Le Frasi

 

” Le cortesie più piccole
– un fiore o un libro –
piantano sorrisi come semi che germogliano nel buio. “

(Emily Dickinson)

 

 

 

Punti di luce

 

” Ho guardato in basso, e di colpo c’era la città, come un immenso lago nero pieno di plancton luminoso, esteso fino ai margini dell’ orizzonte. Ho guardato i punti di luce che vibravano nella distanza: quelli che formavano un’ armatura sottile di paesaggio, fragile, tremante; quelli in movimento lungo percorsi ondulati, lungo traiettorie semicircolari, lungo linee intersecate. C’erano punti che lasciavano tracce filanti, bave di luce liquida; punti che si aggregavano in concentrazioni intense, fino a disegnare i contorni di un frammento di città e poi scomporli di nuovo, per separarsi e allontanarsi e perdersi sempre più nel buio. Li guardavo solcare gli spazi del tutto neri che colmavano inerti il vuoto, in attesa di assorbire qualche riflesso nella notte umida. “

Andrea De Carlo, da “Treno di Panna”

 

 

 

Neon Lights, September Lights

 

È di notte che è bello credere alla luce.
(Edmond Rostand)

8 Settembre, il sole tramonta alle 19.39. Il buio arriva sempre più presto, alle 20 il cielo è già quello della notte. Che cosa c’è di bello, quindi, nelle sere di questo mese? La risposta è molto semplice: il tripudio di luci che si accende sulla città. Che si tratti di antichi lampioni o di insegne luminose, il risultato non cambia: sono momenti ad alto tasso di suggestività. Luci e colori animano i centri urbani, li fanno vivere e risplendere anche in notturna. Se poi parliamo di luci al neon, l’ effetto è mozzafiato. Cromie vibranti, intermittenti, in technicolor animano la metropoli e diventano una sorta di termometro della sua nightlife: il numero di neon che sfavillano è direttamente proporzionale all’ offerta di locali, discoteche, ristoranti e bar di una determinata città. Come lo scorso anno, VALIUM dedica una speciale photostory alle “neon lights” di Settembre. Perchè, come dichiara Edmond Rostand nell’ epigrafe di questo articolo, “è di notte che è bello credere alla luce”. Soprattutto se è una notte settembrina.

 

 

 

 

Pallide stelle sull’ acqua sacra

 

” E di notte il fiume scorre, pallide stelle sull’acqua sacra, alcune affondano come veli, altre sembrano pesci, la grande luna che una volta era rosea adesso è alta come latte fiammeggiante e agita il suo candido riflesso verticale e profondo nella corrente scura del letto del fiume che crea una massa turbinosa. (…) I bambini sono usciti per l’ ultimo gioco, le madri fanno piani per il giorno dopo e riordinano in cucina, lo puoi sentire da fuori, nei frutteti dalle foglie fruscianti, nell’ ondeggiare del granturco, nella notte che diffonde il dolce fruscio di mille foglie, notte di sospiri, di canzoni e di sussurri. Mille cose su e giù per la via, profonde, graziose, pericolose, che respirano, pulsano come stelle; un fischio, un debole grido; il flusso di Lowell sui tetti lì in fondo; il barcone sul fiume, l’oca selvatica della notte che ciarla, si immerge nella sabbia, e luccica; lo sciabordio ululante e il sussurro e l’adorato mistero sulla riva; buio, sempre buio, le furbe labbra invisibili del fiume che mormorano baci, che mangiano la notte, che rubano la sabbia, furtive. ” Mag-gie!” i bambini chiamano sotto il ponte della ferrovia dove stanno nuotando. Il treno merci risuona ancora, lungo cento carrozze, le macchine gettano bagliori sui piccoli bagnanti bianchi, cavallini di Picasso della notte, densi e tragici, dalla tristezza giunge la mia anima cercando quello che c’era e che è scomparso, perduto, in fondo a un sentiero – la tristezza dell’ amore. Maggie, la ragazza che ho amato. 

