Schield Jewels: a tu per tu con Roberto Ferlito

In questi giorni la stampa internazionale, sempre molto attenta ai look di Letizia Ortiz,  è rimasta letteralmente conquistata dagli orecchini che la Regina di Spagna ha sfoggiato durante la cerimonia di premiazione della Fondacion Consejo Espana-India: un grappolo di fiori smaltati di bianco e cosparsi di Swarovski che pende dal lobo sfiorando delicatamente il collo. Gli orecchini in questione sono firmati Schield, un brand che i lettori di VALIUM conoscono ormai bene. Direttore creativo del marchio fondato a Firenze nel 2012 è Roberto Ferlito, classe 1981, nato in Sicilia ma fiorentino d’adozione. Dopo il diploma al liceo artistico, Roberto prosegue gli studi a Milano prima di stabilirsi definitivamente nel capoluogo toscano,  dove esordisce come designer di accessori per brand del calibro di Vivienne Westwood e Roberto Cavalli. E’ durante il periodo trascorso alla corte del “Re dell’ Animalier” che ha il suo primo approccio con il gioiello: un coup de foudre sfociato, in breve tempo, nella creazione di una griffe che ingloba la luxury jewellery in un vero e proprio progetto con focus sul design, sulla fotografia e sul lifestyle. L’ incontro e il connubio con il fotografo Diego Diaz Marin sono stati, in questo senso, fondamentali. Insieme, Ferlito e Diaz Marin hanno dotato l’ universo Schield di un’ identità inconfondibile e dal forte impatto visivo: il design avantgarde di Roberto mixa originalità e inventiva con piglio graffiante, a tratti ironico, declinando il proprio estro visionario in creazioni ad alto tasso di savoir faire artigianale. La destinataria è una donna audace, priva di censure, eccentrica e sofisticata al tempo stesso: una donna che le advertising campaign di Diego Diaz Marin per Schield “raccontano” in immagini d’effetto.

Il successo riscosso da questo brand già divenuto iconico era inevitabile, rafforzato dal visual magazine Doubleview che ne diffonde il progetto a livello internazionale.  La nomina tra i finalisti della categoria “Accessori e Gioielli” di Who’s Next, l’ iniziativa di fashion scouting  lanciata da Altaroma e Vogue Italia, ha rappresentato un ulteriore, prestigioso step nella carriera di Roberto Ferlito: l’ ho incontrato per approfondire con lui l’ appassionante avventura di Schield.

Come nasce il tuo percorso di designer di gioielli?

Mi avvicino al mondo del gioiello quasi per caso, quando cominciai a lavorare per Roberto Cavalli 14 anni fa. Da lì una grande sorpresa mi porta ad appassionarmi fino a creare Schield.

A Firenze vivi, ma hai anche fissato il tuo headquarter. Quali sono i pro e i contro dell’ aver privilegiato una location che, pur prestigiosa,  si distanzia dal circuito delle capitali internazionali della moda?

Firenze è da sempre una città che mi ha dato molto, sia nel personale che nel lavoro. La distanza non mi spaventa anche perché è in un punto strategico, che ti permette di arrivare un po’ dappertutto. Il mio studio, creato insieme a Diego, è un luogo dover poter seguire serenamente i nostri progetti e il fatto di essere un po’ distanti dalle capitali della moda ci permette di creare senza nessun tipo di influenze.

Schield è un progetto che incorpora un mix esplosivo di estro e trasgressione. Quali input ha apportato, in questo senso, il tuo connubio creativo con Diego Diaz Marin?

Quando ho conosciuto Diego è scattata, da subito, una sintonia creativa molto simile che ci ha permesso di tracciare senza alcun dubbio la nostra strada creativa. In poco tempo ha permesso sia a Schield, che a Diego come fotografo, un forte impatto nel mondo della moda, dell’arte e delle celebrities.

Quanto è importante l’ aspetto visuale, oggi, al fine di veicolare l’ identità e il mood di un prodotto?

Soprattutto per Schield è importante perché con i nostri scatti, oltre a mostrare i gioielli siamo riusciti a creare un mondo che ha dato una personalità al brand.

Nei tuoi jewels risaltano il design innovativo, scintillanti Swarovski e colori vibranti che si sposano con l’ artigianalità più minuziosa. A quali spunti attinge la tua ispirazione?

E’ tutto casuale, qualunque cosa guardo può diventare un gioiello Schield.

Se dovessi tracciare un ritratto della “donna Schield”, come la descriveresti?

Decisa!

Esistono creazioni a cui sei particolarmente legato o contraddistinte da una speciale traiettoria creativa?

Uno dei pezzi che preferisco è la Fluide Necklace, un choker che viene realizzato come se il metallo stesse per sciogliersi.

