Pink Arrow Pantone: 6 look a tema

Cédric Charlier

Non è un fucsia, ma neppure uno shocking pink: potrebbe, casomai, essere un sapiente mix dei due. Quel che è certo è che Pink Arrow è la nuance di rosa più esplosiva dell’ Estate 2017, vibrante al punto tale da essere stata inclusa da Pantone nella sua stilosissima palette stagionale. Con una pink fever ormai alle stelle, Arrow seduce per la vivida tonalità tropicale. Il suo nome, dopotutto, è una garanzia:  “arrow” come la freccia che trafigge il cuore durante un “coup de foudre” fatale. Intrigante, energetico, incantatore, del nuovo rosa Pantone risalta la gradazione che vira lievemente al viola. E’ proprio questo l’ atout che, dotandolo di una sofisticatezza extra, rende Pink Arrow un must nella top ten delle cromie estive.

Valentino

Ralph Lauren

Givenchy

Trussardi

Wanda Nylon

“Lust for Life”: Lana Del Rey e la gioia di vivere

 

Al via il countdown all’ uscita di Lust for Life, la nuova fatica discografica di Lana Del Rey. Come la stessa Lana ha annunciato su Twitter, l’ album uscirà il prossimo 21 Luglio dopo essere stato anticipato da una manciata di singoli tra cui Love, Coachella-Woodstock on my mind e Lust for life, dove duetta con The Weeknd su una melodia che è già tormentone. Ma anche riguardo ai temi trattati nel disco è disponibile qualche anteprima: Lust for life volgerà lo sguardo a 360° sulla società attuale, sulla politica, su un concetto di felicità più completo e consapevole. “La felicità è l’ obiettivo finale della vita. Penso che sia l’ unica cosa importante”, ha detto Lana a ELLE UK (n. di Giugno 2017) durante un’ intervista. Tracciando un link tra l’ indivuale e il sociale, l’ icona pop ha sottolineato l’ importanza di un adeguato background educativo-esistenziale per il raggiungimento del benessere interiore. Perchè se  la felicità non è associata a una ricetta standard, per favorirla esistono premesse e basi. Il titolo dell’ album, d’altronde, la dice lunga sul mood radioso recentemente abbracciato dalla “regina del sadcore”: Lust for Life come “gioia di vivere”, un senso della vita più corposo, l’ approdo ad una fase di superamento delle difficoltà esistenziali.

Il giro di boa coincide con un’ immersione a tutto tondo nella realtà che la circonda. Compresa, of course, l’ attuale situazione politica americana, uno dei leitmotiv del disco in uscita. Non è un caso che il sound di Lust for Life abbia una vaga impronta anni ’60: il caratteristico rétro style di Lana, stavolta, guarda all’ era della contestazione e si rifà a Joan Baez. Anche sul versante dei sentimenti le turbolenze sono ormai acqua passata. Dopo la fine della sua relazione con Barrie-James O’ Neill, frontman della band scozzese Kassidy, la fascinosa cantautrice dichiara di vivere uno stato di grazia. E, come confessa ancora a ELLE UK, una lezione di certo l’ ha imparata: quella per cui, anzichè con il frontman, “dovresti sempre uscire con il bassista”. Non ci resta che attendere il 21 Luglio – data in cui l’album verrà pubblicato su iTunes e Spotify – per lasciarci contagiare dalla nuova “gioia di vivere” di Lana Del Rey.

Photo, dall’ alto verso il basso:

  • by Jaguar Cars MENA [CC BY 2.0 (http://creativecommons.org/licenses/by/2.0)], via Wikimedia Commons
  • by Nicole Bentley via Elliott James on Flickr, “lana-del-rey-nicole-bentley-vogue-australia-02” , CC BY 2.0
  • via Themeplus on Flickr, CC BY-SA 2.0

Tendenze PE 2017: lo slogan che parla chiaro

Dior

Veri e propri slogan o parole isolate, ma fortemente evocative: la moda parla chiaro, questa Estate. Dal claim “We should all be feminists” di Maria Grazia Chiuri per Dior ai più disparati statement, la scritta si impone a chiare lettere (è proprio il caso di dirlo!) come elemento imprescindibile del look. Il trend ideale per chi adora coniugare stile e comunicazione.

