Gli agrumi, frutti invernali dalle molteplici proprietà

 

L’ Inverno è il loro regno: tra Dicembre e Marzo, gli agrumi raggiungono il massimo splendore; tingono la nostra tavola di vivaci colori e solleticano l’olfatto con un profumo inconfondibile. Le arance, i limoni, i mandarini, le clementine, i cedri e i pompelmi sono i frutti più noti appartenenti al genere Citrus della famiglia delle Rutaceae. Li accomuna un elenco interminabile di proprietà: abbondano di vitamina C (o acido ascorbico), tant’è che anticamente i marinai li consumavano per prevenire lo scorbuto; sono ricchi di pectina, una fibra solubile che rafforza il sistema immunitario, svolge una funzione prebiotica, contrasta il colesterolo e stimola la produzione di vitamina K; contengono dosi massicce di  acqua e potassio, un minerale benefico per la muscolatura e per il cuore, ma anche di acido citrico, un efficace antidoto contro i calcoli renali. In più, pare che gli agrumi siano un toccasana per scongiurare il rischio di neoplasie allo stomaco. Versatili e succosi, questi frutti vengono utilizzati per preparare bibite, succhi, spremute, cocktail, marmellate, dolci e come condimento di innumerevoli pietanze: approfittate delle loro molteplici proprietà per trascorrere all’insegna del benessere gli ultimi mesi dell’Inverno.

 

 

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La torta d’Inverno, un dolce che è un’ode ai sapori invernali

 

Conoscevate già la torta d’Inverno? Io l’ho scoperta solo di recente ma, come recita un noto proverbio, “Non è mai troppo tardi”. E’ una torta molto soffice, completamente spolverata di zucchero a velo, arricchita di uvetta e spezie quali la cannella, il coriandolo o l’anice stellato, i chiodi di garofano e la noce moscata. Altri ingredienti sono costituiti dalla frutta secca, fondamentale per questo tipo di torta: mandorle, nocciole, gherigli di noci. Mele, pere e cioccolato fondente concludono la lista dei componenti tipici del dolce. Ma come si prepara, la torta d’Inverno? Innanzitutto la frutta secca viene tritata e l’uvetta messa a bagno in una ciotola piena d’acqua. Subito dopo, le uova si montano con la frusta insieme allo zucchero. Continuando a mescolare, si aggiungono il latte, l’olio d’oliva, una bustina di lievito per dolci e la farina.

 

 

Quando l’impasto risulterà sufficientemente denso, verranno incorporate l’uvetta, la frutta secca tritata, le spezie, scaglie di delizioso cioccolato fondente e mele e pere tagliate a cubetti. Il tutto va lasciato cuocere in forno per circa un’ora, dopodichè la torta si spolvera con dell’abbondante zucchero a velo ed è possibile guarnirla, a proprio piacimento, con l’uvetta, la frutta secca tritata e/o le scaglie di cioccolato.

 

 

Il risultato? Una ricetta semplice per un dolce golosissimo, perfetto da gustare a colazione o nei vari break della giornata.

 

 

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La colazione di oggi: il mandarino, la star dell’Inverno

 

Quando arriva l’Inverno, il mandarino è il frutto onnipresente sulla nostra tavola. Il suo nome si ispira a quello dei notabili della Cina imperiale, che erano soliti indossare un mantello color arancio; la pianta del mandarino, infatti, proviene dalla Cina del Sud. In Europa, nel XV secolo, la sua coltivazione si è estesa a partire da paesi dal clima mite quali la Spagna e il Portogallo. Oggi, i frutteti di mandarini sono diffusissimi anche in Italia: in regioni come la Sicilia, la Campania, la Calabria e la Liguria abbondano. Questo frutto della famiglia delle Rutacee, contraddistinto da una forma sferica leggermente appiattita, si declina in varietà molteplici; la Citrus Reticulata,  la Citrus Nobilis e la Citrus Clementina rappresentano le più note. In Sicilia spicca il mandarino tardivo di Ciaculli, un Presidio Slow Food, utilizzatissimo per la preparazione di gelatine, marmellate, liquori, gelati e granite. Il mandarino è un frutto tipico dei mesi freddi, si degusta da Dicembre a Marzo. Il suo colore è identico a quello del mantello sfoggiato dai notabili dell’ Impero Cinese; la buccia, porosa, racchiude un tripudio di spicchi succosi e ricchi di semi. Il gusto è dolcissimo: il mandarino è l’agrume che contiene la maggiore quantità di zuccheri. Non risulta eccessivamente calorico, ma la presenza di fruttosio in dosi massicce richiede che venga consumato con moderazione. C’è da dire, però, che il mandarino è estremamente ricco di proprietà e benefici. Scopriamoli insieme.