Doubleview è il magazine che “racconta” il progetto Schield nella sua interezza. Posso chiederti qualche anticipazione sul prossimo numero della rivista?  

Doubleview è un progetto a sé, anche se viene realizzato nel nostro studio. Ha una propria personalità. L’ unica anticipazione che posso darti è che il prossimo numero uscirà a fine settembre e sarà un numero provocatorio molto più vicino all’ arte visiva che alla moda.

Cos’ ha rappresentato, per te, il traguardo di Who’s Next?

Una grande soddisfazione, sono contento di aver fatto parte di questo progetto!

 

 

Photo courtesy of Schield

Michael Putland, il fotografo delle leggende del Rock

Il libro-catalogo THE ROLLING STONES BY PUTLAND (ed. LullaBit)

 

Dalla A degli Abba alla Z di (Frank) Zappa: difficile individuare chi non sia stato immortalato da Michael Putland, in un ipotetico “alfabeto del Rock”. Classe 1947, inglese, Putland debutta come assistente fotografo quando è appena un teen. Apre il suo primo studio fotografico nel 1969, anno di transizione che vede sfumare gli Swingin’ Sixties nell’ era hippy e delle più graffianti Rock band. E’ allora che il link tra Michael Putland e la music scene si salda, indistruttibile, per tutti gli anni a venire. Il ruolo di fotografo ufficiale che ricopre per Disc & Music Echo, un magazine di musica britannico, è in questo senso fondamentale: proprio grazie alla rivista ha un primo approccio con Mick Jagger, che nel 1973 segue in tour inaugurando un pluriennale sodalizio con i Rolling Stones. Nel frattempo, prosegue indefessa la sua collaborazione con la stampa musicale e con major discografiche come CBS, Columbia Records, Warner, Polydor e EMI, per le quali ritrae le star di un’epoca straordinaria in quanto a innovazione e a fermento creativo. Nel 1977 si trasferisce a New York dove fonda Retna, agenzia fotografica rimasta attiva per quasi trent’anni. I soggetti principali del suo portfolio sono gli eroi della music scene: dagli Stones a Bowie passando per Prince, Eric Clapton, Tina Turner, Joni Mitchell e Marc Bolan – solo per citarne alcuni – Putland immortala personaggi annoverati nella music history per carisma e genialità. Ai suoi scatti vengono dedicate mostre, come l’ importante retrospettiva che la Getty Gallery di Londra ha organizzato per il suo 50mo di carriera o quelle, tutte italiane, con cui ONO Arte ha reso omaggio al suo archivio su David Bowie e sui Rolling Stones. Ed è proprio in occasione di It’s only rock’n roll (but I like it), la mostra che fino al 23 Luglio sarà visitabile nella galleria d’arte bolognese, che ho avuto il privilegio e l’ onore di scambiare quattro chiacchiere con Putland. Il libro-catalogo THE ROLLING STONES BY PUTLAND rappresenta una chicca aggiuntiva dell’ esposizione: edito da LullaBit, raccoglie oltre 200 scatti in cui il grande fotografo ha immortalato i Rolling on e off stage. Una splendida opportunità per approfondire l’ opera di Putland e per immergersi nel mood che animava (e che anima) una vera e propria leggenda del Rock.

Ha scattato la prima foto a soli 9 anni. Quale ‘molla’ ha innescato il colpo di fulmine con la fotografia?

Sì, è stato davvero un colpo di fulmine tra me e la fotografia. Ma la mia influenza principale è stato mio zio, che vedeva che questa passione stava nascendo in me e mi aiutò molto a coltivarla. Lui aveva un macchina fotografica tedesca, una Voigtländer 35 mm, e da lì partì tutto. Ho ancora una collezione di macchine fotografiche appartenute alla mia famiglia, quella di mia nonna ad esempio, con cui di fatto scattai la mia prima fotografia! Mia nonna, in seguito, mi regalò una delle prime macchine con rullino: una Kodak Crystal.

Si dice che lei abbia fotografato tutte le rockstar al top dagli anni ’70 in poi. Ha mai coltivato velleità musicali?

In realtà mi sarebbe piaciuto ma non ero per nulla portato, nonostante mia nonna – quella della macchina fotografica – fosse una pianista abbastanza famosa ai suoi tempi.

Michael Putland

Tra gli innumerevoli artisti che ha immortalato spicca David Bowie. Che ricordo ha di lui e quali atout, a suo parere, lo hanno tramutato in un’icona?

