La colazione di oggi: l’ uva, emblema di vita e di prosperità

 

Nella scorsa puntata di questa rubrica abbiamo parlato delle mele (e della torta di mele), stavolta parleremo dell’ uva. Molti frutti autunnali, in effetti, sono miniere inesauribili di salute e di benessere. L’ uva è uno di questi. Oltre a darci l’occasione di dilettarci con la vendemmia (io l’ho fatto da piccola, mia zia aveva un podere in campagna) ci regala il vino, e i suoi acini succosissimi sono ottimi anche per la prima colazione. Ma quali sono le virtù di questo frutto che, più di ogni altro, rappresenta la fine dell’ estate? Innanzitutto, contiene un’ alta quantità di polifenoli: la sostanza che dà il colore all’ uva e la mantiene sana.  Ingerendoli, contrastiamo l’ invecchiamento cellulare poichè agiscono contro i danni causati dai radicali liberi. I polifenoli sono molecole preziose anche per la salute dell’ apparato cardiovascolare; favoriscono infatti un buon funzionamento dell’ endotelio (il tessuto che riveste le pareti interne del cuore), dei vasi linfatici e sanguigni, svolgendo al tempo stesso un’ azione antinfiammatoria e antiaggregante. L’ uva, inoltre, è un ottimo antidoto contro la degenerazione della macula, la parte centrale della retina. Si rivela utile, quindi, a preservare il benessere della nostra vista.

 

 

Se volete mantenervi giovani e attivi a lungo, poi, l’ uva fa al caso vostro: il resveratrolo e l’ acido linoleico di cui è ricca incentivano, rispettivamente, la sopravvivenza delle cellule grazie a potenti proprietà antiossidanti, e il mantenimento dell’ elasticità della pelle. Lo stress ossidativo, drasticamente ridotto dai componenti dell’ uva, viene contrastato e anche la memoria ne risente: ecco perchè i grappoli di questo frutto sono dei veri e propri toccasana contro le malattie degenerative. Ma non è finita qui: la lista dei benefici dell’ uva è ancora molto lunga. La presenza dei polifenoli apporta ulteriori vantaggi, combatte la sindrome metabolica contribuendo a mantenere ottimali, di conseguenza, i valori dei trigliceridi, del colesterolo, della glicemia e della pressione. Avete mai sentito parlare di vitamina K? Bene, l’ uva la contiene. E’ un efficacissimo fluidificante del sangue, che previene il rischio di emorragie. Inoltre, la presenza di fibre solubili nel frutto regolarizza le funzioni intestinali e diminuisce i livelli del colesterolo e degli zuccheri nei vasi sanguigni.

 

 

L’ uva è squisita sia mangiata da sola che in innumerevoli altre versioni: potete utilizzarla per guarnire dessert quali torte, crostate, pancake, includerla tra i frutti della macedonia o tra i componenti di un tagliere, ricavarne un delizioso succo. Avete solo l’ imbarazzo della scelta! Per concludere, come sempre, lascio spazio alle curiosità e alle leggende. Che in questo caso sono numerosissime: basti pensare che l’ uva, in tempi remoti, veniva considerata il Nettare degli Dei. Non è un caso che gli antichi popoli associassero al vino una divinità in carne ed ossa, Bacco nel caso dei Romani e Dioniso in quello dei Greci. Questi Dei donavano l’ uva all’ uomo come atto di generosità, e dall’ uva veniva ricavata una bevanda, il vino, che aveva uno straordinario potere sull’ animo umano; se bevuto in quantità moderate, alimentava il coraggio, l’ euforia e la loquacità. I valori più comunemente attribuiti all’ uva erano molteplici: il vino, ma ancor prima la vendemmia, venivano associati alla condivisione e alla convivialità. Attorno all’ uva ruota un’ antica leggenda. Si raccontava che, agli albori del tempo, la vite non producesse frutti. Un contadino decise così di potarla, per far sì che le altre piante potessero godere della luce solare. Ma quando si vide disadorna e priva delle sue rigogliose fronde, la vite scoppiò in un pianto disperato. Un usignolo che passava da quelle parti, ascoltandolo, si commosse, e cominciò a intonare una canzone per darle conforto. Le stelle furono toccate profondamente da quella scena, e decisero di rianimare la vite con la loro luminosità. All’ improvviso, la pianta ritrovò le forze e ognuna delle sue lacrime si tramutò in un acino dolcissimo: erano nati i grappoli d’uva.

