Fate

 

“Le fate tengono i loro grandiosi balli all’aria aperta, in quelli che vengono chiamati Cerchi delle Fate. Dopo, per settimane, è possibile vedere i cerchi impressi sull’erba.”
(James Matthew Barrie)

 

Manca poco più di un mese a Yule, il Solstizio d’Inverno, e qualcosa di fatato aleggia nell’ aria. Il freddo è pungente, il cielo si fa maestoso: tingendosi di nuance che alternano il grigio perla, il grigio piombo e il rosso del tramonto, instaura una perfetta armonia con la solennità dell’universo. Il fuoco crepita nel camino, il fumo svolazza dai comignoli sospinto da folate di vento. Nel bosco, dove l’odore della terra umida si mescola a quello della resina e degli aghi delle conifere, vagano presenze affascinanti e misteriose. Sono le Fate, creature del “Piccolo Popolo” (“Sidhe” in lingua gaelica) che include anche i Folletti, gli Elfi, gli Gnomi e i Goblin. Il termine latino “fatae”, in italiano antico “dame fatate”, designava coloro che dirigono il Fato; da esso derivarono il francese “faie” e l’ inglese “fairy”, che alcuni fanno però risalire a “faierie”, vale a dire “incantamento”. Le Fate usano i propri poteri a scopo benefico, si dice che proteggano i bambini. Sono magnanime, ma al tempo stesso vanitose ed egocentriche. La permalosità che le contraddistingue può spingerle a gesti inconsulti e a tramutare le benedizioni che elargiscono in terribili maledizioni. Fisicamente hanno sembianze femminili e lineamenti delicati, pressochè perfetti. Tuttavia, sono in grado di trasformarsi e di assumere qualsiasi aspetto. La leggenda vuole che dimorino in splendidi palazzi sotterranei e che qui permangano persino dopo la loro morte, sebbene vantino una vita secolare. Sono proprio le Fate ad accompagnarci lungo il percorso verso Yule, un tragitto costellato di potenti vibrazioni cosmiche e di ammalianti incantesimi: seguitele in questa nuova photostory (da notare il motivo ricorrente del fuoco, emblema di rigenerazione, purificazione e metamorfosi).

 

 

Foto via Unsplash e Pixabay

 

Il luogo: Edimburgo, per celebrare Halloween in ogni sua sfaccettatura

 

” I fantasmi.
Prendono forma al chiaro di luna,
si materializzano nei sogni.
Ombre. Sagome
di ciò che non è più.”
(Ellen Hopkins)

 

Se la magia spettrale di Halloween vi cattura, un viaggio a Edimburgo è un’ esperienza che non dovete perdervi per niente al mondo: sulla città aleggia un’atmosfera sinistra, a tratti lugubre, alimentata da antiche leggende e da un cupo alone di mistero. La capitale della Scozia, non a caso, viene considerata una delle location più infestate del pianeta. Le origini di Edimburgo affondano nella notte dei tempi, il primo insediamento umano stabilitosi in quell’area risale al 8500 a.C. ed è stato identificato come una tribù celtica. Noi, però, ci occuperemo della lunga tradizione che associa la popolosa città scozzese ai fantasmi e alle presenze oscure: un argomento pregnante in vista dei festeggiamenti di Samhain.

 

 

Edimburgo, e soprattutto la sua Old Town medievale, ha ispirato romanzi del calibro di “Harry Potter” e “Dottor Jekyll e Mister Hyde”. I vicoli angusti pavimentati con ciottoli, le case costruite in pietra, le quattro vie che compongono il Royal Mile (il cui viale principale collega il Castello di Edimburgo con l’ Holyrood Palace, la residenza reale dove visse anche Maria Stuarda) sono datati all’ era della Riforma Protestante. Chiese e monumenti in stile gotico proliferano, accentuando il clima d’altri tempi che si respira in questa zona della città. I colori che predominano sono il grigio, l’antracite e il marrone, gli antichi lampioni diffondono un alone di luce perennemente sfumato nella nebbia. Dal Royal Mile si dirama il reticolo di viuzze dette “closes”, intervallate dalle piazze in cui si tenevano i mercati cittadini. E’ proprio nella Old Town, dove hanno sede anche la Chiesa di Sant’Egidio, la Casa del Parlamento, il National Museum of Scotland, la Scottish National Library e l’Università di Edimburgo, che nacquero molte delle storie di fantasmi legate alla capitale scozzese.