La prima volta che vidi Ziggy pensai che fosse eccezionale e diverso. Tutto quel periodo era straordinario, e l’aspetto androgino di Bowie era qualcosa che non si era mai visto. Credo che quello che lo abbia davvero reso un’icona – a parte la sua musica incredibile, perché non scordiamoci che la musica era incredibile – sia stata la sua capacità di reinventarsi costantemente. Anche il suo ultimo lavoro prima di morire, Lazarus, è stato davvero un capolavoro di citazioni e innovazioni al tempo stesso.

Il bianco e nero è un leit-motiv di tutta la sua opera. Perché?

Ovviamente sono cresciuto con il bianco e nero, e anche quando le pellicole a colori divennero disponibili, nessuno se le poteva davvero permettere – e a pensarci bene non ho mai conosciuto nessuno che ai tempi le usasse! Il mio occhio è abituato a leggere il mondo a due colori, anche quando scatto ora.

┬®Michael Putland, Mick & Keith live, Wembley 1973

La sua collaborazione con i Rolling Stones ha avuto inizio nei primissimi anni ’70. Che tipo di feeling si è instaurato tra lei e la band?

Quello che posso dire è che ci trattavamo con estremo rispetto reciproco e fiducia, ognuno del lavoro dell’altro. Il nostro rapporto era più che altro professionale, fatto di gesti e pose più che di parole, soprattutto in confronto al rapporto che avevo con altri artisti. E forse questa è sempre stata una delle cose che ho amato di più.

Nei suoi scatti, la quintessenza degli Stones si esprime al meglio nella dimensione del tour. Come se lo spiega?

Uno dei talenti che ho in assoluto come fotografo, se posso dirlo, è quello di stabilire un rapporto con il soggetto che ritraggo. La band si sentiva a proprio agio  con me e quindi ero in grado di cogliere la loro vera essenza – non un’immagine posata – che sul palco, ovviamente, era all’ennesima potenza. Oggi quando scatto in digitale ho ancora questa capacità, infatti edito pochissimo le mie foto. In realtà, se devo essere onesto, preferisco fotografare chiunque non sul palco: le restrizioni e le difficoltà tecniche sono folli. Ma con gli Stones era una simbiosi di musica e performance che sapeva trascinarti via. Per quello, essere con loro on stage era incredibile.

Bowie, 1976. The Thin White Duke

Esistono foto, tra quelle in mostra, che associa a ricordi o ad aneddoti particolari?

Senza ombra di dubbio la foto che scattai a Bob Marley, Peter Tosh e Mick Jagger al Palladium Theatre di New York. Il contrasto tra il viso di Mick esausto dalla performance sul palco è così bianco e quello di Peter Tosh così sorridente e scuro, al contempo: mi  hanno regalato uno dei miei scatti di maggior successo.

Il libro fotografico ROLLING STONES by PUTLAND è presentato in una doppia copertina raffigurante Mick Jagger e Keith Richards. Chi dei due subisce maggiormente il fascino dell’obiettivo?

Mick è sicuramente più naturale davanti all’obiettivo, ma al tempo stesso se Keith sorridesse e fosse a suo agio non sarebbe più lui. In realtà in questi ultimi anni è sempre più sorridente, lui stesso non si riconosce più – dice. In fondo, è un nonno anche lui!

Photo courtesy ONO Arte

“David Bowie. Il mito da Ziggy Stardust a Let’s dance” in mostra al Mantova Outlet Village

©Michael Putland

 

La collaborazione tra Mantova Outlet Village e ONO Arte Contemporanea prosegue con successo. Dopo il boom di presenze registrato dalla mostra Frida Kahlo. Fotografie di Leo Matitz, l’ Outlet Village di proprietà del Gruppo Blackstone e la galleria d’arte bolognese hanno in programma un nuovo, entusiasmante evento: l’ esposizione David Bowie. Il mito da Ziggy Stardust a Let’s Dance riassume infatti, in un percorso di 30 scatti, l’ ascesa di un artista divenuto una vera e propria icona globale. Saranno le foto di Michael Putland e il lavoro grafico di Terry Pastor ad illustrare la carriera di Bowie in quattro sezioni cruciali. La prima sezione, incentrata su un servizio realizzato nel 1972 da Putland nella residenza bowiana di Haddon Hall, racconta il periodo antecedente al clamoroso exploit di Ziggy Stardust e all’ uscita dell’ album The rise and fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars. Non a caso sono proprio le opere di Terry Pastor, autore dell’ artwork del disco e di Honky Dory, a completare questa tranche iniziale. La seconda sezione si concentra sulla “metamorfosi” di Bowie in The Thin White Duke. E’ è il 1976 e Station to station ha appena visto la luce, seguito da un lungo tour promozionale in Europa e negli Stati Uniti: Michael Putland ne immortala le tappe europee in una serie di celebri scatti live. Gli anni ’80 coincidono per Bowie con il successo commerciale di Let’s Dance, un momento di enorme popolarità che la terza sezione celebra attraverso i ritratti sorridenti scattati da Putland al divo del rock tra palco e backstage. A concludere la mostra, una quarta sezione dedicata alle foto del concerto-tributo a Freddie Mercury del 1992. Bowie viene ritratto on stage al Wembley Stadium, mentre omaggia il leader dei Queen in una storica performance insieme ad Annie Lennox: istanti memorabili che l’ obiettivo di Michael Putland coglie con un’ intensità senza pari, realizzando primi piani che annovera tra i suoi scatti più riusciti.