 

 

Una leggenda della mitologia ellenica, invece, ricollega la genesi della vite alla morte di Ampelo, uno splendido giovane di cui Dioniso era innamoratissimo. Quando Ampelo morì incornato da un toro, Dioniso versò lacrime amare. Il dio che non conosceva la sofferenza si rese conto, nel modo più triste, di cosa fosse il dolore. Inconsolabile, Dioniso continuava a piangere quando un giorno le sue lacrime, cadendo sul corpo inanimato di Ampelo, operarono il miracolo: Ampelo si tramutò in una vite e le lacrime di Dioniso, fondendosi con il sangue di colui che tanto aveva amato, diedero origine al vino. Una sostanza, non a caso, in grado di donare ebbrezza e quindi di cancellare i ricordi strazianti tramite la gioia e la spensieratezza. Il vino cominciò a incarnare la vita, l’allegria, un modo per sconfiggere la morte e qualsiasi pena. Ulteriori motivi che favoriscono l’associazione tra uva e vita si rinvengono nella vendemmia: un autentico rituale che coincide con l’ inizio dell’ autunno. La terra sta per assopirsi, inaugura il suo periodo di riposo in attesa del risveglio primaverile. Ma prima di farlo ci fa dono dell’ uva, o per meglio dire del vino, che ci accompagna lungo tutto l’ inverno restituendoci calore e gioia di vivere. L’ uva diventa così l’ emblema della vita stessa, del trionfo della vita sulla morte, dell’ amore, della prosperità. Non stupisce che in Spagna, a Capodanno, si usi ingurgitare 12 chicchi d’uva in concomitanza con i 12 rintocchi della mezzanotte. L’ uva è fertilità e abbondanza; nell’ Eucarestia il vino simboleggia il sangue di Cristo, che diventa anche il nostro affinchè possiamo rinnovarci, rigenerarci in Lui. Esiste poi un detto, “In vino veritas”, che celebra l’ effetto disinibitorio del vino. Il vino “libera”, elimina i freni e le inibizioni. Sconfigge la doppiezza e favorisce l’ affiorare della verità: rappresenta, dunque, una saggezza pura e “senza filtri”.

 

 

 

 

Il Tapeo di ROD Almayate

 

Per chi non sapesse cos’è il tapeo, basta dire che è uno dei riti più tipici della Spagna. Se conoscete le “tapas”, siete già a buon punto: “ir de tapeo” significa semplicemente “andare a degustare tapas”, farsi un giro di tapas all’ ora dell’ aperitivo. Come potete immaginare, è un rituale gustosissimo. In italiano potremmo tradurre “tapas” con “stuzzichini”, ma in realtà sono qualcosa di più: di solito si assaggiano insieme a un buon vino, un delizioso preludio a quella che poi sarà la cena. Tra le tapas più celebri troviamo quelle a base di tortillas, olive, formaggi locali, calamari impanati, crocchette di prosciutto, acciughe, gamberetti…e, ancora, uova sode, fette di pane spalmate con sfiziosi ingredienti, il tradizionale “chorizo”. Durante l’ estate, in particolare, il tapeo (che si svolge tassativamente all’ aperto, nelle “terrazas”) segna l’ inizio della movida. Non è un caso che ROD Almayate, il brand di gioielli Made in Italy più cool della Spagna, abbia dedicato a questa vivace consuetudine un’ intera collezione. Roberto Ferlito (designer e direttore creativo) e Diego Diaz Marin (fashion photographer e direttore artistico) sono ospiti di VALIUM sin dai loro esordi. Dopo il trasferimento in Andalusia, Schield Jewels  – il marchio fondato a Firenze dal duo – è diventato Rod Almayate e continua la sua scoppiettante avventura: l’ estro vulcanico di Ferlito e l’ estetica surreale e irriverente di Diaz Marin compongono un connubio che accentua la sua esplosività giorno dopo giorno. La collezione di gioielli Tapeo ce lo dimostra appieno, combinando il mood ironico di cui è intrisa ogni creazione del brand con una cifra stilistica unica e inconfondibile. Gamberetti, stuzzicadenti, olive, sardine, mozziconi di sigaretta e linguette delle lattine diventano di volta in volta ciondoli, anelli e orecchini: tutti  rigorosamente in palladio e ottone placcato oro impreziositi da elementi Swarovski.