 

 

Una di queste è la leggenda di Annie, ambientata nel labirinto di vicoli della città sotterranea collocata a 25 metri di profondità dal Royal Mile. Il Mary King’s Close è il più tristemente noto di quelle viuzze: qui la gente viveva in condizioni terribili, estremamente malsane. Tantevvero che nel 1600, in seguito all’ epidemia di peste che nei cunicoli raggiunse il picco dei contagi, innumerevoli malati vennero murati vivi nelle proprie case. Da allora, nel Mary King’s Close cominciarono a risuonare misteriosi rumori e strani lamenti alternati a svariate apparizioni. I bassifondi sottostanti al Royal Mile, oggi rimasti pressochè identici a quell’ epoca, possono essere visitati grazie a specifici tour guidati. Molti turisti esplorano il Mary King’s Close attratti dalla leggenda del fantasma di Annie, una bambina che nel 1645 fu abbandonata nel vicolo dalla sua famiglia poichè aveva contratto la peste. La bambina morì e tuttora è possibile udirla piangere: si dispera per aver perso l’amata bambola con cui condivideva le giornate. L’ hanno vista vagare tra i vicoli, tormentata come un’ anima in pena. Per alleviare il suo dolore, i visitatori del Mary King’s Close sono soliti lasciare bambole o giocattoli nel punto in cui Annie è apparsa per la prima volta.

 

 

Anche il Castello di Edimburgo vanta un suo fantasma: in questo antico maniero, risalente al 1130 d.C., si sono verificati molteplici episodi paranormali. Il più famoso è l’apparizione del cosiddetto “Lone Piper”. Secondo la leggenda, molti secoli orsono fu rinvenuta una rete di cunicoli sottostanti al Castello. Tutti pensavano che portassero a Holyrood Palace, la residenza dei sovrani scozzesi, ma non ve n’era la certezza. Così, un giovane suonatore di cornamusa fu fatto scendere nel labirinto sotterraneo: il suono dello strumento avrebbe funto da “traccia” a coloro che seguivano il suo tragitto in superficie. All’ inizio andò tutto bene, poi la cornamusa cessò improvvisamente di suonare. Il punto in cui irruppe il silenzio coincideva con Tron Kirk, una chiesa situata lungo il Royal Mile. Nei cunicoli si calarono uomini a frotte, alla ricerca del suonatore; non fu mai ritrovato, era come svanito nel nulla. I sotterranei vennero sigillati, ma nell’area sottostante al Castello di Edimburgo e al Royal Mile si può udir suonare ancora oggi la funerea melodia di una cornamusa.

 

 

Chi è in cerca di brividi, a Edimburgo non può trascurare i cimiteri: sono aperti anche di notte e celebri per essere “abitati” da tenebrosi ectoplasmi. Le lapidi rimandano a secoli lontani, sono spesso ricoperte dal muschio e i nomi incisi sulla pietra risultano illeggibili. Le foglie morte dell’ Autunno, sospinte da folate di vento, si posano sulle tombe copiosamente. Il silenzio impera, tra i sepolcri circondati dal verde. Il cimitero più infestato è senz’altro quello di Greyfriars Kirkyard. Nella sua area sud-occidentale sorgeva una prigione dove, nel 1679, vennero massacrati e uccisi oltre 1200 Covenanters (i presbiteriani scozzesi che nel 1638 firmarono il patto del National Covenant per ribellarsi all’ episcopato anglicano). L’avvocato che emise le sentenze contro i Covenanters era Sir Mackenzie, detto anche “Mackenzie il sanguinario” per la crudeltà con cui fece torturare i prigionieri. La tomba di Mackenzie, nota con il nome di The Black Mausoleum, è uno dei monumenti più sinistri di Greyfriars Kirkyard: dal 1990 ad oggi, nei suoi paraggi sono occorsi centinaia di eventi paranormali. Apparizioni, fantasmatiche aggressioni, lesioni e ferite misteriose, inquietanti rumori si susseguono in un contesto macabro dove la violenza sembra aleggiare nell’ aria. Il reverendo Colin Grant, che nel 2000 eseguì un esorcismo a Greyfriars Kirkyard, dichiarò che il cimitero era invaso da potentissime forze del male. Si trattò forse di una coincidenza, ma pare che pochi giorni dopo l’uomo perse la vita in circostanze oscure. Per alleggerire l’atmosfera, è interessante sapere che a Greyfriars si trova anche la tomba di Thomas Riddle (aka Lord Voldemort), il famoso antagonista della saga di “Harry Potter”.