 

 

Il mandarino abbonda di vitamine, acqua, sali minerali, acqua e zuccheri solubili. Predomina la vitamina C (o acido ascorbico), di cui è una vera e propria miniera, affiancata dalle vitamine del gruppo B, A e P e dall’acido folico; tra i minerali presenti in grandi quantità figurano il potassio (benefico per i muscoli),  il magnesio, il ferro e il calcio. Il bromo, particolarmente copioso nel mandarino, svolge un’azione rilassante nei confronti del sistema nervoso centrale e concilia il sonno. La vitamina C, un potente antiossidante e micronutriente, neutralizza i radicali liberi mantenendo in salute i tessuti e le cellule; inoltre, rafforza il sistema immunitario e previene i malanni da raffreddamento. Il fruttosio garantisce un notevole apporto energetico, mentre le fibre, di cui il mandarino è ricco, dotano il frutto di un’alta digeribilità e regolarizzano l’intestino. Anche la buccia del mandarino contiene un antiossidante dalle molte proprietà, il suo nome è limonene: oltre ad essere un valido disintossicante per il fegato, favorisce la produzione di serotonina e dopamina svolgendo un’azione ansiolitica e antidepressiva. Dalla buccia del mandarino viene estratto l’olio essenziale di mandarino, molto utilizzato in aromaterapia ma anche per favorire il rilassamento e la digestione.

 

 

A colazione, i mandarini possono essere consumati sotto forma di frutta, anche candita, e deliziose marmellate. Ma a base di mandarino è possibile preparare un numero illimitato di torte, dolci e biscotti ad alto tasso di golosità: cercate le ricette in rete, non avrete che l’imbarazzo della scelta.

 

 

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8 bevande calde per un gelido Inverno

 

L’Inverno è una stagione dedicata al tepore, all’intimità della casa, alla riscoperta di riti che rendono unica la nostra giornata. Cosa c’è di meglio, quando fuori nevica e il freddo diventa polare, che assaporare una bevanda fumante davanti al focolare? Ne esistono di deliziose, tipiche di questo periodo, in grado di regalarci incomparabili momenti di benessere e di relax. Eh già, perchè oltre ad essere buonissime sono anche salutari: facilitano la digestione e svolgono un’azione benefica in caso di malattie da raffreddamento. Su VALIUM ho parlato di alcune di loro tempo fa, ma le includo nuovamente in questo breve excursus. Vi presento quindi otto bevande calde da degustare nelle serate invernali.

 

La Cioccolata Calda

E’ la bevanda calda più comune e più golosa dell’Inverno. Si prepara in versione sia densa che liquida, a seconda dei gusti; gli americani, di solito, la arricchiscono di marshmallows e di abbondante panna montata, mentre in Italia predomina una variante più minimal ma altrettanto ghiotta. E se la panna montata rappresenta anche per noi un must imprescindibile, possiamo alternare la cannella di rito ai pistacchi o al peperoncino per esaltare il delizioso sapore della cioccolata calda.

 

L’Irish Coffee

Bevanda tradizionale irlandese, è uno squisito connubio di caffè caldo con zucchero, whisky dell’isola di smeraldo e panna montata che troneggia sulla sua superficie. In certi casi, per accentuare il sapore del composto, si aggiunge un po’ di cannella o di noce moscata. La sofficità della panna la fa da padrone, riuscendo a cammuffare la percentuale alcolica del whisky: in ogni caso, non va dimenticato che si aggira intorno al 35-40%.

 

Il Vin Brulé

Nasce nelle zone più fredde dell’Europa (Alpi comprese) con l’intento di riscaldare il corpo e l’anima quando arrivano i rigori invernali. I suoi ingredienti di base includono il vino rosso, agrumi come le arance e i limoni, le spezie: cannella, anice stellato, zenzero, cardamomo e noce moscata sono le più utilizzate. Per rendere il suo sapore ancora più invitante si possono aggiungere del miele e frutti di bosco rossi dal gusto irresistibile.

 

Il Sidro di Mele

In Inghilterra e in Francia è una bevanda conosciutissima, in Italia un po’ meno: il sidro di mele si ottiene tramite la fermentazione delle mele non commestibili per i motivi più svariati; si beve molto caldo dopo aver aggiunto alcune spezie, solitamente lo zenzero, la cannella e i chiodi di garofano. Alcuni adorano mescolarlo con il tè, altri, orientati verso sapori più forti, non disdegnano l’abbinamento con il whisky o con il brandy.

 

Il Punch

Pare che il suo nome derivi dal persiano “panj”, ovvero cinque: il numero degli ingredienti di cui il punch si compone. Per prepararlo vengono utilizzati infatti l’acqua, il tè, qualche fetta di arancia e/o di limone, lo zucchero e l’alcol, che può essere acquavite o rum. Non è raro che si aggiungano delle erbe aromatiche e le bucce, anzichè le fette, degli agrumi; il risultato è una bevanda irresistibile dalla potente azione digestiva.

 

Il Grog

Anticamente composto da un mix di acqua, agrumi e rum, la sua ricetta è evoluta nel cosiddetto “grog dei pirati”, preparato mescolando dell’acqua bollente con il rum scuro giamaicano, il succo di limone e lo zucchero di canna. Esiste anche un grog analcolico, declinato in moltissime varianti. La più nota si ottiene combinando il succo d’uva con la scorza del lime e dell’arancia, il miele e un’amalgama di spezie quali lo zenzero, la cannella, il pepe in grani e i chiodi di garofano.

 

Il Glögg

I loro nomi sono simili, ma il glögg non ha niente a che vedere con il grog. Certo, in entrambi i casi si tratta di bevande da bere calde, però il glögg si avvale di un portentoso connubio di alcolici, frutta, spezie e acqua bollente che lo rende perfetto per affrontare i gelidi inverni scandinavi. In tempi remoti era consumato soprattutto dai corrieri, costretti a percorrere lunghi tragitti sotto la neve, ma a partire dalla seconda metà del 1900 si è imposto come la bevanda invernale e natalizia più diffusa nei paesi del Grande Nord. Il glögg si realizza preparando un composto di acqua bollente e spezie come la cannella, lo zenzero, il cardamomo e i chiodi di garofano, a cui subito dopo viene aggiunta una vigorosa miscela di alcolici: vodka, vin dolce, vino bianco, rum, cognac e via dicendo. Completano il tutto spremute di frutta, mandorle, uvetta e scorze di arance e di limoni.

