Primavera

 

“…allora posai i vestiti sull’erba e prima di entrare nel fiume guardai il colore che ci lasciava il sole e il colore che ci lasciava il cielo e la luce tutta che era ormai diversa, perchè la primavera era iniziata dopo aver vissuto nascosta dietro la terra e dentro i rami. Entrai nell’acqua piano piano, senza il coraggio di respirare, e sempre con la paura che, appena entravo nel mondo dell’acqua, l’aria, svuotata dal fastidio che ero, si arrabbiasse e , diventata vento, soffiasse forte come d’inverno, quando quasi spazzava via le case e la gente. Avevo cercato la parte più ampia del fiume, la più bassa, la più lontana dal paese, dove non andava praticamente mai nessuno, perchè non volevo che mi vedessero. L’acqua scorreva sicura di sé, di quel peso che le veniva dalla neve delle montagne e da tutte le sorgenti che fuggivano dall’ombra attraverso un foro nella roccia. Fusa per la frenesia di fondersi, l’acqua formava il fiume. Poco dopo aver superato le stalle e il recinto dei cavalli mi ero accorto che un’ape mi seguiva insieme al fetore di sterco e all’odore dei glicini che stavano fiorendo. L’acqua era fredda, la fendevo con le braccia, la pestavo con i piedi, chiazzata dal sole che nasceva oltre le Pietre Alte con la smania di volare. Ci infilai la testa perchè l’ape perdesse le mie tracce; sapevo bene che certe api vecchie di sette anni erano più che astute. Dentro era torbido, una nube di vetro, e mi fece pensare alle sfere di vetro nei cortili, sotto i pergolati di glicine robusto, di quei glicini che scendevano lungo le case. Ogni primavera le dipingevamo del colore della rosa e per questo la luce del paese sembrava diversa, inebriata com’era dal rosa delle case. D’inverno, al chiuso delle sale da pranzo, rosse del fuoco che fuggiva su per il camino, facevamo i pennelli con le code dei cavalli, e i manici di legno che poi legavamo con il fildiferro. Quando erano pronti li mettevamo al sicuro e partivamo, uomini e ragazzi, a cercare la polvere rossa della Maraldina, la montagna coperta di eriche con in cima l’albero rinsecchito e il vento che fischiava tra i cespugli. (…) Appena tornati in paese lasciavamo i sacchi sotto la tettoia, aspettavamo il bel tempo per mescolare la polvere rossa con l’acqua e facevamo la pittura rosa che poi l’inverno cancellava.”

Mercé Rodoreda, da “La morte e la primavera” (Edizioni La Nuova Frontiera)

 

Il luogo: a Gubbio per l’accensione dell’Albero di Natale più Grande del Mondo

 