L’ esposizione, curata da ONO Arte Contemporanea, sarà introdotta da Daniela Sogliani del Centro Internazionale d’Arte e di Cultura di Palazzo Te domenica 29 Maggio alle 17.30.

©Michael Putland

Michael Putland ha iniziato la sua carriera fotografica alla fine degli anni ’60. Fotografo ufficiale dei Rolling Stones dal 1973, da allora ad oggi ha ritratto l’ élite musicale e culturale della scena anglosassone: John Lennon, Bob Marley, Madonna e Tony Blair sono solo alcuni dei personaggi immortalati dal suo obiettivo. Suoi scatti sono esposti nella grande mostra Exhibitionism che la Galleria Saatchi di Londra dedica ai Rolling Stones. Ed è sempre con gli Stones che Putland è attualmente impegnato nella realizzazione di un libro che racconterà, per immagini, l’ intera carriera della band.

©Michael Putland

 ©Michael Putland

©Michael Putland

David Bowie. Il mito da Ziggy Stardust a Let’s Dance.

Dal 29 Maggio al 17 Luglio 2016

c/o Mantova Outlet Village

Via Marco Biagi

Bagnolo San Vito (MN)

Per info e orari: 0376/25041

info@mantovaoutlet.it

www.mantovaoutlet.it

 

Photo courtesy of ONO Arte

“Doubleview” diventa internazionale

 

La sua è un’ impronta artistica inconfondibile: colori vibranti, netti, decisi, che mettono in risalto un mood irriverente e profuso di ironia. Il cielo azzurro del Mediterraneo riaffiora come un flashback, delineando il leitmotiv di scenari potentemente radicati nell’ immaginario. E poi, ancora, il rosso, il fucsia, il blu elettrico, il giallo, l’acquamarina, alternati in cromatismi vividi e di estremo impatto: spagnolo di Torre del Mar, il ventinovenne Diego Diaz Marin ha interiorizzato i panorami della sua infanzia traducendoli in assoluti input visivi. Come fashion photographer si impone in Italia, spaziando dalle advertising campaign per marchi del calibro di Roberto Cavalli, Aquazzura, Luisaviaroma, Liu Jo – solo per citarne alcuni – a shooting graffianti e sottilmente provocatori. Dal 2012 affianca il designer Roberto Ferlito nel concept di Schield, jewellery brand con base a Firenze per cui realizza campagne pubblicitarie ad alto tasso di originalità creativa. Le protagoniste sui generis fanno da fil rouge a tutta la sua fotografia: drama queen ossessionate dai sogni e da desideri di evasione, eccentriche eroine di una quotidianità che sconfina di continuo nel surrealismo onirico. Donne che sembrano appena uscite da una pellicola di Almodovar, “raccontate” da Diego nell’ incredibile contrasto tra le azioni improbabili e un’ eleganza innata. I suoi shooting sotto forma di photofilm si prestano molto, in tal senso: ogni singolo fotogramma è il tassello di una storia, parte integrante di un percorso che include un inizio e un culmine. Questo storytelling per immagini rappresenta anche il leitmotiv di Schield, progetto ad ampio spettro che cala la creazione di jewels in un effervescente mix di design, moda e fotografia rinsaldando il sodalizio creativo tra Ferlito e Diaz Marin. E’ da questa intuizione che è nato Doubleview, visual book  che si addentra nell’ universo artistico del fotografo andaluso esplorandolo nelle molteplici sfaccettature: prodotto da Finger Coast Studios, la società che il duo di Schield ha fondato a Firenze, Doubleview è un “compendium” in cui coté fashion e concettualità si intersecano con un risultato esplosivo, evidenziando il genio inventivo di Diaz Marin e degli special guest che di volta in volta appaiono nel magazine. A un esordio on line è seguita l’ edizione cartacea, appena lanciata a livello internazionale. Da ora in poi, Doubleview farà capolino nei newsstand di (quasi) tutto il mondo: dall’ America al Giappone. E’ proprio Diego Diaz Marin ad approfondire con noi questa nuova avventura.