 

 

I nuovissimi arrivati sono gli orecchini che sembrano mozziconi di sigaretta, attualmente in preorder. Affrettatevi a prenotarli, perchè molti pezzi della collezione sono già sold out! Da quando è stato fondato nel 2019, per ROD Almayate è stato subito boom di gradimento e di richieste: oggi, attrici, celebrities, popstar e teste coronate di tutto il mondo si contendono i gioielli della griffe. Un nome su tutti? Letizia Ortiz, moglie di re Filippo VI di Borbone. La regina consorte di Spagna adora letteralmente le creazioni di ROD Almayate.

 

Tapeo Cigarettes Earrings

Earrings Tapeo Olives

Avocado Lovers Couple Pendant

Lata Ring8

Earrings Espeto Sardinas

Earrings Tapeo Gamba

Tapeo Pendant Lata (con cristallo Swarovski disponibile in bianco, verde e rosso)

Tapeo Lata Earrings con cristallo Swarovski

Tapeo Bala e Sardina Pendant

 

 

 

Lucia Bosè, nel blu degli Angeli

Lucia Bosè in “Accadde al Commissariato” (1954) di Giorgio Simonelli

Stento ancora a crederci, ma pare che il Coronavirus abbia stroncato anche la vita di una delle più amate attrici italiane: Lucia Bosè. La notizia, scioccante, purtroppo è assolutamente vera. Lucia Borloni – questo il suo nome all’ anagrafe – è scomparsa ieri a Segovia, in Spagna, a causa di una polmonite aggravata dal COVID-19. Aveva 89 anni. Recentemente ho letto la biografia che le ha dedicato Roberto Liberatori, scritta in stretta collaborazione con la diva, e devo dire che l’ho trovata appassionante. Della Bosè, lo confesso, conoscevo l’ essenziale: il celebre incontro con Luchino Visconti quando, giovanissima, lavorava in una pasticceria di Milano, la vittoria a Miss Italia nel 1947,  qualche film in bianco e nero dei suoi esordi (come “Le ragazze di Piazza di Spagna” di Luciano Emmer, datato 1952, che è stato oggetto di un remake televisivo per RAI 2), il matrimonio nel 1955 con Luis Miguel Dominguin, che chiamava “il torero” e che amò per tutta la vita nonostante la burrascosa separazione. Se in Italia era la musa di Visconti e lavorava con registi – Michelangelo Antonioni, Giuseppe De Santis, Francesco Maselli – poi entrati negli annali della settima arte, in Spagna frequentava abitualmente Pablo Picasso, Ernest Hemingway e Jean Cocteau, assidui dell’ entourage del marito. Di Lucia Bosè mi rimane impresso il volto, intenso e luminoso: era un volto malleabile, che le permetteva di incarnare i più disparati ruoli nonostante la sua raffinatezza. Quando Luchino Visconti la vide per la prima volta alla Pasticceria Galli di Milano, dove la Bosè era stata assunta come commessa, ne rimase talmente colpito da dirle che in futuro avrebbe fatto del cinema. Lucia aveva solo 16 anni, ma la profezia del Maestro si avverò con tutti i crismi.