L’albero di Natale più grande del mondo? Si trova a Gubbio, la splendida cittadina medievale in provincia di Perugia in cui San Francesco d’Assisi ammansì un lupo ferocissimo. L’ Albero, realizzato da un Comitato di volontari (i cosiddetti “alberaioli”) a partire dal 1981, dieci anni dopo è entrato a buon diritto nel Guinness dei Primati. Ma non si tratta, come molti di voi sapranno bene, di un albero di Natale classico: a dargli forma sono 950 luci a led che ne delineano la sagoma e la struttura sulle pendici del Monte Ingino, proprio alle spalle della cittadina famosa anche per le sue ceramiche. Visivamente, è un autentico splendore. La sagoma, stilizzata, riprende quella di un abete cosparso di migliaia di luci multicolori. In cima all’albero, una luminosissima stella cometa raggiunge la basilica del Santo Patrono, Sant’Ubaldo, che si staglia sulla vetta del monte. I corpi illuminanti che compongono l’Albero, diversi per tipologia e colore, danno vita a un capolavoro artistico dal potentissimo impatto visivo: le dimensioni enormi dell’opera (che ha una base di 450 metri e un’altezza di 750 metri, pari cioè a trenta campi da calcio) amplificano l’effetto cromatico mozzafiato originato dalle luci led. Per darvi un’idea più precisa, basta citare alcuni numeri. La sagoma dell’ albero, di colore verde, consta di 300 luci; al suo interno, 400 luci variopinte riproducono le tradizionali palline dell’albero di Natale; per la stella cometa, color oro, vengono utilizzate 250 luci. Considerate che la sua superficie sfiora i 1000 metri quadri! Tutti gli anni, per la realizzazione dell’albero, gli alberaioli impiegano 1300 ore; bisogna anche tener conto del grandissimo lavoro che è stato fatto per “disegnare” un abete di corpi illuminanti adagiato sulle pendici scoscese di una montagna. L’ Albero viene acceso ogni 7 Dicembre con una sfarzosa cerimonia pubblica: l’atmosfera medievale della città viene rievocata da gruppi di sbandieratori, figuranti appartenenti al corteo storico, musici e cantori, ma a dare il via al meraviglioso spettacolo di luci sono personaggi istituzionali o provenienti dal mondo della cultura, della scienza, dello spettacolo e del volontariato. Qualche esempio? Tra i prestigiosi nomi di coloro che hanno acceso l’ Albero rientrano quelli di Papa Francesco (nel 2014), Giorgio Napolitano (nel 2012), Papa Benedetto XVI (nel 2011). Altri protagonisti del rito sono stati, in ordine sparso, Guido Bertolaso (sottosegretario alla Protezione Civile), don Luigi Ciotti, Chicco Testa (presidente di Enel), Carlo Giovanardi, Terence Hill (che ha interpretato “Don Matteo” proprio a Gubbio, scelta come prima location della serie televisiva). L’accensione dell’ Albero è una vera e propria festa, un evento che puntualmente suscita miriadi di emozioni: assistere alla manifestazione significa condividere la gioia, la meraviglia e la magia che quei momenti portano con sè; quando il tripudio di luci scintilla sul Monte Ingino, è come se lo spirito del Natale prorompesse in tutto il suo fulgore. A proposito di fulgore, sapevate che l’ Albero di Gubbio vi offre la possibilità di adottare una delle sue luci? Con una spesa simbolica di soli 15 euro, potete scegliere un corpo illuminante nell’ apposito sito web (adottaunaluce.it) ed inserire una dedica che poi diverrà pubblica. Gli importi ricavati dall’ iniziativa copriranno buona parte dei costi dell’energia elettrica che fa brillare l’ Albero da Guinness dei Primati.

 

 

L’accensione dell’ Albero di Natale più Grande del Mondo avrà luogo proprio stasera, alle 18, in Piazza Quaranta Martiri. La cerimonia, arrivata alla sua 43esima edizione, come ogni anno è stata organizzata dal Comitato dei Volontari e dal Comune di Gubbio; avrà inizio con l’esibizione degli Sbandieratori per poi proseguire con le performance dei musicisti eugubini Sara Jane e Paolo Ceccarelli, dei cantanti della rinomata Bernstein School of Musical Theater e dell’artista Andrea Arena. A fare da padroni di casa saranno i conduttori Ubaldo Gini e Silvia Procacci, mentre il mondo delle istituzioni verrà rappresentato da Donatella Tesei, Presidente della Regione Umbria, Filippo Maria Stirati, sindaco di Gubbio, Monsignor Luciano Paolucci Bedini, vescovo della città, e Giacomo Fumanti, presidente del Comitato “Albero di Natale più Grande del Mondo”. Quest’anno l’accensione si avvarrà di un testimonial d’eccezione: l’associazione Rondine Cittadella della Pace, che da oltre 25 anni si impegna a favore della pace nel mondo e della riduzione dei conflitti armati. Se non avete la possibilità di prender parte alla Cerimonia, potrete ammirarla on line, e in diretta, su tutti i canali social dell’Albero di Gubbio oltre che su tgrmedia.it e arancialive.com. L’albero rimarrà acceso fino alla seconda domenica di Gennaio. Siete pronti ad assistere a questo spettacolo incantevole?