 

Il Bombardino

E’ la bevanda che si degusta sulle alte vette, nelle baite delle località sciistiche, e non sorprende: il bombardino, “nato” a Livigno nel 1972, è una bomba di energia. Si beve caldissimo, tutto d’un sorso; la sua gradazione alcolica raggiunge i 30°. Ne esistono varie versioni. L’ingrediente base è costituito dallo zabaione, a cui si aggiungono di volta in volta il whisky, il rum e il caffè espresso, ma anche la grappa e il brandy. Dosi massicce di panna concludono in golosità la sua preparazione.

 

La colazione di oggi: tornano le arance, un must autunnale

 

A Novembre, puntuali, tornano a ravvivare il grigiore con il loro colore vibrante. Un colore che ha preso spunto dal loro nome, perchè è proprio alle arance che si ispira l’arancione. Proveniente dalla Cina e dall’Asia del sud-est, il Citrus Sinensis (questo il nome botanico dell’arancio, una pianta appartenente alla famiglia delle Rutacee) venne importato in Europa dai marinai portoghesi. Secondo alcuni studiosi il suo ingresso nel Vecchio Continente risalirebbe al XV secolo, mentre altri affermano che l’albero approdò in Italia, più precisamente in Sicilia, molto tempo prima grazie ai romani e passando per la Via della Seta. Nel IX secolo furono gli Arabi a reintrodurre l’arancio nell’isola, quando ebbe inizio la conquista islamica della Sicilia. Non è un caso che un frutto siciliano chiamato “melarancia” venga citato in più d’un libro della Roma antica: i tomi sono datati al I secolo d.C. E sempre nella città eterna, un arancio che San Domenico piantò intorno al 1200 fa bella mostra di sè nel chiostro del convento di Santa Sabina; tuttavia, non se ne conosce la provenienza. E’ certo, invece, che il termine “portogallo” equivalga a dire “arancia” in diverse lingue, tra cui il rumeno, il greco, l’arabo, l’albanese e l’italiano del 1800. Peraltro, il frutto del Citrus Sinensis prende il nome di “portogallo” in molti dialetti della nostra penisola: ciò sembra confermare, almeno apparentemente, la diffusione ad opera dei portoghesi della pianta.

 

 

Ma veniamo alle caratteristiche di questo frutto, tondeggiante e tinto di un vivace color arancio. Ha una forma sferica, una buccia spessa e increspata; la dolcezza dei suoi spicchi, succosissimi, contrasta con accenti aspri che ne rendono ancora più intrigante il sapore. Le arance cominciano a maturare a Novembre, mese in cui vengono raccolte le prime varietà. Un periodo ideale, considerando la loro efficacia nel prevenire i malanni della stagione fredda. Iniziare la giornata con delle arance, anche in versione spremuta, è un’ottima idea: regalano energia e sono ricche di vitamina C, un noto rafforzante del sistema immunitario. In più, contengono pochissime calorie e un indice glicemico talmente esiguo da permettere anche ai diabetici di consumarle. Le loro virtù sono innumerevoli: oltre a racchiudere acqua in dosi massicce, le arance sono un’autentica miniera di fibre come la pectina, la lignina e la cellulosa, che accentuano il senso di sazietà e fanno sì che gli zuccheri e i grassi vengano assorbiti in quantità moderate. Il licopene, contenuto soprattutto nelle arance rosse, è un carotenoide dalle spiccate doti antiossidanti e antinfiammatorie; contrasta le patologie cardiovascolari, oculari e ossee (come l’osteoporosi). La vitamina C è un po’ il “marchio di fabbrica” di questo frutto: favorisce un adeguato assorbimento del ferro e del calcio, è un potente antiossidante e un toccasana per le difese dell’organismo. La vitamina A (o retinolo) mantiene in salute la pelle e gli occhi e assicura un buon funzionamento sia del sistema immunitario che del metabolismo. Le vitamine del gruppo B, essenziali per la produzione dei globuli rossi, tengono sotto controllo i livelli di omocisteina e si rivelano portentose per il sistema nervoso. Tra i sali minerali contenuti nell’arancia risaltano il ferro (imprescindibile per il benessere del’organismo), il rame (antiossidante efficacissimo contro le patologie cardiovascolari), il potassio (ottimo per la salute dei muscoli) e il calcio (benefico in particolare per le ossa, i denti e la coagulazione sanguigna). Le antocianine e i polifenoli, di cui l’arancia abbonda, sono degli importanti antiossidanti.

 

 

I benefici che apporta il consumo di arance, quindi, sono molteplici. La vitamina C contrasta le infezioni potenziando le difese immunitarie, le fibre regolarizzano i livelli di colesterolo, gli antiossidanti combattono i radicali liberi e mantengono sotto controllo la pressione poichè fluidificano il flusso sanguigno. I citroflavonoidi contenuti nell’arancia, inoltre, svolgono una valida azione nei confronti della fragilità capillare. E non è finita qui: incrementando la formazione dei succhi gastrici, il frutto del Citrus Sinensis facilita la digestione, mentre la funzione antiossidante degli antociani incentiva il metabolismo. Le fibre, infine, hanno virtù diuretiche e impediscono ai grassi e agli zuccheri di essere assorbiti troppo velocemente (con buoni risultati anche per la linea).