 

Con Ivan Desny ne “La signora senza camelie” (1953) di Michelangelo Antonioni

Quel volto fotogenico, su cui la luce si posava creando affascinanti giochi di bagliori e ombre, non può essere scordato. Sposando Dominguin Lucia Bosè scelse l’amore, privilegiò la famiglia e accantonò la carriera, ma dopo la separazione  – fu la prima donna a chiederla, nella Spagna ancora iper tradizionalista del 1967 – si accorse che non riusciva a rimanere lontana dal cinema. Tornò dunque sul set e lavorò fino al 2014, diretta da registi prestigiosi (Luis Bunuel, i fratelli Taviani, Federico Fellini, Mauro Bolognini, Liliana Cavani, Francesco Rosi, Ferzan Ozpetek…) e non necessariamente in ruoli da protagonista; l’ importante, era che un personaggio la conquistasse. Non aveva paura di imbruttirsi per esigenze di copione e si affidava volentieri a cineasti esordienti, se rimaneva intrigata da una sceneggiatura. Lucia era una donna forte, ribelle nel profondo e volitiva: nel 2000 realizzò il sogno di creare un Museo degli Angeli, all’ interno del quale ospitava opere d’arte a tema angelico. Lo allestì in Spagna, nel piccolo comune di Turégano, dove rimase attivo fino al 2007. Credeva nell’ Angelo Custode e persino il look che sfoggiava di recente, connotato dall’ immancabile chioma blu, aveva qualcosa di soprannaturale. Come Pablo Picasso, padrino di battesimo del suo primogenito Miguel (oggi popstar planetaria), anche Lucia Bosè ha avuto un “periodo blu”. Ma se per Picasso fu una fase decadente, inquieta e malinconica, la Bosè l’ha vissuto certamente come una rinascita, una riappropriazione di sè attraverso il trascendente. Adesso che è scomparsa, non ho dubbi su dove si trovi in questo momento: tra i suoi amati Angeli, le figure celesti di cui ha subito il fascino per una vita intera.

 

 

ROD Almayate: dalla Spagna con creatività e irriverenza

 

Chi segue VALIUM conosce bene Schield, il brand di luxury jewellery fondato nel 2012 a Firenze da Roberto Ferlito. Sono innumerevoli gli articoli che questo blog ha dedicato al marchio che ha sancito la collaborazione tra Roberto e il fashion photographer Diego Diaz Marin, ideatore dell’ identità visiva del progetto oltre che autore delle surreali campagne che l’ hanno raccontato: il duo creativo rientra tra i “VALIUM‘s friends” di lunga data. Adesso, provate per un attimo a chiudere gli occhi e a sognare. Davanti a voi c’è il mare, il gelo invernale viene sostituito da un clima tiepido. Lo sciabordio delle onde, con il suo ritmo soave e ipnotico, contrasta con le travolgenti melodie di una chitarra flamenca. Sullo sfondo, in cima a un promontorio, troneggia la sagoma dell’ iconico toro di Osborne. Ebbene sì, siamo in Spagna, e più precisamente in Andalusia: è proprio qui che, ad Almayate, Schield rinasce a nuova vita. Trasferitosi a pochi passi da Torre del Mar (città natale di Diego Diaz Marin), il brand fiorentino cambia nome e si tramuta in un progetto che ingloba moda, design e fotografia. Oggi si chiama ROD come un’ antichissima divinità slava, il creatore per antonomasia. E se da ROD si originò il Creato, Roberto Ferlito e Diego Diaz Marin danno vita ad un concept inedito basato su una serie di principi: l’ originalità, la passione e la libertà sono i suoi pilastri, la creazione il suo atto supremo. Nessuna censura, nessun asservimento al marketing o alle logiche di mercato, nessuno stereotipo di bellezza da seguire; ROD restituisce priorità all’arte e mantiene l’ imprinting Made in Italy avvalendosi del savoir faire minuzioso degli artigiani italiani. Ferlito, con oltre 20 anni di esperienza nel design di alta moda, e Diaz Marin, con la sua fotografia dissacrante, inaugurano un progetto che coniuga “Haute Joaillerie” e irriverenza. Così come è avvenuto per Schield, non è difficile prevedere che un folto stuolo di celeb, influencer e teste coronate si innamorerà di ROD all’istante. Ho incontrato Diego Diaz Marin per saperne di più sul brand e per approfondire,  insieme a Roberto Ferlito, questa ennesima, elettrizzante avventura che li vede protagonisti.