 

 

Se poi intendete recarvi a Gubbio per Natale, sappiate che è in corso la quinta edizione di ChristmasLand: la località umbra si trasforma in una magnifica Città del Natale in cui si concentrano suggestive installazioni, atmosfere fiabesche e location incantate. Come quella che dà il nome all’iniziativa, ChristmasLand, un percorso all’interno del MUAM (Museo delle Arti e Mestieri) di Palazzo Beni. Nei 700 metri quadri di quest’antica dimora aristocratica potrete addentrarvi nel Villaggio innevato degli Elfi, dove verrete stupiti da giochi di luce mozzafiato, visitare la collezione dei Presepi dal Mondo al piano nobile, fotografarvi sullo sfondo di magiche scenografie natalizie. Oppure potrete immergervi nella suggestiva fiaba proiettata su una parete del secondo piano, che per l’occasione si tramuta in uno scrigno delle meraviglie. All’uscita di Palazzo Beni farete conoscenza con Babbo Natale, che vi attende seduto su un trono ed è pronto a lasciarsi immortalare in un selfie accanto alla sua slitta. Per chi adora il cioccolato è in programma un’esperienza imperdibile, La Magia del Cioccolato nelle cantine del Palazzo Conti della Porta: i maestri cioccolatieri vi offriranno dimostrazioni della loro arte, degustazioni e prelibatezze da acquistare in spazi decorati con invitanti statue di cioccolato.

 

 

Ma non è finita qui. Lungo le viuzze medievali del quartiere di San Martino è possibile imbattersi in un incantevole Presepe realizzato con statue a grandezza naturale, pura poesia di un mondo antico che a Gubbio conserva ancora le sue vestigia. Nei giardini di Piazza Quaranta Martiri troverete il Mercatino di Natale: delizie dolciarie e ghiottonerie della tradizione culinaria si alternano agli addobbi natalizi e all’oggettistica artigianale. In Piazza Quaranta Martiri fa bella mostra di sè anche la Grande Ruota del Polo Nord, una ruota panoramica da dove potrete ammirare la Gubbio vestita a festa e il maestoso Albero di Natale più Grande del Mondo; nella stessa piazza parte la slitta di Babbo Natale: un’opportunità per fare un giro su una slitta trainata dai cavalli e guidata da Santa Klaus in persona. Ed è sempre in Piazza Quaranta Martiri che prende il via il trenino turistico chiamato Gubbio Express Christmas, grazie al quale effettuerete un tragitto che vi farà scoprire le bellezze millenarie della città. Se invece preferite godervi Gubbio dall’alto, soprattutto l’ Albero di Natale, puntate sulla Funivia di Colle Eletto: impiegherete sei minuti per raggiungere la Basilica di Sant’Ubaldo (a due passi dalla stella dell’Albero) dal centro della città.

 

 

Il Natale, si sa, è la festa della Luce. E Gubbio sottolinea il concetto con la splendida illuminazione artistica di Piazza di San Giovanni: ideati dal Light Designer Ing. Matteo Costantini, i giochi di luci colorate che invadono la location danno vita a un’atmosfera magica e surreale. E poi, dulcis in fundo, in via dei Consoli c’è la Fontana del Bargello; vi basterà compiere tre giri di corsa intorno al momumento per poter prendere la Patente da Matto, una pratica che risale al 1880, ed onorare la presunta pazzia che, come vogliono le leggende, da secoli aleggia sulla città. Per tutte le informazioni sul Natale a Gubbio visitate i siti gubbionatale.it, ilikegubbio.com oltre che, naturalmente, alberodigubbio.com

 

 

Foto di copertina di Gavirati

Un ringraziamento speciale allo IAT del Comune di Gubbio per la preziosa collaborazione

 

Natale è nell’aria

 

Al 25 Dicembre manca poco più di un mese, ma l’atmosfera natalizia inizia a insinuarsi in tutte le città. Luminarie appena installate, vetrine vestite a festa, decorazioni e proposte regalo fanno già parte dello scenario di questo fine Novembre. Cominciamo a tirar fuori l’albero, gli addobbi, libri di ricette che ci guidino nella preparazione di piatti e dolci tradizionali…Il caminetto prende il posto dei caloriferi, senza dubbio meno suggestivi, le candele baluginano poeticamente al calar del crepuscolo; il freddo porta con sè la pioggia, il nevischio, su certe alture anche la neve. Natale è nell’aria: i suoi bagliori e i suoi profumi ravvivano l’anonimo grigriore novembrino. L’odore di fumo che fuoriesce dai comignoli è già un indizio, il sentore della ritrovata intimità familiare. Godiamoci appieno questo periodo, che ci accompagna verso l’Avvento.VALIUM lo celebra con la nuova photostory, un racconto per immagini intriso di una gioia atavica: quella che, ormai da secoli, fa da preludio alle feste natalizie.

