzione autonoma nei portali online tramite i siti aggregatori (dato che il supporto fisico è scomparso quasi del tutto), dalla gestione di un tourdates all’esibizione e quant’altro. Il 99% di loro affonda al primo viaggio, pochi altri invece riescono ad ottenere consensi di pubblico e quindi a crearsi una vera e propria carriera. Ciò che è molto complicato oggi, oltre ad arrivare al successo, è poi mantenerlo… la concorrenza si è moltiplicata ai massimi livelli, è spietata e c’è gente disposta a tutto pur di arrivare sotto ai riflettori. Chi suonando senza richiedere compensi, chi addirittura pagando per poter suonare…così si dice… Senza tralasciare quella fascia caratterizzata da “facoltosi” che si svegliano una mattina qualsiasi pensando di fare il deejay… investendo sulla propria immagine anche milioni di euro. E ce ne sono tanti. Tornando alla tua domanda rispondo dicendoti che ai lettori di VALIUM mi presento come “performer”. Dopo i miei primi 28 anni di carriera credo che il termine “perfomer” sia quello che più mi si addice… un performer può essere un musicista che sa suonare le tastiere o un pianoforte, un vocalist che sa incitare il pubblico, un deejay che sa scegliere le tracce giuste al momento giusto e mixarle alla perfezione così da tenere il pubblico incollato in pista.

 

Rexanthony live al Cocoricò

Il tuo approccio alla musica è avvenuto quando eri giovanissimo. Ricordi il preciso istante in cui hai deciso che sarebbe diventata la tua vita?

Hai detto bene, l’esordio nel mondo artistico è iniziato davvero molto presto: parliamo del Marzo 1991. Questo primo approccio alla musica è avvenuto attraverso una doppia esibizione al Cocoricò di Riccione (grazie a Ferruccio Belmonte che aveva creduto in me) per presentare al pubblico quello che poi sarebbe diventato il mio primo singolo “Gas Mask”, oltre a vari inediti del futuro primo album. A mezzanotte, prima esibizione al Titilla in occasione di una convention per deejays e più tardi seconda esibizione in sala grande, meglio conosciuta come la Piramide. Avevo 13 anni (all’epoca a 13 anni si era ancora bambini), avevo suonato live con tastiere e campionatori alle 3 di mattina davanti a 4.000 persone, il tutto con estrema nonchalance. Quando la mattina successiva mi sono risvegliato nel mio letto ripensando all’incredibile esperienza vissuta poche ore prima, ho pensato che quella sarebbe stata la mia vita, la mia dimensione… il mio futuro.

 

Due foto a confronto scattate al Cocoricò: Rexanthony al suo debutto ed oggi. Nello scatto del 1991 è visibile suo padre, il noto musicista dark-prog Antonius Rex

Per quale motivo hai scelto il nome d’arte di Rexanthony?

Provengo da una famiglia di artisti per cui posso ritenermi figlio d’arte, con la differenza che se per i miei genitori la musica era un hobby da coltivare nel tempo libero, per me si è rivelata sin da subito un’attività vera e propria. Parliamo di Doris Norton (che agiva su un territorio musicale orientato verso l’elettronica 80’s) e Antonius Rex, progetto legato a un mondo musicale opposto, vale a dire quello del rock-progressive, oggi molto quotato a livello mondiale dai cultori del genere. Il mio vero nome è Anthony (nome inglese ma nato in Italia), per cui per creare il nome d’arte è stato abbinato il termine Rex (che in latino significa “Re”). Da qui è nato Rexanthony.

Sei conosciuto anche come “The Lord of Techno”: com’è scoccata la scintilla con questo genere musicale?