Haider Ackermann

Sacai

Michael Kors

Paco Rabanne

Alexander Wang

Jeremy Scott

Gucci

Stella McCartney

Prabal Gurung

House of Holland

 

Tributo a Giulio Cingoli, Maestro del cartoon italiano

” Guardare un animatore mentre sta movimentando un personaggio è divertente perchè sul suo viso passano tutte le espressioni che sta disegnando. Il suo disegnare è una recita.”

Giulio Cingoli, da “Il gioco del mondo nuovo”

Milano, 1954, Piazza della Scala. Nella foto in bianco e nero Giulio Cingoli è ritratto di profilo, sullo sfondo di una coltre di nebbia.  Accanto a lui, Arnaldo Pomodoro in quel che si scoprirà essere un abile fotomontaggio: i due artisti si erano immortalati a vicenda nella cornice della piazza nebbiosa divenuta quasi onirica, irreale. Un’ immagine che potrebbe essere la metafora della vita di Giulio Cingoli, Maestro dell’ animazione italiana e creativo che ha ripartito il suo genio tra pubblicità, cartoon e regia. Giulio si è spento ieri, a 90 anni, nella Milano che aveva coronato il suo sogno oltre mezzo secolo prima:  nato ad Ancona dove lavorava all’ ufficio del Genio Civile, piantò baracca e burattini inseguendo il desiderio di diventare illustratore. Impresa non facile in un’ era che inneggiava al mito del “posto fisso”, tant’è che a suo padre fece credere, per anni, che nella città meneghina lavorasse come impiegato. E fu proprio tra le brume di Milano che trionfò “il pupazzettaro”, come lo chiamavano ad Ancona. A soli 26 anni divenne il primo “fornitore” RAI di cartoons e nel 1962 fondò lo Studio Orti, società di produzione e punto di riferimento per coloro che ruotavano attorno al cinema di ricerca ed alle nuove arti figurative. Il boom dello Studio Orti lo portò a lavorare con nomi del calibro di Zavattini, di Fellini (per il quale collaborò al Satyricon), a realizzare cartoons, documentari, film sperimentali e spot pubblicitari (ricordate il celebre spray che gli insetti “Li ammazza stecchiti”?). La sua liason con la TV proseguì con il lancio di programmi come Nonsolomoda, Videosera e, nell’ ’87, della RaiTre di Angelo Guglielmi.  Nel 2002 tornò al suo vecchio amore per l’ animazione dirigendo Johan Padan a la descoverta delle Americhe, film ispirato a un monologo di Dario Fo che riscosse grande successo a Venezia. Recentemente, Cingoli aveva trovato persino il tempo di dare alle stampe un libro autobiografico, Il gioco del mondo nuovo, pubblicato per i tipi di Baldini & Castoldi nel 1996. Ma nonostante il successo, nonostante i numerosi riconoscimenti ottenuti – il premio IBTS Immagina (1990 e 91), il premio Asifa alla carriera (1995), l’ Attestato di Civica Benemerenza del Comune di Ancona (2003), l’ inserimento nell’ elenco dei 100 marchigiani illustri del Resto del Carlino (2005), solo per citarne alcuni – il “pupazzettaro” non si tramutò mai in un “homo oeconomicus”: riaffiorano flash della sua aria svagata, delle sue continue divagazioni da artista e, al tempo stesso, della sua saggezza profonda. Quel che segue è un estratto dall’ intervista che mi concesse per Innovazione e tradizione, periodico edito dalla Fondazione Carifac e dalla Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana, nel 2005.