 

 

Foto via Pexels e Unsplash

 

Le Frasi

 

“Pensa che in un albero c’è un violino d’amore.
Pensa che un albero canta e ride.
pensa che un albero sta in un crepaccio e poi diventa vita.”
(Alda Merini)

 

 

Le Frasi

 

“Prendi un filare di aceri in questa luce leggera e vedrai l’autunno incandescente attraverso le foglie …. La promessa di oro e cremisi è tra i rami, anche se per adesso si è realizzata solo su un ramo solitario, un cespuglio impaziente o un timido piccolo albero che non ha ancora imparato a cronometrare i suoi cambiamenti.”
(Hal Borland)

 

 

Il prato e il paradiso

 

“Sofia domandò com’ era il paradiso e la nonna rispose che forse assomigliava a quel prato là; stavano passando davanti a un pascolo a fianco del sentiero e si fermarono a guardare. Faceva molto caldo, la strada maestra era bianca e screpolata e tutte le pianticelle che crescevano lungo il ciglio del fossato avevano le foglie impolverate. Entrarono nel pascolo e sedettero sull’ erba che era alta e per nulla polverosa, e cosparsa di campanule e antennarie e ranuncoli. “Ci sono formiche in paradiso?” domandò Sofia. “No”, disse la nonna, e si distese con cautela sulla schiena, si tirò il cappello sul naso e cercò di dormire di nascosto. Lontano lontano si sentiva una macchina agricola, instancabile e pacifica. Escludendo il rumore della macchina, il che non era difficile, e ascoltando solamente gli insetti, questi diventavano migliaia di milioni e riempivano il mondo intero di ritmiche ondate d’estasi, e di un senso di estate. Sofia raccolse dei fiori e li tenne in mano fin quando divennero caldi e sgradevoli; allora li depose sulla nonna e domandò come facesse Dio ad ascoltare tutti quelli che pregano contemporaneamente. “E’ saggio, tanto saggio”, mormorò la nonna assonnata sotto il cappello. “Rispondi bene”, disse Sofia. “Com’è che ci riesce?” “Ha dei segretari…” “Ma come fa a esaudire le preghiere se non fa in tempo a parlare con i segretari prima che vada a finir male?” La nonna fece finta di dormire ma sapeva bene che non ingannava nessuno e alla fine disse che Dio predispone in modo che non possa succedere nulla di male fra l’attimo in cui si prega e l’attimo in cui viene informato sul contenuto della preghiera; allora la nipotina le domandò che cosa succede quando uno prega mentre sta cadendo da un albero e si trova ancora a mezz’aria. “Aha”, fece la nonna, e parve rianimarsi. “Allora fa in modo che si impigli in un ramo”. “Buona idea”, concedette Sofia. “Adesso tocca a te farmi delle domande. Ma devono essere sul paradiso.”

Tove Jansson, da “Il libro dell’estate”

 

 

Il luogo: la Feria de Abril di Siviglia, per catturare lo spirito della cultura andalusa

 

Siviglia è speciale perché emoziona e commuove, perché dà corpo alla bellezza e alla grazia dei sogni. Perché è Musa e Artista al tempo stesso, perché vive nel presente proiettando la sua Storia nel futuro”

(Plácido Domingo)

 

La Primavera inoltrata è il periodo migliore per visitare Siviglia, una città dove si respira la quintessenza dello spirito della Spagna. E quale occasione migliore della Feria de Abril, per volare nella capitale dell’ Andalusia? Fondata nell’ VIII secolo a.C., Siviglia è attraversata dal fiume Guadalquivir e abbonda di edifici, piazze, giardini e monumenti che recano le impronte dell’antica dominazione araba. In città il flamenco si balla ad ogni angolo di strada, i “bailaores” proliferano; nelle taverne le “tapas” si degustano con celeberrimi vini locali quali il Fino, la Manzanilla e lo Jerez. La movida è alle stelle, e lo splendore di opere architettoniche del calibro degli Alcazar, l’ Archivio delle Indie, la Cattedrale e la Giralda è valso loro il titolo di Patrimonio dell’Umanità UNESCO. Ma che cos’è la Feria de Abril, e quando si tiene esattamente?

