Le storie del cielo

 

” La neve cadeva pesante, approfondiva il silenzio, veniva immediatamente dal cielo e portava con sé un mistero inesplicabile. Qualche fiocco restava appeso alla finestra e sembrava una piccola stella piena di luce. Altri cadevano sul davanzale e coprivano lentamente le briciole che aspettavano gli uccelli. Una volta pregai la nonna: «Nonna, raccontami anche una storia del cielo». Allora la nonna domandò: «Perché anche?». «Perché la neve viene di lassù e dice sicuramente che in cielo è tutto bianco». Allora la nonna raccontò storie del cielo; ma raccontava anche molto dei suoi ricordi di gioventù e le storie del vecchio mulino e delle magiche foreste. “

 

Adrienne Von Speyr, da “Dalla mia vita – Autobiografia dell’ età giovanile”

 

 

 

 

 

Il concetto Gucci

 

” Aldo promosse anche il “concetto Gucci”, un’ armonia di stili e colori che avrebbe dato uniformità ai prodotti, rendendoli subito identificabili. Il mondo delle scuderie e dei cavalli divenne una ricca fonte d’ispirazione per i prodotti Gucci: la doppia cucitura usata nella fabbricazione delle selle, le fettucce verdi e rosse delle cinghie del sottopancia, e la fibbia a forma di due staffe collegate con il morsetto di cavallo divennero marchi Gucci. Ben presto, Aldo, genio del marketing, cominciò a far circolare la leggenda che i Gucci erano stati nobili fabbricanti di selle per le corti medievali – un’ immagine perfetta per la clientela d’élite a cui Gucci si rivolgeva. Le selle e gli accessori per l’equitazione esposti nei negozi contribuirono a rafforzare la leggenda e alcuni articoli furono persino venduti. E non ha smesso di circolare: tuttora alcuni membri della famiglia ed ex dipendenti sostengono che un tempo i Gucci erano stati sellai. “

Sara Gay Forden, da “House of Gucci”

 

 

 

 

 

La luce della Città

 

” D’inverno, come in nessun’altra città al mondo, calava la quiete sulle vie e sui vicoli tanto della Città alta, sulle colline, che della Città bassa, che si stendeva lungo le anse del Dnepr intirizzito, e tutto il rombo delle macchine si perdeva all’interno degli edifici di pietra, si smorzava e diventava un borbottio sordo. Tutta l’energia della Città, accumulata nel corso di un’estate di sole e temporali, si profondeva in luce. Dalle quattro del pomeriggio la luce cominciava ad ardere nelle finestre delle case, in tondi globi elettrici, nei lampioni a gas, nei fanali delle case con i numeri illuminati, e nelle vetrate a tutta parete delle centrali elettriche, che evocavano il pensiero del futuro elettrico dell’umanità, terribile e irrequieto, con le loro finestre a tutta parete dove si vedevano le ruote scatenate delle macchine che giravano senza posa, squassando fino alla radice le fondamenta stesse della terra. Scintillava di luce e traboccava luce, riluceva e danzava e baluginava la Città, nelle notti, fino al mattino, e al mattino si spegneva, indossava il fumo e la nebbia. “

Michail Bulgakov, da “La guardia bianca”

 

 

L’ estate indiana

 

“L’estate indiana è come una donna: morbida, calda, appassionata, ma incostante. Va e viene come e quando le pare e nessuno sa se arriverà davvero né per quanto si tratterrà. Nel New England settentrionale l’estate indiana tarda un poco l’avanzare dell’inverno e porta con sé l’ultimo tepore dell’anno. È una stagione che non esiste e che vive fino al sopraggiungere dell’inverno, con la sua corte di ghiaccio, di alberi spogli, di brina. I vecchi, ai quali i venti rigidi hanno succhiato la giovinezza, sanno che l’estate indiana è un inganno e che la si deve accogliere con sospetto e cinismo. Ma i giovani l’attendono con ansia, scrutano il cielo grigio d’autunno alla ricerca di un segno che ne annunci l’arrivo. E a volte i vecchi, pur conoscendo la verità, aspettano insieme ai giovani, con gli stanchi occhi invernali rivolti al cielo, e cercano le prime tracce dell’ingannevole dolcezza.”