Vive a Milano da ormai 53 anni. Quali ricordi, delle Marche, si porta dentro e cosa la colpisce della realtà marchigiana attuale?

Quando ci si separa da persone e territori, tornando si pretende che nulla sia cambiato. Mentre si accetta ogni sorpresa da terre sconosciute, non si accetta il luogo natio modificato. Dove si è nati si ritorna per recuperare cose perdute. Ma è solo una speranza perché il luogo dei ricordi, col tempo, si è tutto trasformato. La vita è un racconto di vita, come ci insegna il nostro poeta di Recanati: il racconto di vita è quello che riusciamo a percepire di noi stessi, sia che giriamo il mondo, sia che restiamo fermi dove siamo… Faccio fatica a non sovrapporre le immagini delle Marche stampate dentro di me, del mio tempo, con quelle viscerali vissute con me da sempre. Quando vengo nelle terre dell’infanzia e della giovinezza, mi guardo attorno per rinverdire i ricordi, ma non penso a una trasformazione. Tutto si riempie di tutto. Una cosa è certa, la nostra terra è accoglientissima e serena. Le rocce sul mare sono figurazioni nostalgiche e le colline raccontano una strana pace. La gente sembra tranquilla, ma da qui a una soddisfazione diffusa non mi misurerei. La felicità non è di moda.

Il manifesto del film “Johan Padan a la descoverta delle Americhe”

“Milano faticherà sempre a produrre cinema, sarà un cinema molto civile e umano (…) Il grande circo carnale si può fare solo dove soffiano venti caldi e stravolgenti.”, scrive ne ‘Il gioco del mondo nuovo’. Hai mai pensato di spingersi tra i venti di scirocco della capitale per avvicinarsi al cinema fatto di attori in carne ed ossa?

No. Fo mi ha fermato per strada e mi ha fatto la proposta per il ‘Johan Padan’, ma di cartoons si trattava. Purtroppo uno dei produttori si è messo in competizione contro me e Fo, nella speranza di poter firmare anche lui, come autore. I conflitti con questo produttore hanno creato molte difficoltà e gravi mutilazioni alle scene. Il cinema ormai è cresciuto su tecnologie sofisticatissime, al punto che un produttore può imporre soluzioni con le sue attrezzature digitali, ignorando le richieste della regia. Il risultato è un conflitto permanente. Io non ho lavorato con grandi attori, ma questo produttore mi ha fatto capire quanto è difficile governare un film.

Come è nata l’idea di adattare cinematograficamente proprio quel determinato testo di Fo?

Ho conosciuto Fo e Franca Rame in RAI, durante la sfortunata serie della ‘Canzonissima’ del ’62, ritenuta dalla RAI troppo politica. Da allora, ci siamo sempre frequentati. Io e Fo abitiamo nello stesso quartiere. Filmavo sempre i suoi spettacoli ed era fatale che prima o poi ci saremmo misurati con un lungometraggio.

La copertina de “Il gioco del mondo nuovo”

A Arnaldo Pomodoro la lega un solido rapporto di amicizia iniziato a Milano, ai tempi del vostro comune impiego al Genio Civile; entrambi, ‘emigrati’ dalle Marche perseguendo sogni e passioni. Cosa è rimasto, in voi, di profondamente marchigiano?

Arnaldo e io siamo stati legati da una preveggenza. Lui era geometra al Genio Civile di Pesaro, io geometra al genio Civile di Ancona. Le nostre vite si sono incrociate più volte, ma non ci siamo mai incontrati. Poi, io ho chiesto il trasferimento al Genio Civile di Milano e lui pure. Qui ci siamo incontrati, quasi come se tutto il resto fosse stata una premonizione: a Milano, abbiamo contemporaneamente lasciato l’ufficio del Genio Civile e abbiamo costruito i nostri studi. Sempre unito l’uno all’altro. Arnaldo ha fatto un percorso straordinario e io l’ammiro molto, siamo legati da tutto…

In che modo pensa che la vostra ‘marchigianità’ vi abbia supportato (o meno) nella ricerca dell’affermazione professionale al di fuori della terra nativa? 