 

Il manifesto della Feria de Abril del 1961

Questa straordinaria settimana di festa, la più eclatante manifestazione folclorica dell’ intera Andalusia, si svolge ogni anno dopo circa 15 giorni dalla Settimana Santa. Quindi, nel pieno della Primavera: il periodo ideale per ritrovarsi tutti insieme nel “recinto ferial” (collocato tra i quartieri di Los Remedios e Tablada) e mangiare, bere Rebujito (una bevanda a base di vino Fino o Manzanilla mescolato alla gazzosa), divertirsi e ballare flamenco da mattina a sera. Quest’ anno, la Feria inizierà il 23 e terminerà il 29 Aprile. A partire dal 2017, tuttavia, i festeggiamenti cominciano il sabato sera per poi protrarsi fino alla notte del sabato successivo, quando si chiudono con uno strabiliante show di fuochi d’artificio sulle rive del Guadalquivir. Perciò l’inaugurazione vera e propria, imperdibile, si terrà sabato 22 Aprile: quella sera si potrà assistere alla cerimonia dell’ “alumbrao de la Portada”, l’accensione della spettacolare porta d’ingresso al cosiddetto Real de la Feria (lo spazio che la Feria occupa), e si svolgeranno le “cene del pescaito”, a base di pesce fritto, che vengono preparate in ogni stand. L’ inaugurazione è un momento importante, ma non è necessario indossare il classico “traje de flamenca”. Dal giorno dopo in poi, invece, via libera all’ abbigliamento tradizionale!

 

La Portada del 2013 in tutto il suo splendore

L’area adibita alla Feria, che occupa oltre 450.000 metri quadrati, è ricoperta di “albero”, un terriccio arancione simile alla sabbia proveniente da Alcalà de Guadaira, ed è solcata da 15 vie che prendono il nome da altrettanti storici toreri sivigliani. Ogni “calle” è illuminata da miriadi di “farolillos“, lampadine racchiuse in scenografiche sfere cartacee, e i 1051 stand sono denominati “casetas”, casette, perchè quel che riproduce la Feria è un’autentica città in miniatura: un microcosmo dove, per una settimana, ci si può immergere nella cultura andalusa più verace. E’ importante dire che la struttura della “portada”, la gigantesca porta d’ingresso, varia di anno in anno, ispirandosi ogni volta a un monumento o a una caratteristica del luogo. L’accensione della porta rappresenta un momento cruciale: per molti è come un Capodanno, il preludio ad istanti che traboccano di gioia e di emozioni. La Feria de Abril concentra in sé tutto il sentire di un popolo, le sue tradizioni, i segni distintivi della sua storia…Lungo le calles ci si sposta a cavallo oppure in carrozza (le distanze sono notevoli), le casette sono in gran parte private proprio per evocare l’idea di una mini-città. Solitamente, quindi, è possibile visitarle su invito, a parte le casette del Comune, quelle che rappresentano i quartieri di Siviglia e quelle dei partiti politici. I colori, gli addobbi e gli ornamenti, non c’è bisogno di dirlo, sono incredibili e riprendono cromie ed elementi tipici dell’ Andalusia. Lo stesso discorso vale per i “farolillos”, 237.000 in totale, che illuminano suggestivamente ogni calle. All’ interno delle casette predominano i fiori, affiancati a tavoli e sedie variopinte per lasciar spazio alla convivialità. Nel Real de la Feria è anche presente un immenso parco giochi chiamato Calle del Inferno. Qui si trovano attrazioni come una ruota panoramica e un centinaio di “cacharritos”, le giostre per i più piccoli.