 

Il lancio internazionale di Doubleview è appena partito. Su quali Paesi avete puntato, per il debutto?

Al momento Doubleview è appena uscito negli Stati Uniti, in Belgio, Gran Bretagna, Olanda, Francia, Spagna, Canada, Italia, Portogallo, GermaniaAustralia e Giappone.

Dove verrà distribuito esattamente?

Prevalentemente nei concept store, nelle edicole e nelle librerie specializzate.

Il visual book include contributi da parte di numerosi special guest. Cosa ci racconti, al riguardo?

Per questo primo numero abbiamo collaborato soprattutto con Schield e con Pamela Costantini, una grande amica che mi ha spinto a creare questo progetto ed è attualmente una shoe designer da Givenchy. Abbiamo realizzato un editoriale con Vivetta ed altri, diciamo così, più “indipendenti”. A cui tengo molto perché attraverso questi shooting posso esprimere la mia arte in modo “puro”, scattandoli nel mio Paese con persone che da sempre mi ispirano. Infatti, per la seconda uscita, il numero sarà scattato al 50% in Spagna. Per quanto riguarda le illustrazioni, Gianpaolo Infante ha contribuito con un editoriale ispirato alle televendite degli anni ‘80.

 

Lo spazio dedicato alla fotografia continuerà a rappresentare la quasi totalità della rivista o prevedi evoluzioni?

No, voglio che lo spazio sia totalmente visivo. Gli editoriali dei prossimi mesi racconteranno delle storie, ma solo per immagini. E’ questa la filosofia della rivista.

Come definiresti il tuo stile fotografico?

Non saprei definirlo: posso solo dirti che la fotografia è per me qualcosa di viscerale, mi esce “da dentro”. Il mio lavoro non è impostato, è intuitivo, nasce da sè. Se dovessi trovare una definizione, direi “cinematografico”. Ogni foto è come il fotogramma di un film.

 

Il fashion world ti appassiona sin da bambino. Com’ è nata questa fascinazione?

Da bambino, quando lavoravo nel campeggio dei miei genitori, vedevo la pubblicità di Roberto Cavalli e sognavo… Anni dopo, quando mi sono ritrovato a casa sua per una campagna pubblicitaria, appena ho finito mi sono messo a piangere perché avevo realizzato un sogno che mi sembrava irraggiungibile. Sono stato sempre molto attratto, come ipnotizzato dal mondo della moda. Da Cavalli, ho iniziato con la campagna accessori Psychotic love. Oggi, se devo essere sincero, dalla moda sono un po’ annoiato. Nel senso che preferisco mantenere la fotografia “pura”, infatti il secondo numero di Doubleview sarà molto più incentrato sul “concetto” e meno sulla “moda”. Ossia: la moda sarà presente perché il look delle modelle verrà accuratamente studiato, ma sarà molto più “anonima”. Perché secondo me oggi c’è tanto, troppo sfruttamento del marketing. Vorrei che la fotografia rimanesse qualcosa di più concettuale: che fosse l’ immagine ad essere protagonista, non un brand.

Photo courtesy of Diego Diaz Marin

 

 

 

“Frida Kahlo. Fotografie di Leo Matitz” inaugura al Mantova Outlet Village

©Eva Alejandra Matiz and “The Leo Matiz Foundation”

 

“Dipingo me stessa perchè passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio”: una frase che ben condensa un leitmotiv della sua produzione artistica. L’ autoritratto ha sempre rappresentato, per Frida Kahlo, uno strumento di connessione tra la propria interiorità e il mondo esterno. Dipingere se stessa davanti allo specchio, dapprima condizione obbligata a causa del grave incidente che la immobilizzò per anni a letto, si tramutò in un rituale che coadiuvava la pittrice messicana nella ricerca della sua essenza più profonda. L’ intensità del volto, le sopracciglia folte, le trecce e i fiori con cui adornava il capo l’ hanno resa iconica, associando gli indizi di una personalità fortissima ai colori sgargianti del folkore della sua terra natale. Un mix così potente che non poteva esimersi, a sua volta, dall’ essere immortalato: così fece Leo Matitz, fotoreporter colombiano legato a Frida da un’ amicizia pluriennale. Nato nell’ incantata Macondo descritta da Gabriel Garcìa Màrquez, Matitz ha ritratto la storica moglie di Diego Rivera in una serie di scatti realizzati a Coyoacan, il quartiere in cui la pittrice vide la luce a Città del Messico. E oltre ad una Frida penetrante è proprio quello stesso Messico a emergere in quelle foto, scenario assolato e in pieno fermento post-rivoluzione: prorompente per incisività figurativa, lo sguardo spesso rivolto lontano come a sondare nuovi orizzonti di speranza, l’ artista affronta l’ obiettivo con piglio vibrante. Oggi queste immagini sono raccolte in una mostra che Mantova Outlet Village, in collaborazione con ONO Arte e la Fondazione Leo Matitz, si accinge a inaugurare. A partire dal 28 Marzo e fino al 15 Maggio saranno visionabili, infatti, 25 foto di Matitz in diversi formati che hanno Frida Kahlo come protagonista: un tributo ad una vera e propria figura leggendaria del suo tempo, che di un talento vivido e di una vitalità combattiva ha fatto la propria bandiera.