Da due mesi vi siete trasferiti in Spagna, dove avete appena dato il via ad un nuovo capitolo della vostra vita privata e professionale. Come avete maturato questa decisione?

Da più di un anno stavamo valutando l’idea di ricominciare tutto da capo, ma lo vedevamo come un sogno molto lontano: come se lavorare nella moda al di fuori delle sue capitali fosse qualcosa di impossibile…Però, negli ultimi anni, ogni volta che andavamo alle Fashion Week ci rendevamo conto che c’era sempre meno bisogno di essere lì. Perché con una personalità decisa e Internet, potevamo realizzare il nostro sogno in qualsiasi parte del mondo.

 

Roberto Ferlito e Diego Diaz Marin

 

Rispetto all’ Italia, a vostro parere, la Spagna ha una marcia in più? E quali sono i suoi punti di forza?

Non penso che abbia una marcia in più, ma nemmeno nessuna marcia in meno…. Però sì, lo vedo come un posto dove si può creare in modo più libero, indipendente. E senza stare tutto il tempo a guardare cosa fa tendenza, ma ascoltando semplicemente il proprio istinto: qualcosa che per noi è sempre stato un gran bisogno.

Nuova vita, nuovo nome: Schield è diventato ROD, un progetto che poggia le sue basi su una filosofia ben precisa. Cosa raccontate, al riguardo, ai lettori di VALIUM?

Per noi ROD, che significa bastonata, è un movimento che pensiamo sia necessario nella moda dei nostri giorni: significa fare una “pulizia” e tornare un po’ alle basi, laddove “moda” è sinonimo di qualità, creatività, arte e singolarità.

 

 

Nella mitologia slava ROD è una divinità, il creatore del mondo. La scelta di questo nome ha a che fare con la “rinascita” del vostro brand?

Certo! Noi volevamo dar vita a un mondo contraddistinto da un’onestà molto forte con noi stessi, dove poter creare senza l’influenza o le imposizioni del mercato. Un luogo in cui viene promosso il diritto di ogni donna e di ogni uomo a fare o ad essere quello che vuole, senza mai perdere l’eleganza e la dignità.

 

 

 

Diego, la Spagna per te è un rimpatrio. Abbiamo parlato spesso del color turchese che, come un trademark della tua fotografia, rimanda alle tonalità e ai paesaggi di Torre del Mar. Come vivi questo ritorno alle radici?

Lo sto vivendo in un modo incredibile! Soprattutto perchè ogni angolo che vedo per strada mi ispira, sembra parte di una mia scenografia…

A Roberto vorrei invece chiedere quali input ispirativi evoca in lui questa paradisiaca location. Come descriveresti le suggestioni che sprigiona il nuovo contesto in cui ti trovi a creare?

Per me evoca degli input molto forti e intensi, associati a tutte le nuove cose che sto scoprendo in questo nuovo ambiente.

 

 

ROD è fondato sui valore-base della creatività e dell’ irriverenza. Come tradurrà questi principi in stile?

Questo dovrete scoprirlo piano piano insieme a noi, seguendo l’evoluzione del brand!

 

 

 

Nel vostro comunicato, affermate di volervi distanziare da un sistema moda ormai asservito al marketing. Qual è la vostra ricetta per restituire priorità alla creazione?

Eliminare gli intermediari e tornare agli inizi dell’Alta Moda parigina, dove c’era un rapporto diretto tra lo stilista e la cliente finale.

 

 

La prima campagna di ROD, Diego, porta la tua firma. A quali motivi ti sei ispirato e come ce la racconteresti?

Mi inspiro a tutto il DNA che la mia terra mi ha trasmesso con il passare del tempo.