 

Jack Kerouac, da “Maggie Cassidy”

Equinozio di Primavera: un’ode alla rinascita

 

” È una gioia vedere tanti rami
verdissimi nel vento e tanti fiori
prepotenti, sboccianti, è una gran gioia
perché nel sangue pure è primavera. “
(Cesare Pavese)

 

Benvenuta alla Primavera, che oggi fa il suo ingresso ufficiale. Per l’esattezza, alle 16,33. Ma perchè il 20 Marzo anzichè il 21, come si crede comunemente? In realtà, l’ Equinozio non cade sempre il 21 Marzo: tutto dipende dalla rivoluzione della Terra intorno al Sole, che compie in 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi. L’ anno del calendario gregoriano, invece, conta solo 365 giorni e dunque non collima con il moto di rivoluzione terrestre. Si è cercato di colmare quel divario introducendo gli anni bisestili, ma ciò ha creato ulteriori squilibri. Di conseguenza, l’ Equinozio di Primavera non corrisponde a un giorno ben preciso ma può verificarsi in un periodo compreso tra il 19 e il 21 Marzo. Prova ne è il fatto che dal 2007 non cade più il 21 Marzo e tornerà ad “appropriarsi” della sua data classica soltanto nel 2102. Lasciamo ai posteri il piacere di constatarlo, e godiamoci intanto questa magica giornata in cui buio e luce raggiungono un equilibrio perfetto. La natura rinasce, le gemme sui rami degli alberi si sono già tramutate in fiori. Il Sole e la Luna, il maschile e il femminile, costituiscono una simmetrica armonia come il giorno e la notte. Le ore di luce aumenteranno a poco a poco, raggiungendo il loro culmine con il Solstizio d’Estate. La terra si risveglia, diventa ogni giorno più fertile; si ricopre di tappeti di fiori variopinti e di distese di verde. Gli animali selvatici escono dal letargo, le api danno il via al processo di impollinazione. Il clima, grazie al sole splendente, diventa tiepido e abbandona i rigori invernali. Ci troviamo davanti a una stagione ricca di possibillità, a una rinascita a nostra volta; la meraviglia del risveglio ci infonde una potente energia. Se l’ Inverno è intimità, meditazione, raccoglimento, la Primavera è una scoperta continua: ci invita ad aprirci al mondo e a ributtarci nella mischia. Possiede l’ entusiasmo della fanciullezza, la gioia che si associa all’ avventura e all’ esplorazione. Quando arriva, la Primavera danza. Scuote la bacchetta magica e lancia l’ incantesimo dell’ innamoramento: il batticuore, le emozioni, l’ alchimia dell’amore…fanno parte di questa portentosa ode alla vita che sboccia, a un nuovo inizio che ci coinvolge in ogni suo aspetto.  

 

Il cuore è come la neve

 

” Si dice che il cuore è come la neve. Audace, silenzioso, capace di sciogliersi con un po’ di calore. Da dove vengo io ci credono in tanti. E’ il proverbio dei vecchi, dei bimbi più piccoli, di quelli che brindano alla felicità. Ognuno di noi ha un cuore di neve, perchè la purezza dei sentimenti lo rende terso e immacolato. Io non ci avevo mai creduto. Anche se lì ci ero cresciuta, anche se avevamo il ghiaccio intarsiato nelle ossa, non ero mai stata il tipo da certe dicerie. La neve si adatta, è gentile, rispetta ogni spigolo. Ricopre senza deformare, ma il cuore no, il cuore pretende, il cuore urla, stride e s’impenna. Poi un giorno l’ avevo capito. L’ avevo capito come si capisce che il sole è una stella, o che il diamante è solo una roccia. Non conta quanto sembrino diversi. Conta quanto sono simili. Non importa se uno è freddo e l’altro è caldo. Non importa se uno stride e l’altro si adatta. Io avevo smesso di sentire la differenza. (…) Allora forse è vero, quello che dicono. Forse hanno ragione. Il cuore è come la neve. Con un po’ di buio, diventa ghiaccio. “

 

Erin Doom, da “Nel modo in cui cade la neve”

Le Frasi

 

” Il cioccolato è materia viva; ha il suo linguaggio, il suo respiro, il suo battito interiore. Imparare a comprenderlo richiede tempo, sensibilità e silenzio… Perché solo quando il cioccolato si sente oggetto di intima attenzione, e solo allora, esso cessa di ammaliare la gola e si mette a dialogare con i sensi. “

(Alexander von Humboldt)

 

La casetta di un tipico mercatino natalizio. E’ interamente in legno, adornata di luci che risplendono nel buio invernale. Su un’insegna scritta a mano spicca il suo nome: “Casa Cioc Cioc”. In bella vista nello stand, una varietà incredibile di cioccolata. Bianca, al latte, fondente, gianduia, cruda, aromatizzata…le tipologie sono innumerevoli. A proposito, sapevate che esiste anche la cioccolata rosa? E che il cioccolato di Modica, in Sicilia, ha ricevuto il riconoscimento di IGP (indicazione geografica protetta) dall’ Unione Europea? Stay tuned su VALIUM, perchè la rubrica “La colazione di oggi” vi stupirà con un tripudio di news, descrizioni e curiosità sull’ alimento più goloso e soprattutto sui suoi derivati…Buon weekend a tutti.