 

 

Dell’ arancia esistono molte varietà, ammontano a oltre 100. Le differenze principali possono essere ricondotte a due tipologie: arance dolci e arance amare (le prime le compriamo dal fruttivendolo, le seconde si utilizzano in ambito cosmetico e per la produzione di marmellate dal gusto particolare), arance bionde e arance rosse (la distinzione riguarda essenzialmente il colore della loro buccia). Qualche nome delle numerose varianti? Ci sono le Navel, le Tarocco, le Moro, le Sanguinello, le Belladonna, le arance alla vaniglia…Ma quel che ci interessa ora è come includere questo succoso frutto nella prima colazione.

 

 

La classica spremuta d’arancia è un toccasana, però prima di prepararla bisognerebbe osservare qualche accorgimento. Innanzitutto, non va mai bevuta a digiuno: l’acido citrico contenuto nel frutto potrebbe risultare difficilmente digeribile o provocare acidità di stomaco. Sempre per questo motivo, chi soffre di patologie gastriche dovrebbe evitare l’aranciata o perlomeno consumarla dopo qualche pasto, foss’anche solo un toast o un dolcetto. Le arance possono essere mangiate a spicchi o tagliate a fette, lo spunto ideale per una prima colazione coi fiocchi: arricchiscono il porridge e i pancake, diventano deliziosi biscotti (se volete strafare, immergetele nel cioccolato fuso). Con il succo, la polpa e la scorza di arancia si preparano dolci sfiziosissimi, dalle torte al pan d’arancio siciliano, dai ciambelloni alla crema di arancia passando per i muffin, il rotolo e le crostate. Cercate qualche ricetta? Cliccate qui. E dato che a Natale manca poco più di un mese, vi suggerisco di provare le scorze di arance candite: sono una ghiottoneria unica (qui la ricetta), anche in questo caso – volendo – da intingere nel cioccolato fuso per esaltarne al massimo il sapore. Se invece optate per una colazione essenziale e super salutare, puntate sulla marmellata di arancio spalmata sulle fette biscottate o  su una fetta di pane; è una prelibatezza “minimal”, ma dalla bontà garantita.

 

 

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Equinoxe de Chanel: la magia dell’ Autunno racchiusa in una splendida collezione make up

 

L’Equinozio d’Autunno  è già alle nostre spalle, ma la natura raggiunge solo ora i suoi picchi di bellezza: il caldo imperante, fino a poco tempo fa, le impediva di tingersi dei meravigliosi colori che caratterizzano questo periodo dell’anno. Un periodo che Gabrielle Chanel, peraltro, adorava. Non è un caso che sia stata ispirata proprio dall’ Autunno e dalle sue cromie al momento di creare i suoi leggendari capi in velluto e in tweed, o il knitwear “rivoluzionario” che liberava il corpo femminile. Le tonalità del foliage, punta di diamante della palette stagionale, riappaiono oggi nella collezione make up Equinoxe de Chanel ideata dallo Studio di Creazione Maquillage della Maison. A predominare sono sfumature colte nei precisi istanti del passaggio dall’Estate all’Autunno, quando gli ultimi raggi di sole lambiscono un fogliame già cromaticamente orientato verso la nuova stagione. Quegli attimi sospesi nel tempo sprigionano una magia ineguagliabile: Equinoxe di Chanel se ne appropria e la profonde in una serie di prodotti che inneggiano all’ Autunno e al suo splendore.

 

 

Speciali formule nutrienti, polveri e pigmenti ad alta concentrazione si alternano e fondono in una collezione che magnifica i rossi, i beige, i viola, i marroni e i granata tipicamente autunnali, una serie di colori impregnati di profonda suggestività. La collezione risulta incantevole anche nel packaging: alcune confezioni esibiscono la lussuosa texture laccata in nero con il logo della doppia C, altre si declinano in materiali come il vetro tingendosi di un seducente nero dégradé. E’ il caso di Ombre Première Libre, un ombretto in polvere libera e impalpabile che diventa cremosa dopo l’applicazione. I suoi molteplici pigmenti si combinano con particelle madreperlate dando origine a sei tonalità vibranti, intrise di bagliori e di riflessi satinati. I colori che lo contraddistinguono sono Sycomore (un beige avvolgente), Chêne Brun (marrone intenso), Cèdre Cuivré (rame), Acacia (Terra di Siena bruciata), Bois d’Amarante (rosso granato) e Mûrier Noir (un profondo viola).

 

 

I fard Douceur d’Equinoxe, concepiti con l’intento di replicare gli splendidi chiaroscuri autunnali, esaltano un connubio di colore e luce ricco di fascino. Radiosità, luminosità ed effetto bonne mine sono i loro punti di forza: declinati in un duo di tonalità perfettamente armoniche, entrambi esaltano gli zigomi e le guance con un velo di colore. L’eleganza che emanano coinvolge anche le cialde dei prodotti, impreziosite da uno sfondo in “basso rilievo” di foglie morte su cui si staglia la doppia C; è un inno all’ Autunno e, al tempo stesso, alla perpetua bellezza dei cicli stagionali. I duetti cromatici in cui Doucer d’Equinoxe viene proposto sono Beige et Corail (beige più un corallo delicato) e Beige Rosé et Mauve (beige virato al rosa più malva): il primo dona un’intensità vibrante al colorito, il secondo accende il viso di un impalpabile splendore.