Nei bar di Brera, a Milano, dove si incontravano poeti, scrittori, pittori, scultori, attori, ecc. mi chiamavano ‘il pupazzettaro’, esattamente come ad Ancona. Tutto ci cambia attorno e per noi è una ginnastica infinita quella di modificarci. Mentre, contemporaneamente, tutto resta sempre come siamo.  Il pittore Cazzaniga, caro amico milanese, sceso a Portonovo per appropriarsi di una natura e di un clima estraneo a lui, ha portato a Milano quadri bellissimi di fiori e ambienti, come se fosse nato là. Poi, per nostalgia, la nebbia del nord l’ha risucchiato…La ‘marchigianità è un insieme di dolcezze e di misure. Penso le Marche come un genio dell’equilibrio, saggio (assieme all’Umbria), colto, ancora un po’ contadino, con una civiltà del vivere rara e non esibita. Non so se industrie manufatturiere troppo grandi non ne possano alterare lo stile di vita. Forse la mia distanza me la fa immaginare più dolce di quanto non sia, ma le terre natie si pensano e si sognano così.

Come vorrebbe essere maggiormente ricordato dai posteri? Regista, illustratore, cartoonist, pubblicitario o…?

Ad Ancona mi chiamavano ‘il pupazzettaro’. Spero di restare così.

 

 

Photo courtesy of Giulio Cingoli

Un ringraziamento alla Fondazione Carifac e a Veneto Banca per aver autorizzato la pubblicazione

 

 

 

 

Arriva Active Fluo, la capsule Kiko “griffata” da Arthur Arbesser

 

Per i suoi 20 anni, Kiko si dedica (e ci dedica) un regalo d’eccezione: una capsule dai colori al neon, declinata in forme essenziali e in un mood pop. Il suo nome è Active Fluo e porta la firma di Arthur Arbesser, terzo designer coinvolto nella collaborazione tra Kiko, Vogue Italia e i fashion talents inaugurata in occasione del compleanno del brand. Sin dal primo sguardo, Active Fluo colpisce come un’ esplosione di energia pura: audace, dinamica, playful, coniuga una serie di pattern grafici con strutture lineari dal marcato retrogusto sporty. Il connubio viene sottolineato dalla palette fluo e vibrante della capsule, perno fondante di un make up che non teme i riflettori e che ottimizza durata e resistenza all’ insegna di un comfort totale. L’ ispirazione guarda allo stile del Gruppo Memphis e del Superstudio, top names di un’ architettura altamente innovativa: il richiamo è nelle tonalità vivide, ma anche nel design del pack pulito e adornato di un caratteristico pattern “a griglia”.

I prodotti sono altrettanto sorprendenti. Lo smalto/top coat trasparente Neon Nail Lacquer vira al fluo se esposto a luce violetta. La Eyeshadow Palette include sei colori ad alto tasso di pigmenti, in sfumature intense e dal finish mat. La matita eyeliner Eye Pencil è morbida e scorrevole ma delinea un contorno occhi incredibilmente nitido, mentre Neon Lipstick riveste le labbra di colore pieno grazie alla texture vellutata: entrambi, così come Neon Nail Lacquer e la matita labbra/corpo Lip & Body Pencil, diventano fluorescenti con luce violetta.

 

La capsule è allegata a una pochette iperpratica e ad uno Smartphone Holder “a tema”. Trattandosi di un compleanno, inoltre, il bijoux è d’uopo: acquistando tre prodotti della collezione Active Fluo, potrete ricevere in omaggio un braccialetto e un sofisticato charm.