 

 

L’aria di Aprile, a Siviglia, è mite anche di notte; veicola il fermento e l’entusiasmo al pari dell’aroma del pesce fritto e delle note di chitarra che accompagnano il flamenco. La gente è ospitale, allegra, cordialissima. Non è difficile, per i turisti, essere invitati a bere o a mangiare nelle casette: la socializzazione è uno dei punti cardine della festa. Potrete scoprire le delizie gastronomiche ed enologiche locali in un clima assolutamente unico, improvvisarvi “bailaores”, lasciarvi contagiare dall’ amore che i sivigliani nutrono per la propria cultura.

 

 

Tutto grazie alla Feria de Abril, una Feria dove è d’obbligo, per gli uomini, indossare il tradizionale “traje corto” (composto da un giacchino che termina all’ altezza della vita, pantaloni aderenti e stivali) abbinato al “cordobés”, un cappello a falda larga con calotta piatta, mentre alle donne è richiesto di sfoggiare le “faralaes”, i caratteristici abiti da flamenca ricchi di balze, colorati e tempestati di grossi pois. Questo look viene impreziosito da fiori tra i capelli, enormi orecchini a cerchio, mantillas o grandi scialli ornati di frange.

 

 

La Feria de Abril nacque come fiera del bestiame nel 1847. Ad organizzarla furono il catalano Narciso Bonaplata e il basco José Maria Ybarra. La prima edizione si svolse il 18 Aprile nel Prado di San Sebastiàn con il benestare della Regina Isabella II. Nel 1848, la Feria aveva già cambiato volto: a contribuire alla metamorfosi fu la presenza delle casette del Comune di Siviglia, del Casinò cittadino e del Duca e la Duchessa di Montpensier. L’evento esplose nel pieno degli “anni ruggenti”, gli anni ’20 del ‘900, e da allora il suo successo fu costantemente in ascesa. Basti pensare che oggi, ogni giorno, vanta 500.000 visitatori! Se avete intenzione di viaggiare a Siviglia in occasione della Feria de Abril, non mancate di ammirare le innumerevoli meraviglie cittadine: la Cattedrale con la torre campanaria della Giralda, appartenente a un’antica moschea, la stupefacente Plaza de Espana, solcata da un canale che è possibile percorrere in barca, l’Alcazar, fortezza reale araba dall’architettura sbalorditiva e corredata di splendidi giardini interni, la Torre del Oro, una torre di sorveglianza duecentesca edificata sulle rive del Guadalquivir, i suggestivi quartieri moreschi con le loro viuzze strette e le numerose piazzette…In questo caso, vi consiglio il Barrio de Santa Cruz. Ho citato solo alcune delle principali attrazioni situate nella capitale andalusa. Lascio a voi il compito di scoprire Siviglia a poco a poco, compresi gli angoli meno battuti dai turisti: l’ intera città è intrisa di un fascino tale da mozzare il fiato.

 

 

Foto della Feria de Abril, dall’ alto verso il basso:

Manifesto Feria de Abril 1961 di Halloween HJB, CC0, via Wikimedia Commons. Portada del 2013 di Agustín Macías, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons. Gruppo di donne in abito flamenco fotografate di spalle di Sevilla Congress & Convention Bureau, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons. Donne in abito flamenco davanti a casetta con strisce bianche e rosse di Tom Raftery via Flickr CC BY-NC-SA 2.0. Panorama della Feria serale dall’alto di Zifra Ra, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons. Gruppo di donne in abito flamenco con fiori tra i capelli di Sevilla Congress & Convention Bureau from Flickr CC BY-SA 2.0. Casette in pieno giorno con farolillos via Joaquin O.C. from Flickr CC BY-NC 2.0. Casetta con strisce bianche e rosse di Radio Sevilla  di Frobles, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons. Carrozza via Julie Raccuglia from Flickr CC BY-SA 2.0. Casette fila a sinistra con farolillos di Sandra Vallaure, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons. Feria de Abril di notte panorama con Portada di Sevilla Congress & Convention Bureau from Flickr CC BY-SA 2.0. Casette sullo sfondo a destra con donne in abito flamenco e farolillos di EdTarwinski, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons. Tutte le altre foto via Piqsels, Unsplash, Pixabay e Pexels.