Grace Metalious, da “I peccati di Peyton Place”

 

 

 

 

 

Ottobre e il popolo dell’ Autunno

 

” In primo luogo era ottobre, un mese eccezionale per i ragazzi. Non che tutti i mesi non siano eccezionali. Ma ce ne sono di buoni e di cattivi; come dicono i pirati. Prendete settembre, un mese cattivo: cominciano le scuole. Considerate agosto, un mese buono: le scuole non sono ancora incominciate. Luglio, ecco, luglio è veramente splendido: niente scuola. Giugno, senza dubbio, giugno è il migliore di tutti, perchè le porte delle scuole si spalancano e settembre è lontano un miliardo di anni. Ma adesso guardate ottobre. Le scuole sono cominciate da un mese, e voi ve la prendete più calma, tirate avanti. Avete il tempo di pensare all’ immondizia che scaricherete sul portico del vecchio Prickett, o al costume da scimmia che indosserete alla festa dell’ YMCA l’ ultima sera del mese. E se è già il 20 ottobre e tutto odora di fumo e il cielo è color arancio e grigio cenere al crepuscolo, sembra che Halloween non verrà mai, in una pioggia di manici di scopa e in un fiottare sommesso di lenzuola agli angoli delle strade. Ma in un anno strano, buio, lungo e assurdo, Halloween venne in anticipo. Un anno Halloween venne il 24 ottobre, tre ore dopo mezzanotte. A quell’ epoca, James Nightshade, che abitava al 97 di Oak Street, aveva tredici anni, undici mesi e ventitrè giorni. Il ragazzo che abitava alla porta accanto, William Halloway, aveva tredici anni, undici mesi e ventiquattro giorni. Entrambi stavano per raggiungere i quattordici anni: già i quattordici anni tremavano nelle loro mani. E poi vi fu quella settimana d’ottobre in cui divennero adulti di colpo e non furono mai più giovani…”

 

Ray Bradbury, da “Il popolo dell’ autunno”

 

 

 

 

Chi di notte sogna

 

” Chi di notte, dormendo, sogna, conosce un genere di felicità ignota al mondo della veglia: una placida estasi e un riposo del cuore che sono come il miele sulla lingua. Sa anche che la vera bellezza dei sogni è la loro atmosfera di libertà infinita (…). Il piacere del vero sognatore non dipende dalla sostanza del sogno, ma da questo: tutto quello che accade nel sogno, non accade solo senza il suo intervento, ma fuori del suo controllo. Si creano spontaneamente paesaggi, vedute splendide e infinite, colori ricchi e delicati, strade, case che non ha mai visto e di cui non ha mai sentito parlare. Compaiono degli sconosciuti che sono amici o nemici, benché chi sta sognando non abbia mai fatto nulla per loro né contro di loro. L’idea della fuga e l’idea dell’inseguimento tornano sempre, nei sogni, entrambe egualmente estasianti. Tutti dicono cose piene d’intelligenza e spiritose. È vero che, cercando di ricordarle durante il giorno, paiono sbiadite e senza senso perché appartengono a un’esistenza diversa; ma appena il sognatore si sdraia, la notte, il circuito si riallaccia e i sogni tornano a sembrargli stupendi. “

 

Karen Blixen, da “La mia Africa”

 

 

 

 

Il Profumo

 

” Voleva essere il dio onnipotente del profumo, così come lo era stato nella sua fantasia, ma ora nel mondo reale e regnando su uomini reali. E sapeva che ciò era in suo potere. Poiché gli uomini potevano chiudere gli occhi davanti alla grandezza, davanti all’ orrore, davanti alla bellezza, e turarsi le orecchie davanti a melodie o a parole seducenti. Ma non potevano sottrarsi al profumo. Poiché il profumo era fratello del respiro. Con esso penetrava negli uomini, a esso non potevano resistere, se volevano vivere. E il profumo scendeva in loro, direttamente al cuore, e là distingueva categoricamente la simpatia dal disprezzo, il disgusto dal piacere, l’ amore dall’ odio. Colui che dominava gli odori, dominava i cuori degli uomini. “