 

 

L’iconico rossetto Rouge Coco Bloom sfoggia sei nuance inedite appositamente pensate per questa collezione. Le sue doti, tuttavia, rimangono invariate: idratante, rimpolpante, brillante e raffinatissimo, vanta una speciale formula che fonde i pigmenti ad alta intensità con gli oli nutrienti e le cere naturali – mimosa, girasole e jojoba – del complesso Hydraboost. Il risultato è spettacolare; il colore si mantiene a lungo inalterato sulle labbra, che appaiono morbide, irresistibilmente volumizzate e ricche di lucentezza. Le sfumature di cui si tinge Rouge Coco Bloom richiamano le cromie dell’Equinozio e spaziano dalle tonalità tenui a quelle più calde e intense: spiccano il corallo, il rosa delicato, il Terra di Siena bruciata, affiancati dal rosso vivido e da un penetrante bordeaux. I loro nomi sono 150 Ease de Chanel (un mix di nude e rosa caldo), 152 Sweetness (rosa antico), 154 Kind (Terra di Siena bruciata), 156 Warmth (rosso vivido), 158 Bright (un rosso vibrante ma più scuro del precedente) e 160 Wild (rosso granato).

 

 

La collezione dedica allo smalto per unghie delle tonalità altrettanto affascinanti; Le Vernis, un’altra icona della Maison Chanel, esibisce un vibrante color arancio e un ammaliante Terra di Siena bruciata per simboleggiare il passaggio dall’ Estate all’ Autunno sancito dall’ Equinozio. 163 Eté Indien, vivace, rimanda alla spensieratezza estiva, mentre 165 Bois des Iles ostenta una nuance che rievoca la terra e il suo assopimento autunnale. E’ proprio in questo dualismo che risiede il fascino di Equinoxe de Chanel: ogni suo colore celebra la transizione tra la seconda e la terza stagione dell’anno, quell’attimo sospeso in cui si compenetrano e avvicendano due cicli della natura. Sono istanti preziosi; l’armonia cosmica tocca il suo apice, la notte e il giorno raggiungono un equilibrio perfetto, il creato inizia la sua metamorfosi per affrontare la nuova fase stagionale. Equinoxe de Chanel è un’ode alla magia di questa ciclicità perenne e al periodo in cui la natura si ammanta dei colori più stupefacenti: non stupisce che l’Autunno fosse la stagione preferita di Gabrielle Chanel.

 

 

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Il vino novello, un piacere tutto autunnale

 

Novembre, tempo di vino novello: in Italia è disponibile dal 30 Ottobre, e potrà essere commercializzato fino al 31 Dicembre. Molti festeggiano la sua immissione sul mercato a San Martino, in parte perchè così voleva la tradizione e in parte perchè, prima del decreto del Ministero delle Politiche Agricole del 2012, veniva venduto a partire dal 6 Novembre. Oggi tale data è stata anticipata, permettendoci di assaporare il suo aroma fruttato e il suo gusto fresco, vagamente frizzante, già dall’ inizio del mese. E’ un tipico vino aromatico il vino novello, il cui nome sembra sottolinearne la provenienza dalla vendemmia dello stesso anno in cui viene degustato. Affinchè possa essere definito “vino novello”, tuttavia, il Ministero delle Politiche Agricole ha stabilito una normativa ad hoc: deve possedere una gradazione alcolica che si attesta a un minimo di 11 gradi, contenere almeno un 40% di uve vinificate per macerazione carbonica e un 60% tramite processi di vinificazione tradizionali, e un massimo di zuccheri riduttori che ammonta a 10 grammi per litro. E’ stato fissato un limite anche per il procedimento di vinificazione, che non può oltrepassare i 10 giorni. Il vino novello, inoltre, va consumato “giovane”: ottenuto con livelli tannici bassissimi, è un “pronto da bere” da degustare per non oltre sei mesi dal suo imbottigliamento. Dopo questo periodo è soggetto a un deterioramento graduale, ma irreversibile, poichè si tratta di un tipo di vino che non possiede i requisiti affinchè possa “invecchiare bene”. La denominazione di vino novello riguarda, infine, solo i vini DOP (Denominazione di Origine Protetta) o IGP (Identificazione Geografica Protetta) sia fermi che frizzanti. Potrete trovare tutte queste informazioni sull’etichetta.

 

 

Bere vino a poca distanza dall’ ultima vendemmia è una tradizione remotissima che accomunava i Greci e i Romani: in Grecia, il vino novello veniva consumato in abbondanza durante le feste dedicate a Dioniso; nell’antica Roma, invece, si preferiva degustarlo in Autunno. Un po’ come avviene in Francia con il vin bourru, tanto per intenderci. Dire “vino novello”, però, non significa dire “vino nuovo”: il suo segno distintivo è la tecnica di vinificazione a macerazione carbonica a cui viene sottoposto il 40% dell’uva. Ma in cosa consiste esattamente questa tecnica? In sintesi, si inseriscono dei grappoli d’uva interi in un serbatoio saturo di anidride carbonica fino ad azzerare completamente l’ossigeno. I grappoli rimangono nel serbatoio per qualche ora o qualche giorno, a una temperatura di 25°; nel frattempo, la mancanza di ossigeno dà il via a un processo di fermentazione alcolica intracellulare. Gli zuccheri si tramutano in etanolo prima che l’uva venga pigiata al termine della macerazione. Il vino che si ottiene, il vino novello, possiede un dolcissimo sentore fruttato frammisto all’aroma del mosto.