 

Il miele del Vecchio Re

 

” Si inoltrarono all’ interno del bosco. L’acqua che scorreva sulle pietre sembrava cantare. Alice capì dove l’aveva condotta Giuseppe. Si fermarono accanto al massiccio tronco, i rami che si aprivano verso il cielo, le foglie d’argento che brillavano. Un lieve ronzio si univa al canto del ruscello. “E’ meraviglioso.” L’ulivo era immenso. Torreggiava maestoso circondato dalla sua corte di piante e fiori. “Custodisce le api d’oro. Al suo interno ci sono gli sciami originari delle api dell’ isola.” Restarono un istante a contemplare il Vecchio Re, così lo chiamava Giuseppe. Le enormi radici affondavano nel terreno. Le creste erano ricoperte di muschi vellutati e costeggiavano le acque limpide. Dietro di loro le api ronzavano felici. Giuseppe le porse una mano e insieme si avvicinarono alle arnie, allineate ai margini del prato. Mentre lui indossava la tuta, Alice, che invece l’aveva già, sollevò la testa e allora la vide. Volava nella sua direzione. Il cuore prese a batterle forte. La stava cercando, era lì per lei. Alice lo comprese nel momento stesso in cui sollevò la mano e l’ape si posò sul suo palmo. Si guardarono un istante poi l’insetto si alzò in volo. “Che succede?” Giuseppe era al suo fianco, un’ombra nello sguardo. “Sta per accedere qualcosa.” Lo disse così, semplicemente. “Qualcosa di importante.” “Sembri preoccupata.” “Non è nulla. Allora, da dove vuoi iniziare?” Le indicò l’apiario. “Le più urgenti sono quelle. Non so se te l’ho detto, ma il miele dell’albero non si vende.” “No? Come mai?” “E’ troppo prezioso, per questo lo regaliamo.” Lei sorrise, non aveva il minimo senso. Era il più prezioso, e dunque veniva donato. Illogico e insensato. Eppure, c’era un profondo significato in quello che Giuseppe le aveva detto. “Ci sono cose che appartengono a tutti. Ci sono cose talmente preziose che nessuna moneta potrebbe mai acquistare.”

Cristina Caboni, da “La via del miele”

 

 

 

Calendimaggio, un’ode a Flora e a Dioniso

Sir Lawrence Alma-Tadema, “Spring” (1894), particolare

Il 1 Maggio, oltre che Festa del Lavoro, è anche Calendimaggio. Ne parlo con due giorni di ritardo, ma non importa: l’ incanto che circonda questa ricorrenza rimane intatto. Con il Calendimaggio, gli antichi popoli festeggiavano la Primavera ormai giunta al suo apice. Il nome deriva da “calende”, ossia il primo giorno del mese (calcolato in base alla luna nuova) del calendario romano. Durante le “calende” di Maggio si celebrava Flora, la dea della fioritura, e venivano compiuti numerosi rituali. Uno di questi vedeva protagonisti gli alberi, emblemi della natura e della sua fertilità ritrovata, associati alla prosperità immancabilmente: la tradizione voleva che i giovani uomini, la notte del 30 Aprile, si inoltrassero nei boschi per procurarsi rami fioriti o interi arbusti.