Yule

Amo la neve, la neve e tutte le forme di gelo radioso.
(Percy Bysshe Shelley)

 

Oggi, 21 Dicembre, diamo il benvenuto all’ Inverno. Il Solstizio si verificherà alle 16.58 in punto, esattamente 17 minuti dopo il calar del sole. Sarà la giornata più corta dell’ anno: in Italia avremo una media di 8-9 ore di luce contro le rimanenti di buio pesto. Durante il Solstizio d’Inverno la potenza dell’ armonia cosmica è nettamente percepibile, così come le vibrazioni che emana. Lo spazio e il tempo sembrano cristallizzarsi, sospendersi in attesa di una metamorfosi. L’ oscurità prende il sopravvento, occultando sotto il suo manto la luminosità solare. Una frase dello scrittore statunitense John Updike descrive questo fenomeno alla perfezione: “Le giornate sono brevi. Il sole una scintilla sospesa tra buio e buio.” Siamo a Yule: così veniva chiamato il Solstizio d’Inverno dai popoli germanici dell’ era precristiana. La magia aleggia nell’ aria, rievocando la suggestività di una ricorrenza celebratissima nelle lande del Nord Europa. Si pensa che il nome Yule derivi da un termine norreno, Hjòl, ovvero ruota, poichè il Solstizio d’Inverno coincideva con il punto più basso in cui si trovava la ruota dell’ anno prima di iniziare la sua risalita. Ma Jul è anche una radice scandinava che ha il significato di “festa, banchetto”, mentre la mitologia norrena chiama “joln” gli dei e Jolnir (il Signore degli dei) è uno dei molteplici nomi di Odino. La rilevanza di Yule risiedeva nel fatto che il Sole, quel giorno, cominciava a rinascere a poco a poco. Gli antichi popoli festeggiavano tramite rituali e tradizioni la sua rigenerazione: falò, candele e fuochi ricorrevano in riti finalizzati a incoraggiare l’ ascesa del Sole. A Yule il Vecchio Sole moriva, e dalle viscere della Madre Terra nasceva il Sole Bambino. L’ importanza conferita al concetto di “ciclicità” è palese, dato che all’ epoca vigeva un rapporto di stretta dipendenza tra l’ esistenza umana e i cicli naturali.  Morte, metamorfosi e rinascita diventavano un tutt’uno, il giorno del Solstizio. Non è un caso che la pianta simbolo di Yule fosse il vischio: il sempreverde sacro dei Druidi rimandava alla vita grazie alle sue bacche bianche, lucenti, simili allo sperma. Narrava una leggenda che fosse scaturito da un fulmine, di conseguenza veniva ricondotto al divino. Il vischio quercino possedeva una valenza emblematica ancora più potente, giacchè all’ immortalità dell’ albero secolare si coniugava l’ immediatezza, l’ “hic et nunc” della rigenerazione.

 

Ma anche l’agrifoglio ricopriva un ruolo fondamentale, rispetto ai miti di Yule. La lotta tra due poli opposti (Buio e Luce, Inverno e Estate, Vita e Morte) costituiva il perno della mitologia e delle leggende antiche. L’ agrifoglio, in questo senso, simboleggiava la parte più buia e più gelida dell’ anno, la fase calante dell’ Hjòl. All’ agrifoglio era associato il “vecchio”: il Re Agrifoglio, che lo impersonificava, veniva raffigurato come un anziano dalla barba bianca e dal sorriso perenne. Il Re Quercia, emblema della fase crescente della ruota dell’ anno, quella in cui le giornate si allungano e il Sole torna a splendere, era invece collegato al “nuovo”. Si diceva che i due Re si affrontasero in occasione dei Solstizi, e che l’ uno avesse la meglio sull’ altro a fasi alterne. Il Solstizio d’ Inverno vedeva il trionfo del Re Quercia sul Re Agrifoglio, favorendo quindi la rinascita graduale della luce; durante il Solstizio d’Estate era il Re Agrifoglio a vincere la lotta: ciò determinava la ricomparsa dell’ oscurità e l’ assopimento della Natura. E’ essenziale sottolineare come le due figure fossero strettamente interconnesse, l’ una non avrebbe mai potuto esistere senza l’altra. Le forze del Re Agrifoglio e del Re Quercia si fronteggiavano in un equilibrio perfetto, così come perfettamente armonico era il trionfo del primo sul secondo e viceversa. La lotta tra i due era fondamentale al fine di garantire la metamorfosi, la ciclicità, la trasformazione: punti cardine dei Solstizi e soprattutto di Yule, a cui si associa il fascino del progressivo risveglio.