Essendo nato alla fine degli anni ’70, la colonna sonora che mi ha accompagnato durante i miei primi anni di vita era caratterizzata da un sound tipicamente dance 80’s (Alphaville, Propaganda, Raf, Pet Show Boys, Talk Talk, Michael Jackson ed altri). Mi piaceva… ma sentivo che non era quella la mia vera dimensione. Mancava qualcosa. Ho provato con il rock ma non mi faceva nè caldo nè freddo… tuttavia la mia mentalità rimaneva orientata verso l’elettronica e tutto ciò che era ballabile e potente. A 12 anni (quindi nel 1989) mi reco nel mio negozio di dischi di fiducia di Fabriano e il proprietario mi mette tra le mani un nuovo CD, proponendomelo come grande novità del momento in ambito elettronico: “Pump Up The Jam” dei Technotronic. Mi è bastato l’ascolto dei primi 30 secondi a tutto volume per capire che avevo trovato ciò che cercavo. Il produttore dei Technotronic aveva dato vita ad un sound differente creando di fatto un taglio netto con gli anni ’80, utilizzando come base ritmica, in primissimo piano, i componenti dell’immortale batteria elettronica Roland TR909. Il tutto condito con linee di basso molto potenti e innovative, oltre a particolari voci che rappavano in modo assolutamente alternativo. Da li ho iniziato a farmi una cultura evolutiva basata appunto su queste sonorità (dette da “cassa dritta”), passando attraverso i Twenty 4 Seven, FPI Project, Snap, 808 State per poi incanalarmi verso una techno decisamente “più techno” rappresentata dai vari Speedy J, Lory D., LFO, Digital Boy, Phenomania, PCP, L.A. Style, da label tipo Warp e così via… E’ grazie a questo tipo di sonorità che mi è arrivata la giusta ispirazione per iniziare a comporre i primi dischi. Per cui sin da subito il mio nome d’arte è stato associato al genere techno… e dopo aver collezionato tanti bei traguardi nel corso della mia carriera quasi trentennale, mi è stato assegnato l’appellativo di Lord Of Techno.

 

Un momento magico: sulla mitica Piramide di Riccione sorge l’alba

Che rispondi a chi, per un pregiudizio ormai anacronistico, tende ancora ad associare “techno” e “sballo”?

La ricerca dello “sballo” ha sempre fatto parte dell’essere umano e può essere associato a tante categorie tra cui ovviamente quella musicale. Chi però associa lo sballo solo alla techno commette un errore molto superficiale… e probabilmente è abituato a emettere sentenze senza aver vissuto la realtà. La mia cultura è basata sulla techno ma non per questo non ho rinunciato a “sbirciare” altri mondi musicali, altre realtà, ad esempio partecipando a concerti di artisti completamente lontani dal mio mondo (Vasco Rossi, Black Sabbath con Ozzy Osbourne, Machine Head, Prodigy, Chemical Brothers, Apollo 440 e molti altri). Ed è proprio sulla base di queste esperienze che posso assicurare che lo sballo non esiste solo nella techno… anzi… ne ho viste davvero di tutti i colori, molte più di quanto io possa averne viste in 28 anni di esperienza in clubs e rave. Ma non per questo, da persona intelligente che ritengo di essere, punto il dito verso un genere musicale. Io ho sempre sostenuto che lo sballo nella techno (e nelle sue tantissime sfaccettature tipo trance, hardtrance, hardcore, gabber, harstyle, psy) sia la musica stessa… Musica capace di farti sognare, emozionare, sudare, stancare e soddisfare in tutto e per tutto senza dover necessariamente ricorrere all’uso di sostanze inutili o a quantità eccessive di alcool. Chi lo fa è solo un debole senza carattere che non ama se stesso… e nemmeno il prossimo, dato che in stato alterato può causare incidenti distruggendo vite di innocenti. Dato che ognuno di noi talvolta ha bisogno di sfogare le proprie energie, la techno è il modo giusto per farlo. Ovviamente se ascoltata ad alto volume, musicalmente di qualità, in ottima compagnia e in location di un certo livello.

 

On stage all’ evento “We Are History”

Il Cocoricò è stata un po’ la tua culla. Cosa pensi delle recenti vicissitudini che lo riguardano?