 

 

Non è raro che il suo gusto rievochi quello di frutti quali la fragola, il mirtillo, il lampone o la ciliegia, perfettamente armonizzati con vaghi accenti floreali. La gradazione alcolica relativamente bassa rende possibile assaporare più di un calice di questo vino dal caratteristico color rubino. Degustarlo è un’esperienza sensoriale unica, impreziosita dal breve lasso di tempo in cui ci è consentito sperimentarla. La freschezza del vino novello fa sì che si sposi con molteplici cibi autunnali: il top viene raggiunto con il classico tagliere di salumi e formaggi, ma anche le castagne (specie a San Martino) rappresentano un abbinamento ideale. Zucche, funghi, legumi e formaggi di stagione come il pecorino compongono un connubio all’ insegna della delizia con il vino novello, per non parlare degli stuzzichini a base di pesce. Se al salato preferite il dolce, sarà perfetto accompagnare un dessert al cioccolato fondente alle note fruttate di questo vino.

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Le Fave dei Morti, il tradizionale dolce marchigiano per i defunti: origini, storia, simbologia e ricette

 

In occasione delle ricorrenze di Ognissanti e della Commemorazione dei Defunti, celebrate rispettivamente l’1 e il 2 Novembre, in Italia si usa preparare i cosiddetti “dolci dei morti”. Si tratta di dolcetti tradizionali preparati con ingredienti semplici e frugali, spesso a base di mandorle, diffusi in tutte le regioni della penisola: possono essere dei biscotti, la cui forma rimanda di frequente alle ossa umane (le “Ossa dei Morti” sono popolarissime in Lombardia, Piemonte, Veneto, Sicilia, nel senese e nelle Marche),  delle specifiche tipologie di pane e di panini (rintracciabili in Trentino, Maremma, Sicilia e Lombardia), dei prodotti di pasticceria a base di marzapane (per esempio le “Dita di Apostolo” e la “Frutta di Martorana” della tradizione calabrese e siciliana), oppure varianti del torrone come il tipico “Torrone dei Morti” napoletano. Voglio soffermarmi, però, su un dolce caratteristico della mia regione, le Marche, oltre che di regioni del centro Italia quali il Lazio, l’Umbria e l’ Emilia Romagna: le “Fave dei Morti”.

 

 

Sono dei biscotti dalla forma generalmente ovale o tondeggiante, simili agli amaretti ma solo nell’ aspetto. Il denominatore comune di tutte le versioni, che differiscono a seconda della zona di provenienza, sono le mandorle tra gli ingredienti principali. Ma perchè il nome “Fave dei Morti”, e come è nata questa tradizione? Pare che l’usanza abbia avuto origine dall’antichissima credenza secondo cui i defunti, tra l’1 e il 2 Novembre, tornassero nel mondo dei vivi. In quell’occasione, veniva organizzata per loro un’accoglienza all’insegna della dolcezza. Ogni famiglia, all’epoca, manteneva ben saldo il legame con i propri antenati e ne onorava il ricordo costantemente. I dolci preparati durante le festività dei Morti, dunque, venivano offerti a questi ultimi (oltre che a tutti i familiari) per celebrare il loro ritorno dall’ aldilà. Bisogna innanzitutto precisare che la ricetta delle “Fave dei Morti” non ha niente a che vedere con le fave: in tempi remotissimi, questo legume era considerato un tramite tra l’Ade, il regno dei morti, e il mondo tangibile.  La fava veniva associata all’ oltretomba in tutta l’area del Mediterraneo. Gli antichi Romani, ad esempio, erano soliti omaggiare con delle fave il dio dei Morti e le consideravano un emblema delle anime dei defunti. Secondo alcuni studiosi, la fava assunse questa valenza simbolica in virtù del suo fiore: i petali candidi esibiscono una macchia nera che fu paragonata alla T di “Thanatos”, dal greco θάνατος ovvero “Morte”; lo stelo, inoltre, è lineare e ha radici che si sviluppano in profondità nel terreno. Entrambi i dettagli vennero interpretati come l’indizio di un collegamento tra la fava e l’aldilà, poichè si pensava che l’Ade fosse collocato nelle viscere del suolo.