Non mi resta che augurarvi un felice Yule. Che possiate custodire la magia dell’ Inverno dentro di voi…Nonostante l’ infinita pandemia e le nuove incombenti restrizioni.

Santa Lucia

 

” Il 13 Dicembre, al mattino presto, quando freddo e oscurità regnavano sulla terra del  Värmland fino ai tempi della mia infanzia, santa Lucia di Siracusa entrava in tutte le case sparse tra le montagne della Norvegia e il fiume Gullspång. Portava ancora, almeno agli occhi dei bambini, una veste bianca di luce di stelle e sui capelli una ghirlanda verde con fiori ardenti di luce, e svegliava sempre chi dormiva con una bevanda calda e profumata che versava dalla sua brocca di rame. Mai mi capitò all’ epoca visione più meravigliosa di quando la porta si apriva e lei entrava nel buio della mia stanza. E vorrei augurarmi che mai smetta di apparire nelle fattorie del Värmland. Perché è lei la luce che sconfigge le tenebre, è la leggenda che vince l’oblio, è quel calore interiore che rende le contrade gelate ammalianti e piene di sole nel cuore dell’inverno. “

Selma  Lagerlöf, da “La leggenda della festa di Santa Lucia” (ne “Il libro di Natale”)

 

La rubrica Le perle di VALIUM si fonde con il post odierno per celebrare la Festa di Santa Lucia, la “Santa della Luce”. Voglio omaggiarla tramite un estratto che ho selezionato da “Il libro del Natale” (1933) di Selma Lagerlöf, scrittrice svedese Premio Nobel per la Letteratura nel 1909. Tra gli otto racconti a tema natalizio in cui Lagerlöf esplora ricordi, atmosfere, fiabe popolari della tradizione scandinava, ne appare infatti uno intitolato “La leggenda della festa di Santa Lucia”. E’ suggestivo e magico, e volevo proporvene il finale. Perchè Santa Lucia è una delle feste dell’ Avvento che mantiene un’ impronta indelebile nell’ immaginario collettivo. Il nome stesso della Santa, che deriva dal latino “Lux” (“luce”), sembra emanare un avvolgente alone luminoso: un dettaglio indicativo, nel periodo in cui le notti si allungano a dismisura. Non è un caso che, anticamente, il 13 Dicembre coincidesse con i festeggiamenti per il Solstizio d’Inverno, giorno più corto dell’ anno ma anche punto di partenza del nuovo ciclo di ascesa del Sole. Dodici mesi fa ho dedicato un approfondimento alle celebrazioni svedesi di Santa Lucia (rileggi qui l’articolo). Il magnetismo sprigionato da questa ricorrenza mi spinge oggi a soffermarmi sulla sua storia e sulle sue leggende in terra italica.

 

 