 

Il toro di Osborne, iconico emblema del promontorio di Almayate

 

ROD Almayate  www.rodalmayate.com

Photo by Diego Diaz Marin

 

 

 

 

 

“Làgrimas de Filigrana”: la Spagna profonda di Diego Diaz Marin

 

“Es mi problema”. Le parole si srotolano senza sosta, ritmiche e cadenzate, come in un poema. Fluide e  ipnotiche, alternando frasi consequenziali e contrastanti. Frammenti evocativi sciorinati in un continuum che la punteggiatura, anzichè arrestare, infittisce. Un inizio e un titolo perfettamente identici donano forza e impatto semantico al concetto,  ribadendolo come il refrain di una canzone: sono i fluenti versi di Brenda Germade ad introdurre la photostory che Diego Diaz Marin ha ambientato nelle location “infuocate” della Spagna più profonda. Quella Spagna del Sud pervasa, in ugual modo, di drammi e passioni sotto un sole cocente. Quella Spagna dei potenti emblemi della tradizione. Quella Spagna pittoresca, folkloristica e intrisa di duende che si  esprime  tra un tablao, una plaza de toros e una sevillana . Di quella Spagna Diego Diaz Marin – il talentuoso fashion photographer andaluso che i lettori di VALIUM conoscono ormai bene – riprende i simboli per offrirne una contemporanea chiave di lettura, accentuandone le sfumature in cromie vibranti che traducono la quintessenza di un paesaggio fisico e morale. All’ orizzonte di un panorama brullo, inaridito dal sole, si staglia la meravigliosa scenografia naturale di un cielo turchese ed abbagliante: un azzurro terso, vivido, pronto a diluirsi in infinite nuance di viola nel momento in cui il tardo tramonto del sud tinge di tonalità intense emozioni e sensazioni, amplificandole a dismisura.

 

 

 

 

Lagrimas de filigrana, il titolo dello shooting, si insinua nel racconto tessendo una preziosa trama: in arabeschi sottili di pathos condensa un mood struggente e passionale come la melodia impregnata di vento, naturaleza e sabbia di un cante jondo. La sagoma di un toro enorme incombe sullo sfondo, tanto nera quanto gli abiti che indossa la novella Carmen di Diaz Marin: pizzi, veli e trasparenze vengono alternati ad un gilet da torero portato sulla pelle nuda, come la gonna dallo spacco inguinale. Con i capelli pettinati a crocchia nel più puro stile flamenco, l’ eroina del racconto si circonda di accessori in cui rivive il cuore dell’ essenza de Espana: cappello nero, garofani color rosso fiammante e banderillas sono le armi con le quali affronta la tradizione di un’iconografia gloriosa, in una sfida che vedrà entrambe vincenti.

 

 

 

 

 

 

 

Scintillano su questi ritratti di sensuale atmosfera i gioielli Schield, evocativi e scenografici, imprescindibili dettagli che enfatizzano la personalità della muchacha con straordinario impatto. E mentre il toro si sfida – sdrammatizzandone la presenza con una danza nei paraggi delle enormi zampe – oppure si sfugge – in un abito di un arancio vibrante che sostituisce, con ironia, il rosso d’ordinanza – a sorpresa appare il compare fedele del campesino: l’ asinello nero delle terre brulle, sul quale il long dress immacolato e geometrico della protagonista si staglia a contrasto.

 

 

 

 

 

La sera cala veloce e il cielo si tinge di viola, in gradazioni sempre più intense. Suggestioni urbane e campestri si fondono, niente affatto stridenti, nella voluminosa pelliccia rosa di una Carmen votata al glamour seduta a pochi passi dalla  capanna del toro. E’ l’ ora de las copas e de las tapas : alla protagonista non rimane che approssimarsi alla decappottabile con la quale ha compiuto il viaggio. A modo suo, libera, senza vincolo alcuno, seguendo la scia del tramonto. In un total black che alla sensualità di una vertiginosa scollatura contrappone il pizzo fitto della mantiglia la protagonista si sdoppia, si triplica, come ad incarnare quelle bambole fatte in serie e vestite di abiti tradizionali che vengono vendute nei souvenir shop de La Rambla. E’ l’ ultimo atto di un’ avventura caliente che ha rivelato, in controluce, tutto il valore intrinseco di una preziosa trama filigranata: dalle lacrime poco drammatiche, e molto giocose.

 

 

 

 

 

Story & Words (Es mi problema): Brenda Germade – Photos: Diego Diaz Marin – Stylist: Yolanda Quintas – Model: Pati Vaquerizo – Hair & Make Up: Coello Casado – Making Off: Dani Germade.