Molti fans mi definiscono come un dei principali deejay storici del Cocoricò: in realtà ciò che accomuna Rexanthony e il Cocoricò fondamentalmente sono i due album tematici che ho prodotto (a nome del mio team Musik Research) intitolati “Cocoricò Two” e “Cocoricò Three”, oltre a una serie di live tenuti in piramide negli anni ’90. I due album menzionati hanno ottenuto un grande successo di vendite e l’album “Cocoricò Three” era entrato addirittura nella classifica Top Album di Sorrisi & Canzoni. Mi emozionava e allo stesso tempo mi divertiva trovare una mia produzione con sonorità decisamente techno/hardcore all’interno di una classifica nazionale occupata principalmente da cantautori pop italiani e stranieri. Probabilmente son quelle cose che capitano una volta nella vita… Tornando alle recenti vicissitudini che hanno riguardato l’amata piramide, credo sia saggio guardare il lato positivo. Qualcosa non deve aver funzionato a livello gestionale, senza dimenticare il fattore negativo che per l’ennesima volta ha legato il Cocoricò alla perdita di una giovane vita. Da li, secondo il mio punto di vista, il vero declino del club… una discesa sempre più ripida fino ad arrivare all’inevitabile muro di cemento armato.

 

Immortalato in una location inconfondibile: quale? Basta osservare lo sfondo…

Io ho avuto la fortuna di partecipare a uno degli ultimi Memorabilia (15 Settembre 2018) e posso confermare di aver provato le stesse identiche emozioni percepite negli anni ’90. E’ stata una serata suprema, anche musicalmente parlando, andata quasi subito in sold out. Serata denominata Memorabilia “The Origins”, per cui in consolle erano presenti molti dei protagonisti delle origini al “Cocco”: Cirillo, Rexanthony, l’americano Lenny Dee, Gianni Parrini, Saccoman, Ricci Junior (figlio di Dj Ricci, uno dei più grandi rappresentati della techno italiana), Panda e il conterraneo Dj Cek. Per quella serata esclusiva avevo deciso di mettere in piedi un live speciale andando a rispolverare e utilizzare vecchi strumenti: gli stessi identici utilizzati da me al Cocoricò nelle serate 90’s. Se ripenso alla serata del 15 Settembre 2018, per cui a Memorabilia “The Origins”, i primi flash che mi tornano in mente sono i due momenti in cui ho avuto il “coraggio” di salire in piedi in consolle: la prima per eseguire un’improvvisazione rock attraverso una tastiera-chitarra Roland, capace di emanare un suono graffiante di chitarra elettrica (situazione piuttosto insolita all’interno di un club techno). La seconda volta, con il microfono in mano sulle note di “Pyramid Power”, per invitare tutto il pubblico in pista ad abbassarsi per poi saltare in aria al mio via, nello stesso momento in cui il brano ripartiva con gran potenza. Temevo molto per la riuscita di questo esperimento, ma quando si sono accese le luci non credevo ai miei occhi: tutta la pista era chinata… e questo mi ha dato la carica giusta per portare a termine quello che per me è stato uno dei miei migliori live in carriera. Tornando alle vicissitudini del super-club, parlavo prima del lato positivo: come prevedevo, un locale storico di questa portata non sarebbe mai finito nel dimenticatoio (come purtroppo successo per tanti altri), infatti è stato immediatamente conteso da organizzazioni di tutto il mondo, per poi essere stato dato in gestione dal proprietario dei muri a una cordata romagnola, che io ritengo essere seria ed esperta del settore. E’ nei progetti una profonda ristrutturazione del locale (che onestamente parlando, purtroppo, stava letteralmente cadendo a pezzi) e cosa ancor più positiva, è già stata fissata la data di apertura: Pasqua 2020. Riguardo la scelta della linea musicale da seguire, la creazione di format, progetti su futuri special guest e quant’altro credo sia ancora tutto in alto mare… Di sicuro la nuova gestione dovrà fare un reset ripartendo dai personaggi storici che hanno reso celebre il club: mi sto riferendo ai deejay’s del Memorabilia e a mio avviso sarà fondamentale la presenza e collaborazione attiva di uno dei più carismatici performer del mondo della notte, il Principe Maurice. Gestire ad oggi un club di questo tipo è un compito veramente arduo e sarà molto difficile fargli riscrivere la stessa storia degli anni ’90, ma si parte comunque da un grande punto di vantaggio, cioè la location: a mio avviso una tra le più incredibili d’Europa, per non dire del mondo, caratterizzata da 4 fattori indissolubili: piramide, cristallo, alba e… techno. Solo chi ha avuto modo di viverci dentro può capire. Il resto sono solo chiacchiere da bar…

 

In studio di registrazione insieme al Principe Maurice

A dispetto dell’età, hai alle spalle una lunga carriera. Qual è il momento che – professionalmente parlando – rientra tra i tuoi più bei ricordi e quale, invece, vorresti dimenticare?