Dove a Lucia ci si riferisce sempre come a “Santa della Luce”, seppure con motivazioni leggermente diverse. Se nelle lande del Nord Europa il suo bagliore inaugura il primo baluginio di luminosità dell’ Inverno, in Italia viene associato alla vista (nello specifico, a leggende inerenti al sacrificio dei suoi occhi) e al chiarore delle candele che la accompagnava durante l’ operato svolto a sostegno del cristianesimo. Si narra infatti che portasse segretamente i viveri ai cristiani rifugiatisi nelle catacombe per sfuggire alla persecuzione di Diocleziano, e che per farsi strada nel buio li raggiungesse con una corona di candele fissata sul capo. L’ agiografia descrive Lucia come una giovane di nobili origini nata nel 283 d.C. a Siracusa. Profondamente cattolica, Lucia consacrò la sua verginità a Cristo sin da bambina. Era orfana di padre e viveva con la madre, Eutychia, malata da tempo. Dopo un pellegrinaggio al sepolcro di Sant’Agata, che Lucia invocò affinchè la aiutasse a guarire, la donna riacquistò la salute miracolosamente. Sant’ Agata apparve in sogno a Lucia esortandola ad onorare la fede a cui si era votata con tanta dedizione. La giovane donna, quindi, decise di dedicarsi alla carità: rinunciò al suo patrimonio devolvendolo ai bisognosi, dai quali si recava per portare aiuto, e supportava i cristiani perseguitati in seguito all’ editto che Diocleziano emise nel 303 d.C. . Tutto ciò provocò l’ira del promesso sposo di Lucia, un nobile pagano, che si vendicò denunciandola in quanto cristiana e la costrinse a sottoporsi a un processo conclusosi con il martirio della ragazza. Era il 13 Dicembre del 304 d.C.. Secondo alcune leggende, Lucia perse gli occhi quando fu martirizzata, altre raccontano che se li strappò dalle orbite spontaneamente. Altre ancora, che li offrì in sacrificio a un pretendente. Quando glieli donò, posati su un piattino, venne dotata per miracolo di occhi addirittura più splendenti. L’ innamorato, furibondo, pretese che glieli sacrificasse nuovamente, ma al suo rifiuto la uccise pugnalandola al cuore. Nacque in questo modo il culto di Santa Lucia come protettrice degli occhi e della vista. Luce, occhi e vista si uniscono dunque in un affascinante amalgama che rimanda a svariati miti pre-cristiani.

 

 

Alcuni di questi si ricollegano proprio alla tradizione scandinava: pare che ciò sia dovuto ai Longobardi, stanziatisi nel Nord Europa durante il I secolo a.C.. Quando invasero l’ Italia nel 568, diffusero il culto di Lussi (il cui nome significava “luce”), divinità che in Scandinavia regnava sugli spiriti dell’ Aldilà e sul “piccolo popolo” (gnomi, elfi, fate e folletti). Lussi dominava la notte del 13 Dicembre, la più lunga dell’ anno, chiamata “Lussinatt”, ed era solita volare sui tetti seguita da un bizzarro corteo di anime erranti. Puniva i bambini malvagi, che venivano trascinati su per il camino e condotti nel regno dei morti, e le famiglie che non si stavano preparando adeguatamente alla festa di Yule (il Solstizio d’Inverno). In quella notte fatata, si pensava anche che gli animali avessero facoltà di parola.

 

 

Ma Lussi non era l’unica figura ad appartenere a questo patrimonio mitico. Nella Roma Imperiale veniva venerata la dea Lucina, divinità del parto. Lucina, il cui nome (come quello di Lucia) risalirebbe a “Lux” e potrebbe essere tradotto con “colei che porta i bambini verso la luce”, era anche battezzata Candelifera poichè i parti si svolgevano a lume di candela. Un cero votivo, inoltre, veniva acceso dalle partorienti che invocavano la protezione della dea. La festa di Lucina, di conseguenza, era celebrata nel mese di Dicembre, il periodo del “Dies Natalis Solis Invicti”: quando il Sole, cioè, “rinasceva” e il giorno cominciava progressivamente ad allungarsi dal Solstizio d’Inverno in poi.

 

 

Innumerevoli fattori hanno contribuito a combinare la figura di Santa Lucia con quella di Lussi e della dea Lucina. Generalmente, si ritiene che l’ evangelizzazione cristiana in Scandinavia fu determinante nella propagazione della storia della Santa. Tra popoli che sperimentavano tanto spiccatamente il divario tra buio e luce, la martire di Siracusa che squarciava le tenebre con la sua luminosità divenne popolare al punto tale da dar origine a una festa – quella di Santa Lucia, appunto – celebrata sin dagli inizi del Medievo. Ciononostante, moltissimi altri elementi della tradizione pagana e pre-cristiana germanica ebbero il loro peso nel diffondere il culto di Lucia. Il tema della luce che trionfa sul buio, non a caso, è uno dei cardini portanti della ricorrenza di Yule, anticamente salutata con un tripudio di rituali, convivialità e banchetti. Diamo quindi il benvenuto alla giornata di Santa Lucia: la Festa della Luce.

 

 

Foto di Santa Lucia in Svezia (la 2 dall’ alto) di Claudia Gründer, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, attraverso Wikimedia Commons