 

 

Per certi popoli, l’anima dei defunti si celava proprio all’ interno della fava, e calpestarne qualcuna in un campo rappresentava un autentico sacrilegio; mangiare fave, al contrario, significava stabilire una connessione con una persona passata a miglior vita. Erano molti i rituali che rinsaldavano il nesso tra le fave e il regno dei Morti. Si usava, ad esempio, offrirle in dono a un defunto depositandole sulla sua tomba. Queste pratiche, non di rado, erano impregnate di superstizione. Per far sì che i trapassati riposassero in pace, si cospargevano di fave i loro sepolcri. Lanciare fave dietro le proprie spalle recitando litanie propiziatorie aveva, invece, una funzione redentrice. Durante i banchetti funebri, le fave costituivano la pietanza principale: quelle cotte erano riservate ai benestanti, mentre i poveri dovevano accontentarsi delle fave crude. Con l’avvento del Cristianesimo, il legame che associava la fava all’Ade non venne mai meno. Tra il 900 e l’anno 1000, l’abate benedettino Odilone di Cluny promulgò una riforma atta a far coincidere la Commemorazione dei Defunti con il lasso di tempo compreso tra i vespri del 1 Novembre e l’eucarestia del giorno seguente. Per permettere ai monaci di pregare tutta la notte, l’abate lasciava loro un gran numero di fave con cui sfamarsi. In occasione delle solennità dei Morti, inoltre, i poveri potevano usufruire di ciotole di fave poste ad ogni angolo di strada. Con Odilone di Cluny questo legume divenne cibo di precetto, ma diversi secoli dopo fu sostituito dai golosi dolcetti battezzati “Fave dei Morti”. I biscotti a base di mandorle, con la loro forma tondeggiante, simboleggiavano alla perfezione il viaggio di sola andata che l’anima compie verso il sonno eterno. In Umbria, non a caso, le Fave dei Morti venivano vendute nelle bancarelle che il 2 Novembre si posizionavano proprio accanto ai cimiteri.

 

 

La preparazione delle Fave dei Morti è piuttosto semplice: gli ingredienti principali sono le mandorle (pelate) e lo zucchero bianco, a cui si aggiungono la farina, il burro, la scorza di limone, i tuorli d’uovo e la cannella in polvere. Per l’impasto esistono diverse versioni; una di queste prevede che le mandorle e lo zucchero vengano pestati a parte, insieme, per poi essere uniti agli altri ingredienti. Un’altra ricetta suggerisce di mescolare la farina, le mandorle tritate, lo zucchero e il burro tagliato a pezzetti aggiungendo subito dopo la scorza di limone grattugiata, la cannella e le uova sbattute. A questo punto si ottiene un impasto morbido che va suddiviso in palline da cuocere in forno, a 180 gradi, per un quarto d’ora. Se le versioni delle Fave dei Morti sono molteplici, comunque, il risultato è unico: una delizia garantita.

Foto via Unsplash

 

Un Halloween delizioso: 10 dolci e piatti tradizionali tra l’Irlanda e gli Stati Uniti

 

Abbiamo già parlato delle “torte dell’anima”, le torte tradizionali che in Irlanda e nel Regno Unito venivano donate ai questuanti in cambio di preghiere per i defunti (rileggi qui l’articolo). Ma quali altri dolci o cibi tipici sono soliti preparare gli anglosassoni per festeggiare la vigilia di Ognissanti? Ne prenderemo in esame alcuni spaziando dall’ Irlanda agli Stati Uniti: le lande celtiche dove è nato Samhain che nel XIX secolo, in America, è diventato Halloween grazie alla comunità irlandese emigrata nel paese a stelle e strisce.

 

La Pumpkin Pie

E’ la torta più famosa dell’ Autunno, protagonista principale (insieme al tacchino) sulla tavola del Thanksgiving Day americano. Ha un aspetto inconfondibile: è composta di pasta frolla e contiene un ripieno di crema di zucca aromatizzata con spezie quali i chiodi di garofano, la cannella e la noce moscata. La si farcisce con “riccioli” di panna montata che accentuano la sua golosità.

 

La Whoopie Pie

Ideata con molta probilità dalla comunità Amish, questa torta consta di un delizioso ripieno di crema di marshmallows, o crema al latte aromatizzata alla vaniglia, racchiuso tra due strati tondeggianti a base di cacao. Per il 31 Ottobre è gettonatissima in versione biscotto, ognuno preferibilmente riempito di crema all’arancia.

 

Le mele caramellate

VALIUM ne ha parlato già (rileggi qui l’articolo). Sono ghiotte sia per la vista che per il palato: rossissime e rivestite di un lucente strato di zucchero caramellato, possono essere decorate con un tripudio di confettini o zuccherini multicolor.

 

Le Candy Corn

Ricordano i semi del mais, un frutto tipicamente autunnale; in realtà sono chicchi di riso soffiato caramellati a cui viene data una forma conica. I colori di cui si tingono le Candy Corn sono caratteristici: bianco, arancione e giallo all’insegna di una solare giocosità.

 

La Bundt Cake

E’ un’altra specialità americana, nonostante il suo nome vanti un’origine germanica. Ha una forma a ciambella che la rende molto simile al ciambellone italiano; ne esistono varie versioni, ma per celebrare Halloween si predilige la variante al cacao ricoperta di squisita glassa al cioccolato.

 

La Divinity Candy

Sono dolcetti molto popolari nel Sud degli Stati Uniti. Somigliano a delle meringhe, oppure a dei torroncini, e tra i loro ingredienti risaltano lo zucchero bianco, l’estratto di vaniglia, gli albumi d’uovo sbattuti e lo sciroppo di mais. Per renderli ancora più deliziosi vengono guarniti con frutta secca e noci pecan, una varietà dal sapore particolarmente intenso diffusa in paesi come il Texas e la Louisiana. Oltre che ad Halloween, negli USA si gustano durante le feste natalizie.

Passiamo ora a quattro cibi tradizionali irlandesi.