Trattandosi di una lunga carriera con molti traguardi raggiunti (e molti altri da raggiungere), è complicato dirti quale sia per me il ricordo più bello in assoluto. Tra i vari, potrei menzionarti il ricevimento della telefonata del mio manager dell’epoca (metà anni ’90) che mi comunicava di aver raggiunto il 1° posto assoluto in classifica nazionale Giapponese con il singolo “Gener-Action”, singolo che in Italia rimase totalmente sconosciuto. Altro momento indimenticabile, quando un pomeriggio mi arrivò un’altra telefonata storica dalla casa discografica, dove mi veniva comunicato che il video clip di “Polaris Dream” era entrato ufficialmente in heavy-rotation su MTV Europe. Altro momento di grande soddisfazione sapere che “Polaris Dream” è stato in quel periodo uno tra i 5 singoli più venduti in Italia posizionandosi ai primi posti di Sorrisi & Canzoni (in mezzo ad artisti pop tipo Vasco Rossi o Michael Jackson). Potrei citartene tanti altri, ma questi sono i primi che mi tornano in mente in questo momento… Mi chiedi anche quale ricordo negativo vorrei dimenticare: anche se non sono mancati i momenti negativi nella lunga esperienza artistica, per fortuna posso dirti che non sono stati così rilevanti da meritare un posto nei miei ricordi.

 

Memorie di un esordio da enfant prodige

Che opinione hai della trap, del rap e di tutte le espressioni musicali che attualmente i giovani sembrano prediligere?

Penso che l’Italia, musicalmente parlando, stia attraversando uno tra i periodi più bui della storia. Io, da buon musicista che ritengo di essere, ho sempre avuto molto rispetto di tutte le correnti musicali che hanno attraversato le generazioni presenti e passate… e sono sempre stato del parere che la musica debba servire per trasmettere all’ascoltatore positività, energia e che lo stimoli a viaggiare con la mente. Tuttavia, credo che la trap (genere che sta spopolando a livello di massa) non rispecchi nessuna di queste caratteristiche. Gli “idoli” che rappresentano questo genere (e che quindi sono anche di riferimento ai loro fans, perlaltro giovanissimi, poco più che adolescenti), generalmente sanno poco rappare, cantare, suonare e troppo spesso nei testi vengono trattate tematiche che includono l’uso di droghe di ogni genere, di sesso maschilista (come se la donna fosse nulla più che un oggetto da usare e buttare) e si presentano con un’immagine davvero imbarazzante, caratterizzata oltretutto anche da tatuaggi nel viso. Direi quindi un mix negativo che non dovrebbe assolutamente entrare nelle orecchie (e negli occhi) dei ragazzini. Un cattivo esempio senza se e senza ma. Spero passi al più presto per dar spazio ad artisti che magari sappiano suonare, cantare, diffondere messaggi positivi e presentarsi in pubblico con un’immagine bella e sana. Di tutt’altro pianeta la trap d’oltre oceano: gli artisti che la rappresentano sono dei veri divi e si meritano il successo ottenuto. Tra i vari personaggi che apprezzo (sia come produzioni che come dj-set) c’è senza ombra di dubbio DJ Snake. Altri rappresentanti nel mondo che mi trasmettono energia positiva (che non fanno esattamente Trap ma un genere che io definisco elettronico 2.0) in particolar modo sono K?d e Rezz. Nella domanda hai incluso anche il rap e penso che in Italia questo genere sia stato rappresentato da alcuni grandi personaggi, che magari non sanno cantare ma sanno fare quello che il genere richiede, per cui rappare. Il top, a mio avviso, è stato raggiunto negli anni ’90 quando si pensava più alla qualità del prodotto che al business… e secondo il mio punto di vista i due rappresentanti assoluti erano J-Ax e il conterraneo Fabri Fibra. Mi piaceva il loro stile e soprattutto il loro timbro vocale… Timbro che non veniva smaterializzato dall’inflazionata tecnica dell’auto-tune, programma in grado di far cantare chiunque, rendendo identica, fredda e insapore la voce di tutti questi “trapper”.