“Frida Kahlo. Fotografie di Leo Matitz” – Opening ore 17,30

c/o MANTOVA OUTLET VILLAGE

Via Marco Biagi

Bagnolo San Vito (MN)

Per info e orari: (0736) 25041 – info@mantovaoutlet.it – www.mantovaoutlet.it

©Eva Alejandra Matiz and “The Leo Matiz Foundation”

©Eva Alejandra Matiz and “The Leo Matiz Foundation”

Photo courtesy ONO Arte

 
 
 

Lindsay Kemp: tra Teatro e Glam Rock

Lindsay Kemp, ovvero quando il talento si unisce a un carisma straordinario. In quasi cinquant’anni di carriera, il visionario artista che conquistò nomi del calibro di Nureyev e Fellini con il suo mix di mimo e teatro danza ha rievocato, sul palco, un universo forgiato da molteplici ispirazioni. Oggi vive a Livorno e porta in tour lo show Kemp dances. Inventions and reincarnations dando ulteriore prova della sua leggendaria genialità istrionica: e se proprio a Kemp va il merito di aver unito teatro e rock tramite la messa in scena di The rise and fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars del suo allievo David Bowie, fu la figura emblematica di Pierrot a tracciare un imperituro link tra l’ immaginario artistico del Duca Bianco e quello del coreografo inglese. In questa intervista, Lindsay Kemp si racconta e ce ne spiega i motivi.

Quando e come si è rivelato il suo talento di artista?

Sono nato danzando. Danzare mi piaceva così tanto che non avrei potuto essere altro se non un danzatore. Ma il cammino non è stato facile, ho dovuto combattere. Mia madre, quando ha cominciato a capire che la danza era quel che volevo fare nella vita, ha cominciato a preoccuparsi: che non avessi abbastanza talento, che non avessi il fisico, che avrei avuto problemi economici…E con buonissime intenzioni mi ha iscritto a un collegio nautico militare dove sperava che seguissi le orme di mio padre, un marinaio morto durante la guerra mondiale. Ma la disciplina militare non ha fatto altro che rafforzare le mie inclinazioni artistiche!

Perché la scelta di privilegiare l’ arte mimica?

Il mimo è solo un aspetto della mia espressione teatrale. Mi avvalgo di diverse forme artistiche per arrivare, in tutti i casi, a toccare il cuore dello spettatore.

Ha dichiarato che Marcel Marceau le ha “dato le mani”. Oltre che dal grande mimo francese, da quali figure è stato maggiormente ispirato?

Prima dell’  incontro con lui, i miei insegnanti di danza dicevano che le mie mani sembravano “salsicce”: non le usavo con grazia. Marceau mi ha insegnato tantissime cose, ma gli sono grato soprattutto per aver trasformato le mie mani da “salsicce” in “farfalle”. I Maestri che mi hanno più influenzato, per la maggior parte, non li ho mai incontrati. Ho imparato molto da Picasso, attraverso i suoi dipinti. E nella danza, attraverso lo spirito guida di Isadora Duncan, dagli spettacoli di Martha Graham, Paul Taylor e Pina Bausch.

La sua opera è contraddistinta da un mix di linguaggi teatrali. Come si inserisce, in questo contesto, il suo approccio alla danza?

Ho imparato moltissimo imitando i miei maestri sia nella danza che nella pittura. Seguendo le loro orme ho trovato me stesso. La cosa più importante, quando hai un pubblico, è intrattenere. La danza è forse il mezzo più veloce per arrivare a toccare il cuore della gente. La mia arte non poggia su chissà quale intellettualistico motivo: è come inviare una cartolina allo spettatore per condividere la gioia di quel momento, per sollevare lo spirito, per dare amore. I protagonisti dei miei disegni sono i tipici personaggi dei miei spettacoli: il marinaio, il circo, il saltimbanco, le ballerine, il torero…Ricerco la luce, il colore: voglio donare un messaggio di positività immediato. Quando sono in scena il mio scopo è quello di raccontare una storia, senza barriere o limiti concettuali. Cantare, proiettare un dipinto, recitare: tutto si mescola con armonia per arrivare allo spettatore in modo completo.