Il Barmbrack

E’ il dolce di Halloween per eccellenza. Si tratta di un pane dolce (o di pagnotte) contenente uva passa e uva sultanina, ed è legato ad usanze antichissime: si dice che il bàirìn breac (questo il suo nome in irlandese) sia “chiaroveggente”. Al suo interno, infatti, si soleva inserire alcuni oggetti che avevano un significato ben preciso. Il pisello indicava che si sarebbe rimasti single fino alla fine dell’anno, il panno era foriero di povertà, la moneta di ricchezza e di un matrimonio imminente, e così via. Il medaglione con l’immagine della Madonna presagiva addirittura una vita consacrata a Dio. Oggi tutti quegli oggetti sono stati eliminati, ma ne rimane uno: l’anello, simbolo di un radioso futuro.

 

Il colcannon

Dal dolce passiamo al salato, ma sempre all’insegna della bontà. Il Colcannon è un piatto composto da latte, burro, patate e cavolo (in irlandese “càl”, da qui probabilmente il nome “colcannon”) riccio o cappuccio. A volte si aggiungono delle cipolle, erbe varie ed erba cipollina, per poi consumare il pasto con un “ensemble” di carne di maiale. Quando arriva Halloween, anche il Colcannon diventa “chiaroveggente”: al suo interno vengono inseriti un bastoncino, alcune monete, il lembo di uno straccio e un ditale. Come avveniva per il Barmbrack, lo straccio è l’emblema di un futuro di povertà; il bastoncino, invece, annuncia dei problemi nella vita di coppia.

 

I Boxty

Un’altra ricetta tipicamente irlandese: i Boxty sono frittelle di patate la cui origine risale alla grande carestia che flagellò l’isola di smeraldo durante la metà dell’800: anche le patate eccessivamente ricche di acqua dovevano essere utilizzate. I Boxty, non a caso, contengono un mix di patate bollite e crude a cui vengono aggiunti il lievito, la farina, il burro e il latte. Dopo averli uniti in un composto omogeneo, con esso si preparano delle frittelle lievemente dorate e insaporite con una cipolla tritata, erbe aromatiche o spezie e una buona dose di panna acida.

 

Il Champ

Simile al Colcannon, il Champ proviene dall’ Irlanda del Nord; più precisamente dall’ Ulster, dove è nato nelle case che costellano le verdi lande di campagna. I suoi ingredienti principali sono il purè di patate, lo scalogno tritato, il latte caldo, il burro, il sale e il pepe. Per donargli un pizzico di sapore in più, non è raro che si aggiunga una manciata di cipollotti. Nel Sud dell’ Irlanda viene spesso chiamato “Poundies”. La notte di Halloween, il Champ è associato a una magica tradizione: si usa offrirlo alle fate lasciandolo in un piatto (munito di cucchiaio) sotto a un biancospino.

 

Foto del Colcannon di TheCulinaryGeek from Chicago, USA, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons

Foto del Champ di Glane23, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

 

Countdown to Halloween: inizia la maratona di VALIUM

 

“Il vento si appollaiava tra gli alberi, poi spazzava i marciapiedi con gli artigli sottili di un gatto. Tom Skelton rabbrividì. Tutti sapevano che il vento, quella sera, era un vento insolito; anche l’oscurità era insolita perchè era Halloween, la vigilia di Ognissanti. Tutto pareva tagliato in un morbido velluto nero, dorato, arancione. Il fumo si arricciolava fuori da mille camini, come i pennacchi di un corteo funebre. Dalle cucine esalava il profumo delle zucche; quelle svuotate della polpa e quelle che cuocevano dentro il forno. Il chiasso dietro le porte chiuse delle case crebbe in maniera impossibile, mentre ombre di ragazzi si stagliavano dalle finestre. Ragazzi semisvestiti, con la faccia truccata; qua un gobbo, là un piccolo gigante. Si frugava nelle soffitte, si forzavano chiavistelli, si buttavano all’aria vecchi bauli alla ricerca dei costumi. Tom Skelton si mascherò da scheletro. Sghignazzò soddisfatto ammirando la colonna vertebrale, le costole, le rotule che spiccavano candide sulla stoffa nera. Che fortuna il mio nome! pensava. Tom Skelton. Fantastico per Halloween! Tutti ti chamano Scheletro per canzonarti! Quindi come mi travesto? Da scheletro. “

Ray Bradbury, da “L’albero di Halloween”

 

Questo brano, tratto dal romanzo “L’albero di Halloween” di Ray Bradbury, inaugura la maratona che VALIUM dedica ogni anno alla vigilia di Ognissanti. Ci aspetta una settimana (o poco più) all’ insegna di un countdown perfettamente in linea con il 31 Ottobre e i suoi temi: eventi, moda, food, tradizioni, lifestyle, leggende e molto, molto altro ancora. Il tutto, va da sé, in salsa rigorosamente halloweeniana. Omaggeremo Samhain, l’antico Capodanno Celtico, che i mutamenti socio-epocali hanno tramutato in Halloween, la festa più attesa dell’ Autunno – una stagione, peraltro, ribattezzata “spooky season” dagli americani proprio in virtù dell’influenza che Halloween esercita su questo periodo dell’anno. Nelle città a stelle e strisce, zucche intagliate e decorazioni in stile horror stazionano davanti alle case già da inizio Ottobre. Noi dedicheremo a Samhain solo otto giorni, ma sono più che sufficienti per immergerci appieno nella sua atmosfera. Stay tuned e…segui il sentiero di mattoni arancioni!