Magnum x Moschino fa boom a Cannes

Una sequenza del film

Magnum torna al Festival di Cannes e lo fa da star vera e propria. Per il lancio dei due nuovissimi gusti Double, Cocco e Lampone, si affida infatti a un’ esplosiva sponsorship con Moschino e Cara Delevingne in una campagna dal nome indicativo, “Libera il tuo istinto“, tutta all’ insegna della più audace espressione dell’ identità personale. Focus dell’ advertising è il film “Magnum x Moschino”, un corto per la regia di Jeremy Scott che vede protagonisti Cara Delevingne ed una serie di personaggi cartoon ideati da Scott in collaborazione con Uli Meyer, nome di spicco di cult dell’ animazione come “Chi ha incastrato Roger Rabbit?” e “Space Jam”: nel film, Cara passeggia sicura addentando un Magnum Double che ingolosisce, ipnotizzandoli con il suo irresistibile aroma al cioccolato,  i personaggi animati via via incontrati per strada. Ma – ahimé – nessuno di loro riuscirà a impossessarsene, rimanendo con un palmo di naso e l’acquolina in bocca!

Jeremy + Cara

L’ inizio del film diretto da Jeremy Scott

Il perchè della scelta di Cara Delevingne come testimonial non lascia spazio a dubbi. Travolgente, stravagante, spigliata, la top è l’ incarnazione perfetta dello spirito di “Libera il tuo istinto” e “Osa con Double”. Jeremy Scott, dal canto suo, ne è la controparte maschile eccellente: con il suo stile pop e coloratissimo, rivela un lato wild che ostenta senza alcun timore. “Per me, la collaborazione con Magnum, dalla creazione di questi personaggi animati alla regia del film, è stata più che divertente.” – ha spiegato il direttore creativo di Moschino – “Lavorare con Cara è stato straordinario, ed essere coraggioso nel campo della moda è una cosa a cui miro ogni giorno nel mio lavoro. La moda è un mezzo di espressione che allo stesso tempo ti dà piacere e ti permette di mettere in mostra la tua personalità e il tuo carattere. E’ stupendo poter dare alle persone questo mezzo espressivo. “

 

 

Al Festival di Cannes, il 18 Maggio scorso, il goloso Magnum Double e la partnership Magnum x Moschino hanno calamitato l’ attenzione unanime. Acclamatissimi, Cara e Jeremy hanno furoreggiato in un party dalle molteplici sorprese: una su tutte, la presentazione della capsule di borse Magnum x Moschino griffata Jeremy Scott, una serie di shoppper dal mood giocoso e dai colori brillanti su cui campeggiano i personaggi animati del film. Le borse sono acquistabili nel website Moschino o possono essere vinte partecipando al concorso appena lanciato da Magnum (per info, visitate il sito del brand). Ma il duo Scott-Delevingne si è anche cimentato nella creazione di special versions del gelato bestseller apprezzatissime nel Magnum Dipping Bar. Magnum by Cara si è fatto deliziosamente notare per dettagli quali i petali d’ibisco, le scaglie d’argento e i lamponi schiacciati, mentre Magnum by Moschino, impreziosito da guarnizioni di caramelle frizzanti blu/oro e sale marino delle Hawaii, ha riscosso un plauso generale.

La capsule di shopper in colori pop

 

 

Con queste strepitose premesse, non c’è bisogno di aggiungere che il party Magnum x Moschino sulla Croisette si sia rivelato memorabile. Ad infuocare la serata, The Misshapes, Sita Abellàn e Kiddy Smile con i loro dj set: tra Cara, Jeremy e una soundtrack del genere, per “liberare il nostro istinto” non potrebbe esistere cocktail migliore.

Tendenze PE 2017: il trionfo delle maniche scultura

Jacquemus

 

Balze, increspature, ruches, lunghezze esagerate: le maniche si impreziosiscono e accentuano a 360° la loro allure. Protagoniste assolute dell’ outfit, potrebbero addirittura proporsi come dettaglio a sé stante per la loro sartorialità ricercata. Come sculture vere e proprie vengono esaltate da una struttura accuratissima e deliziosamente “importante”. Non  stupisce affatto che la Primavera/Estate 2017 le veda in top position nella classifica dei trend.