David Bowie è stato il suo più celebre allievo. Che ricordo ha di lui?

Ho solo ricordi felici. David vide un mio spettacolo a Londra, nel ‘67. Incantato dal mio mondo – che definiva “il mondo bohemien di Pierrot” – venne a trovarmi nel backstage: rimasi folgorato. Mi chiese se poteva essere un mio allievo e il giorno dopo era a lezione da me. Gli ho insegnato ad esprimere se stesso attraverso il corpo, era uno studente di prima classe. Lo spettacolo che abbiamo creato insieme, Pierrot in Turquoise, ha girato l’ Inghilterra ed ha avuto una stagione a Londra prima che ci separassimo per un periodo. Un paio d’anni dopo ci siamo incontrati di nuovo per una versione TV di Pierrot in Turquoise ribattezzata The looking glass murders. David mi portò il suo nuovo LP The rise and fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars e mi chiese di aiutarlo a metterlo in scena al Rainbow Theatre. In quello show appaio come guest artist: è così che è nato “Starman”.

Il personaggio di Ziggy Stardust sancì una sinergia tra lei e Bowie. Come ebbe inizio quella straordinaria avventura?               

Ziggy è stato una sua creazione. La mia influenza si è concretizzata nello stabilire una connessione tra la rockstar Bowie e l’ artista d’ avanguardia che ero. È stato forse il primo mix tra musica rock e azione scenica: lo show era influenzato dalla mia passione per il teatro giapponese, soprattutto il kabuki, uno spunto che ha poi avuto un’ enorme influenza nell’ opera di David Bowie.

Quali affinità accomunavano i vostri universi artistici?

Era una mescolanza totale, una fusione.

Una frase che non ha avuto la possibilità di indirizzargli quando era in vita: cosa gli direbbe?

“ Vorrei rivivere tutto di nuovo”. Ma senza cuore infranto finale!

Kemp Dances – un titolo che gioca sul significato ambivalente di “dances” come verbo in terza persona e sostantivo al plurale – Inventions and reincarnations è uno show antologico che alterna brani del repertorio di Lindsay Kemp a nuove creazioni sceniche. Sono presenti, tra gli altri, Ricordi di una Traviata, il celebre assolo The flower e Frammenti dal diario di Nijinsky, icona della danza alla quale Kemp ha dedicato più di un tributo. Kemp dances, che l’artista porta in scena con la Lindsay Kemp Company, approderà in Spagna il prossimo Settembre per la seconda tranche di un tour che ha a tutt’ oggi incluso l’ Italia e parte della penisola iberica.

Photo Credits: Richard Haughton

Un ringraziamento speciale a Daniela Maccari della Lindsay Kemp Company

Photo courtesy of Daniela Maccari/Lindsay Kemp Company

“Bowie before Ziggy” da oggi in mostra a Bologna

©Michael Putland

A due mesi esatti dalla sua scomparsa, l’ interesse e le celebrazioni nei confronti di David Bowie si moltiplicano in modo esponenziale. Vero e proprio mito del nostro tempo, il Duca Bianco conferma l’assioma secondo il quale “le icone non muoiono mai”: talento, carisma, unicità e innovazione rappresentano un mix di doti talmente esplosivo da imprimere nell’ immaginario collettivo, a titolo perenne, chi lo possiede. Motivo per cui il genio e l’ istrionismo bowiano sono più che mai vivi presso il grande pubblico, alimentando tutta una serie di iniziative atte ad approfondirne i caratteri e le sfaccettature. Prende vita da questo concept Bowie before Ziggy. Fotografie di Michael Putland, la mostra che ONO Arte Contemporanea inaugura oggi a Bologna: un omaggio al David Bowie che, di lì a pochissimo, sarebbe diventato ufficialmente Ziggy Stardust lanciando il suo alter ego più iconografico e memorabile. Lo strumento privilegiato di questo viaggio a ritroso nel tempo sarà costituito dalle foto scattate a Bowie da Michael Putland, celebre fotografo inglese della music scene. Ventisette immagini nelle quali spicca un clou contraddistinto da precise coordinate spazio-temporali: lo shooting che ha ispirato il titolo dell’ esposizione ha come location Haddon Hall, la residenza londinese dell’ eclettica rockstar, ed è stato realizzato il 24 aprile del 1972. Una data che precede di soli quattro giorni l’ uscita di Starman, il singolo di lancio del leggendario The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars, 24 ore di scatti all’ insegna di un mood tra il rilassato e il giocoso: Putland ritrae un Bowie perfettamente a suo agio tra le mura domestiche, alle prese con la tinteggiatura del soffitto e mentre flirta con l’obiettivo. E’ “la calma prima della tempesta”, il relax casalingo che precede il boom di straordinaria popolarità esploso con Ziggy, un Bowie a dimensione umana che si avvia a tramutarsi nel più famoso alieno della storia del rock. Gli indizi sono già presenti: l’ abito che indossa – creato in connubio con il designer Freddy Burretti – è lo stesso che sfoggerà sulla cover dell’ album, il suo percorso di ricerca musicale e sull’ immagine è pienamente avviato. The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars vedrà la luce due mesi dopo e sarà un successo planetario, evidenziando a tutto tondo le sue doti camaleontiche innate. ONO Arte, attraverso il “racconto” fotografico di Michael Putland, celebra questo speciale periodo di transizione affiancandolo a scatti post-Ziggy e tratti dallo Station to Station Tour. La mostra – visitabile fino al 30 Aprile –  include  inoltre il lavoro grafico di Terry Pastor, designer delle copertine di Ziggy Stardust e Hunky Dory.