 

Rexanthony con Cirillo

“Trascinatore di folle” durante un live a Imola

La techno ieri ed oggi: quali le differenze, e quali i punti in comune?

Io sono artisticamente nato in un periodo in cui esistevano pochi sotto-generi, per cui tutta la sfera musicale elettronica, a grandi linee, veniva classificata in tre grandi filoni: dance (assegnato a produzioni per il grande pubblico, ballabili e cantabili), underground (destinato a un target tipicamente da club) e techno (da sempre visto come un genere più “pazzo” caratterizzato da ritmi martellanti, suoni acidi, alta velocità e tanta energia). Oggi le cose sono estremamente cambiate e nel corso degli anni ogni filone è stato suddiviso in decine e decine di sotto-generi… Secondo il mio punto di vista tutto ciò ha categorizzato troppo il mercato, andando a sua volta a “suddividere” gli utenti che acquistano musica e partecipano ai party. Oggi per techno si intende qualcosa di drasticamente diverso rispetto a quanto prodotto negli anni ’90: parlando di bpm, la velocità è scesa intorno ai 125 rispetto ai 140/160 del passato… le melodie sono sparite quasi del tutto lasciando spazio a loop molto ripetitivi e ritmi decisamente più standardizzati, per cui alla portata di tutti. Personalmente non mi regala grandi emozioni…anzi, mi annoia dopo appena 10 minuti di ascolto. Per me techno significa energia, velocità, ritmiche potenti e melodie che ti entrano nel cuore… e chi balla in pista deve sudare, cantare e abbracciarsi con il vicino, che anche se in realtà è uno sconosciuto, in quei momenti lo senti come uno che fa parte della tua stessa tribù.

 

Memorabilia all’ Unipol Arena di Casalecchio di Reno (Bologna)

Da qualche anno sei anche un produttore. Parlaci dei tuoi progetti più imminenti sia in queste vesti che in quelle di artista.

Un pò come avviene nel mondo del calcio, dove un giocatore adulto decide di abbandonare il campo per dedicarsi all’attività di allenatore o dirigente di squadra, io credo che la logica evoluzione di un artista sia quella di trasfomarsi in produttore e di gestire una casa discografica propria con annesso studio di registrazione professionale. Ed è quello che sto facendo io. Posso comunque tranquillizzare i miei seguaci assicurandoli che non metterò in ombra la mia attività artistica, per cui “Rexanthony” continuerà a produrre nuovi dischi e a fare serate sempre più esplosive in Italia e non solo! Tornando all’attività di produttore e alla mia casa discografica Musik Research, gestisco un roaster di artisti affermati ma anche emergenti che ritengo essere molto validi. Tra questi menziono il giovanissimo Dennis Hill e il duo Pilot Of The Dreams. Ricevo quotidianamente demo da ascoltare, di ogni tipo e di ogni genere (sempre comunque in ambito elettronico) e raramente trovo qualcosa di innovativo che mi susciti interesse. Molti credono di poter catturare l’attenzione di un produttore inviando brani creati esclusivamente con una cozzaglia di loops scaricati da internet… ma non è così che funziona. Per fare musica è necessario coltivare la passione sin da piccoli, bisogna studiare molto più di quanto non si pensi e soprattutto è fondamentale imparare a suonare.  Tutto questo ti permette di essere indipendente e, se hai talento, di dimostrarlo attraverso le sette note. Oggi potrebbero bastare una cameretta, un computer, un software musicale e… tanta fantasia per tirar fuori qualcosa che possa realmente cambiarti la vita.

 

Rexanthony live a Cuneo…

…e a Macerata

In piazzale Roma a Riccione, la città che ha fatto da culla al suo debutto

Sempre a Riccione, ma al Peter Pan: i live di Rexanthony, invariabilmente, radunano una folla oceanica

Rexanthony con Ricci Jr.