Delpozo

Pringle of Scotland

DKNY

Gucci

Marques’ Almeida

Giambattista Valli

Preen by Thornton Bregazzi

Loewe

Sonia Rykiel

Ellery

“Obsession for Perfection”: Diego Diaz Marin & Versus Versace per Doubleview

 

Una metropoli italiana, interno notte. La giovane donna che si aggira nel nightclub non passa inosservata: veste Versus Versace da capo a piedi, ha un’ aria vagamente altera, è sola. Tutti gli sguardi le si incollano addosso, ma si ritirano furtivi quando lei li incrocia. Si interrogano sulla sua identità, indagano, sbirciano, poi vengono sopraffatti dalla soggezione. La donna ostenta una cintura fetish al collo e si muove disinvolta, eppure emana distacco. Chiunque, nel locale, riesce a percepire il suo sottile smarrimento. Non le resta che andarsene subito da lì, escogitare un piano: le spesse tende di velluto del guardaroba saranno sue complici, la terranno al riparo dai curiosi. Attenderà paziente l’ orario di chiusura per catapultarsi, decisa, sulle spogliarelliste che istruirà con dovizia di particolari. Mentre la notte lascerà il posto all’ alba sprofonderà il pennarello nella loro pelle candida tracciando linee, rimodellando proporzioni…Addestrandole nell’ esercizio della sua somma ossessione:  conquistare la perfezione fisica. Ma riuscirà a convincerle? Non ci è dato saperlo.  Quel che è certo, è che la storia si conclude su un suo ritratto “in solitaria” mentre ci guarda, da lontano, seduta sui divanetti del locale vuoto. Immersa in un profondo blu, sembra fagocitata dal buio della notte o, piuttosto, della sua nevrosi solipsistica.

Questo racconto per immagini ha il significativo titolo di “Obsession for Perfection” e porta la firma dell’ esplosivo Diego Diaz Marin. Nel suo photoshoot per Doubleview, il visual book che ha fondato una manciata di anni fa a Firenze, Diaz Marin indaga la mania tutta contemporanea per un optimum estetico da raggiungere a qualsiasi costo.  Chirurgia, attenzione smisurata alle proporzioni, venerazione dei canoni di bellezza standard rappresentano i must di chi rincorre l’ ideale di un’ esteriorità senza difetti.  Ma è nel preciso istante in cui questo obiettivo si fa assillo che entrano in scena le “nevrotiche” tanto care al fashion photographer, vedi la protagonista della photostory: “Non aver paura della perfezione. Non la raggiungerai mai” Salvador Dalì docet, un assioma che riassume il contenuto utopico della ricerca del “bello” assoluto.  Ma se la perfezione è pressochè un miraggio, ricca com’è di variabili e di sfaccettature, sono decisamente splendidi gli scatti di questo photoshoot d’effetto. Gli outfit di Versus Versace e lo styling di Ramona Tabita vengono valorizzati da tonalità intense come lo smeraldo, il viola, il fucsia, il blu cobalto, l’ocra. Le pose della protagonista sono plastiche e acrobatiche, forse ad esaltare un cotè da “Superwoman” che indica alle altre donne la via da seguire. Diego Diaz Marin affronta con stile, sofisticata irriverenza e sferzante ironia un tema altrimenti drammatico: l’ ennesima conferma che avvalora il suo linguaggio artistico di alto spessore.