 

BOWIE BEFORE ZIGGY. Fotografie di Michael Putland

Dal 12 Marzo (Opening ore 18,30) al 30 Aprile 2016

presso ONO Arte Contemporanea, via Santa Margherita 10, Bologna

 

 

 

©Michael Putland

 

 

©Michael Putland

 

 

 

©Michael Putland

 

 

©Terry Pastor

 

Photo courtesy of ONO Arte

Schield presenta ‘Fuga tropicale’, racconto fotografico di Diego Diaz Marin

 

Per il lancio della sua nuova collezione Spring/Summer 2014, Schield si affida nuovamente all’ estro e alla genialità creativa del fotografo andaluso Diego Diaz Marin. Il brand di gioielleria e bijoux di alta moda fondato da Roberto Ferlito affonda le radici della propria identità in una lavorazione artigianale meticolosa e ricercata, che unisce alla preziosità dei materiali una minuziosa rifinitura a mano dei modelli. La campagna pubblicitaria della collezione dedicata alla stagione calda, com’è consuetudine per Diaz Marin, è basata su un concept sviluppato in una sequenza di immagini che delineano una ministoria: Fuga tropicale, questo il titolo del racconto fotografico in questione, ha come protagonista una splendida donna dalla personalità complessa e vagamente disturbata. Ironica ma tormentata, la donna decide di compiere una fuga verso le calde ed assolate terre della California con un’ unica compagnia, quella dei suoi gioielli Schield.

 

 

La vediamo dunque, scatto dopo scatto, farsi strada all’ interno di una rigogliosa vegetazione tropicale che poi scopriamo essere una serra, mentre si cimenta con un tubo innaffiatoio in gomma o rimane comodamente seduta su una sdraia in listelli di plastica dal sapore rétro. Sogno e realtà sembrano sovrapporsi, in lei, costantemente: fuga onirica o prove generali di una fuga? Questa ambiguità, che compare come un leit motiv nelle campagne pubblicitarie di Diego Diaz Marin, costituisce il punto di forza del racconto e l’ elemento di attrazione che cattura immediatamente chi si accinge a decifrarne le immagini. La realizzazione fotografica è di enorme impatto: l’ azzurro, una costante nei lavori di Diaz Marin, si diluisce stavolta in un verde particolarissimo che ne contiene tracce e che caratterizza quasi in toto la tonalità della vegetazione in cui la protagonista è immersa. I colori, decisi e vibranti come il fucsia, l’ arancio, il bianco, il giallo e l’ azzurro stesso, risaltano negli outfit indossati dalla ‘fuggiasca’ e nei dettagli, ricreando un vero e proprio ‘paesaggio a tinte forti’ che riflette la personalità senza mezzi toni della donna.

 

 

E poi, su tutto, spiccano i gioielli: scenografici e sofisticati, tempestati di colore o meno, rappresentano una delizia per gli occhi. Le rondini, le mosche e i dragoni della linea Frozen Fly vengono appositamente reinterpretati per la stagione estiva, adottando materiali ed un design più attinenti ai  mesi caldi. Ecco quindi che le perle della serie Dragon Pearl si tramutano in turchese e corallo, le rondini vengono impreziosite dai bagliori multicolor dei cristalli Swarowski e le mosche, abbandonando il fiocco di neve su cui durante l’ inverno erano posizionate, diventano protagoniste assolute. Ancora una volta, la maestria e le innate doti artistiche di Roberto Ferlito e di Diego Diaz Marin si intrecciano e si esaltano a vicenda, incastonandosi nella cornice preziosa e ideale degli scatti vividi e traboccanti di sensualità del fotografo nato nel 1987 nei pressi di Malaga: un giovane talento dell’ advertising e della fashion photography di cui risentiremo parlare a lungo.