John William Waterhouse, “Flora and the Zephyrs” (1897), particolare

Li avrebbero posti davanti alle finestre o ai portoni delle fanciulle a mò di rito di corteggiamento. Ma gli alberi venivano trapiantati nei luoghi più disparati, come le piazze, i cortili, addirittura accanto alle abitazioni delle personalità del villaggio. Probabilmente questi riti si ricollegavano all’ “albero cosmico” su cui per nove giorni e nove notti si rifugiò Odino, la massima divinità della mitologia norrena, prima che apprendesse la potente simbologia delle rune celtiche. Tra le usanze più famose e amate, tuttora diffusa in molte zone d’ Italia, c’è poi quella dei Canti del Maggio: il primo giorno del mese (o la notte precedente), i “maggianti”, anche detti “maggerini”, si recano di casa in casa – o percorrono le vie dei borghi, soprattutto in tempi di Covid – cantando versi gioiosi e pieni di brio intrisi di termini dialettali. Si tratta perlopiù di stornelli, accompagnati da chitarre, tamburelli e violini, che inneggiano al risveglio della natura e al ritorno di Dioniso (originariamente, il dio della vegetazione). In onore all’ allegria che sprigionano questi canti, i maggianti ricevono omaggi enogastronomici: un bicchiere di buon vino, una fetta di dolce, delle uova, uno spuntino…Simili soste consentono di osservare da vicino gli ornamenti a base di rose, viole, foglie di ontano e maggiociondolo sfoggiati dai maggerini, tutti fiori e piante tipici del mese appena iniziato e ricorrenti nel Cantamaggio. Che questa tradizione sia connotata da una forte valenza propiziatoria è ovvio, e anche qui risiede il suo fascino; non è un caso che affondi le radici presso popoli che attribuivano valori ben precisi alla ciclicità della natura: in particolare i Celti, affiancati dagli abitanti dell’ antica Etruria e dai Liguri.

Charles Daniel Ward, “The Progress of Spring” (1905), particolare

Per concludere, cari lettori di VALIUM: è Maggio, uno dei mesi più belli dell’ anno. La Primavera è esplosa in pieno e l’ Estate, con la sua afa, è ancora lontana. Mi piace pensare ai 28 giorni che ci aspettano immaginando di avventurarmi, rigorosamente al tramonto, lungo un sentiero fiancheggiato da cespugli di rose…

Lo Schiaccianoci, il perenne fascino di una fiaba di Natale

 

” Ora mi rivolgo a te, benevolo lettore o ascoltatore – Fritz, Theodor, Ernst, qualunque sia il tuo nome – , e ti prego di richiamare alla mente il tuo ultimo vivido ricordo di una tavola di Natale addobbata di bei doni colorati; potrai così immaginarti i bambini che, con la luce negli occhi, restano impietriti e muti, nonchè Marie che dopo un po’ con un gran sospiro dice: “Oh, che bello, oh che bello!”, e Fritz che tenta qualche capriola perfettamente riuscita. Quell’ anno i bambini dovevano essere stati proprio buoni e ubbidienti, perchè non avevano mai ricevuto in dono tanti regali così belli e magnifici come quella volta. Sul grande abete al centro stavano appese tante mele d’oro e d’argento. Confetti e caramelle colorate e ogni tipo di leccornie spuntavano dai rami come se fossero gemme e fiori. Ma bisogna ammettere che la cosa più bella, in quell’ albero delle meraviglie, erano le centinaia di piccole luci che tra i suoi rami scuri brillavano come stelline. L’ albero stesso, illuminato dentro e fuori, sembrava invitare i bambini a cogliere i suoi fiori e i suoi frutti. Attorno all’ albero era tutto meravigliosamente scintillante e colorato…Quante belle cose! Se solo si potessero descrivere…”

Ernst T.A.Hoffmann, da “Lo schiaccianoci. Una fiaba di Natale.”

 

 

Natale è terminato da poche ore, ma vale la pena di prolungare le sue atmosfere con uno dei racconti migliori di sempre, “Lo schiaccianoci” di Ernst T.A. Hoffmann. La storia di Maria (o Clara, come viene chiamata nella trasposizione danzata del libro), Fritz e Schiaccianoci, le loro avventure tra realtà e sogno nella notte più magica dell’ anno, sono un classico natalizio che ha dato origine anche al suggestivo balletto musicato da Piotr IlicTchaikovsky e coreografato da Marius Petipa oltre che, molti anni dopo, da icone della danza del calibro di George Balanchine e Rudolf Nureyev. Queste testimonianze fotografiche rappresentano quindi un omaggio ad una fiaba e ad un balletto – di cui VALIUM aveva già parlato in occasione del live sul grande schermo di “The Nutcracker” del Royal Ballet, rileggi qui il post – che non cesseranno mai di rievocare l’ incanto delle feste natalizie.

 

 

 

 

 

 

Foto, dall’ alto verso il basso:

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Gabriel Saldana via Wikimedia [CC BY-SA 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0)]

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