CREDITS @doubleview_official

Photographer : Diego Diaz Marin @diegodiazmarin

Stylist: Ramona Tabita   @ramonatabita

Model: Mara Nica –  MONSTER MGMT @maranica

Hair: Gimmy Arevalo   @gimmyarevalo

Make up : Serena Congiu   @serenacongiu_mua

Produced by Cattura Productions @catturaproduction

Casting Director : Michele Bisceglia @michelebisceglia_

Fashion Assistant: Cristina Fagioli @cristinafagioli

 

Photo courtesy of Diego Diaz Marin/Finger Coast Studios

Il fascino discreto del Modernismo: Prada Resort 2018

 

Ampie vetrate da cui filtra il cielo, parquet a listelli a contrasto con avveniristici travi in acciaio e la cupola trasparente che predomina, solenne, sulla visuale esterna: per la sfilata Resort 2018 Prada ha scelto la sbalorditiva location di Osservatorio, lo spazio dedicato alla fotografia che la Fondazione del brand ha recentemente inaugurato a Milano, in Galleria Vittorio Emanuele II. La scenografia ideata dallo studio OMA/AMO di Rem Koolhaas valorizza appieno il mood della collezione e ne diviene, grazie a un sapiente gioco di suggestioni visive, parte integrante. Tessuti impalpabili e tonalità eteree fusi in un mix armonico sullo sfondo sospeso tra cielo e cupola, la Galleria ed i suoi tetti costantemente riflessi in specchi che amplificano, esaltandola, la prospettiva: è una sublimazione vera e propria dell’ iconica location da cui l’ avventura Prada prese il via, quella tranche di “salotto milanese” che ospitò il negozio di articoli da viaggio luxury di Mario Prada nel 1913 e che, da allora, rappresenta un punto cardine nella storia della moda.

In questo scenario avanguardistico, Miuccia Prada  ha tradotto la sua accezione di  “Modernismo” in note ispirative del tutto speciali. “Modernismo” come innovazione direttamente connessa al “qui e ora”, ma anche come contemporanea rilettura di una corrente artistica che negli elementi strutturali della Galleria Vittorio Emanuele rinviene le sue tracce essenziali. Il risultato è una collezione che riflette alla perfezione il suo connubio di virtuosismi artistici e di rigore: leggerissimi abitini in cromie pastello sono un trionfo di orli  ricamati e plissettature che i dettagli sporty, tinti di un nero “tecnico”, dotano di futuribile vigore. Adorni tipicamente Déco abbondano nelle applicazioni di lustrini e di cristalli , nelle piume cosparse sugli orli, avviluppano la silhouette nei loro pattern geometrici e risaltano sui calzettoni in cotone, ad altezza ginocchio, di volta in volta abbinati a platform sneakers o a décolleté affilate con tacco scultura. La cifra stilistica di Prada si arricchisce di spunti che combinano heritage ed emblemi attuali come l’ athleisure, reinterpretato in jumpsuit e simil-felpe che, tra zip e rigonfiamenti  imprevisti,  delineano giochi di volume inediti. La femminilità si snoda come un leitmotiv che percorre l’ intera collezione: sui cappotti si aprono vertiginosi scolli, le trasparenze regnano sovrane negli outfit con lingerie “a vista” o si stratificano in sovrapposizioni, bralette e scollature a cuore convivono con camicioni workwear o con preziosi abiti rigorosamente a metà gamba.

Lo stile pigiama viene impreziosito da paillettes e piume di marabù, la camicia sleeveless dal sapore minimal si fa minidress rivestendosi di sottilissima organza in degradé rosa. Ad intervallare questa continuità estetica, le stampe “floral-Liberty” di James Jean e le frequenti scomposizioni del logo Prada che irrompono con piglio incisivo oltre che giocoso.

Gli accessori sono altrettanto iconici: come l’ headband con piume dell’ era Charleston che viene abbinata, in passerella, all’ hairstyle a trecce di una contemporanea Pocahontas. Passato e presente si intrecciano inesorabilmente, al di là di qualsiasi deliberata intenzione. Perchè è assodato e inconfutabile che, come disse Oscar Wilde, “Tutto ciò che è moderno viene, prima o poi, superato”.