 

Patrick Suskind, da “Il Profumo “

 

 

 

 

 

L’ Autunno, tempo di rinascita

 

” In qualche modo, il ciclo della natura è replicato nell’ anima dell’ essere umano: dalla pianta nasce il fiore che attrae le api che lo impollineranno e gli consentiranno di tramutarsi in frutto. Quel frutto produrrà sementi, le quali faranno nascere altre piante che si caricheranno di fiori che attireranno sciami di api fecondatrici che renderanno possibile la crescita dei frutti – e così per sempre, sino all’ eternità. Che sia benvenuto l’ autunno, la stagione in cui bisogna abbandonare il vecchiume per permettere al nuovo di emergere. “

 

Paulo Coelho, da “Hippie”

 

 

 

 

 

 

Nel cuore dei boschi autunnali

 

” Ottobre è il mese delle fronde dipinte. È allora che prendono a brillare in tutto il mondo del loro suntuoso fulgore. Come i frutti e le foglie, – anzi come il giorno stesso –, poco prima di morire, si vestono di colori luminosi, così fa l’anno prossimo al suo termine: ottobre è il suo cielo al tramonto; novembre, il crepuscolo che a quello segue. Qualche tempo fa ho pensato di darmi la pena di raccogliere un esemplare di foglia per ogni albero, arbusto o pianta erbacea, quando ciascuno di essi fosse giunto ad acquisire la gradazione più brillante di quella caratteristica accensione cromatica colta nel suo virare dal verde al bruno, per poi disegnarne le forme e colorarle con pigmenti adatti, riproducendone esattamente le varie tonalità in un libro che potrebbe intitolarsi Ottobre, o Colori d’autunno; – a cominciare dalle prime vampe rossastre dei caprifogli e dalle lacche delle altre rampicanti, per giungere in ultimo – attraverso gli aceri, i noci americani, i sommacchi e le tante varietà di arbusti forse meno noti, ma dalle fronde comunque altrettanto meravigliosamente screziate, – alle querce e ai pioppi tremuli. Che bel promemoria potrebbe costituire un libro del genere! Sarebbe sufficiente sfogliarne le pagine per ritrovarsi a passeggiare nel cuore dei boschi autunnali ogniqualvolta ci colga l’uzzolo di farlo. “

 

Henry David Thoreau, da “Colori d’autunno”

 

 

 

 

 

Andar per funghi

 

” Sono i giorni più belli dell’anno. Vendemmiare, sfogliare, torchiare non sono neanche lavori; caldo non fa più, freddo non ancora; c’è qualche nuvola chiara, si mangia il coniglio con la polenta e si va per funghi. Noialtri andavamo per funghi là intorno; Irene e Silvia combinarono con le loro amiche di Canelli e i giovanotti di andarci in biroccino fino a Agliano. Partirono una mattina che sui prati c’era ancora la nebbia; gli attaccai io il cavallo, dovevano trovarsi con gli altri sulla piazza di Canelli. (…) Quel giorno venne un grosso temporale, lampi e fulmini come d’agosto. Cirino e la Serafina dicevano ch’era meglio la grandine adesso sui funghi e su chi li cercava che non sul raccolto quindici giorni prima. Non smise di piovere a diluvio neanche nella notte. Il sor Matteo venne a svegliarci con la lanterna e il mantello sulla faccia, ci disse di stare attenti se sentivamo il biroccio arrivare, non era tranquillo. Le finestre di sopra erano accese; l’Emilia corse su e giù a fare il caffè; la piccola strillava perché non l’avevano portata a funghi anche lei.”

 

Cesare Pavese, da “La luna e i falò”