 

 

L’ Edinburgh North Bridge è un’ altra location imperdibile per gli amanti del dark. Questo ponte, costruito originariamente nel 1763 per collegare la Old Town con la New Town (dal 1995, entrambe Patrimonio dell’ Umanità UNESCO), è stato sostituito dal North Bridge inaugurato nel 1897, sotto il quale scorrono le linee ferroviarie principali di Edimburgo. Anticamente, il North Bridge si affacciava sul Nor Loch, una palude dove venivano lanciate le presunte “streghe” per verificare in che rapporti fossero con il diavolo: non è un caso che il ponte sia stato soprannominato “Ponte del Diavolo”.  Quando venne ricostruito nel XIX secolo, tuttavia, il North Bridge si guadagnò anche il nomignolo di “Ponte dei Morti”. Il giorno dell’ inaugurazione, tutti i presenti erano così spaventati dall’ eventualità di imbattersi nei fantasmi delle streghe che nessuno osava attraversarlo. Fu così deciso che la prima persona a transitare sul ponte sarebbe stata la più anziana di Edimburgo; ma la donna centenaria a cui spettò “l’onore” perse la vita proprio alla vigilia dell’ evento. Il fatto, per non alimentare dicerie su una maledizione, fu taciuto al pubblico. Il corpo senza vita dell’ anziana venne quindi posto in una carrozza che attraversò il ponte. L’ inganno, però, fu scoperto. Da quel momento, North Bridge diventò anche il “Ponte dei Morti”. Si dice che a tutt’oggi in molti si rifiutino di percorrerlo a piedi…

 

 

Se volete visitare Edimburgo ad Halloween, ma non vi interessano i fantasmi nè le leggende, concludo con una ciliegina sulla torta che voglio dedicare a voi: il Samhuinn Fire Festival. Quest’ anno si terrà il 31 Ottobre, dalle 19 alle 22, a Holyrood Park (i biglietti, una donazione di circa 5 sterline, possono essere acquistati comodamente on line), e verrà organizzato come sempre dalla Beltane Fire Society. Il Festival onora le origine celtiche di Halloween tramite una serie di festeggiamenti all’ insegna della tradizione: la transizione dall’ Estate all’ Inverno viene celebrata con spettacolari performance di danza, musica e teatro ricalcate su quelle tipiche degli antichi Celti. Rimarrete senza fiato di fronte alle scenografiche fiaccolate, agli straordinari numeri di giocoleria con il fuoco,  ai tamburi che con il loro ritmo accompagnano i balli, i suggestivi rituali e le travolgenti esibizioni. Si respira un’aria che riporta indietro di secoli, intrisa di gioia e di partecipazione. Cliccate qui se volete saperne di più sul Festival, e non mancate l’occasione di festeggiare Halloween in ogni sua sfaccettatura!

 

 

 

 

Solstizio d’Estate, il trionfo del Sole

 

Nullo sensibile in tutto lo mondo è più degno di farsi essemplo di Dio che ‘l sole.
(Dante Alighieri)

 

Mancano solo 13 minuti all’ arrivo dell’ Estate. Il Sole, oggi, sancisce il suo trionfo: è il giorno più lungo dell’ anno, le ore di luce prevalgono nettamente su quelle di buio. In Italia, considerando le differenze tra le varie latitudini, il Sole splenderà per circa 15 ore di fila. Ritorna la magia del Solstizio, da “Solstat”, in latino “il sole si ferma”. La potenza dell’ “astro infuocato” raggiunge l’apice, connettendo cielo e terra attraverso una straordinaria energia cosmica. Le piante acquisiscono virtù portentose, quelle aromatiche si bruciano nei tipici falò serali. I Druidi solevano raccogliere i ramoscelli di vischio (sempreverde sacro ai Celti) con una piccola falce dorata, simbolizzando l’unione tra la luna (la forma del falcetto) e il sole (lo splendore del metallo); la verbena era foriera di future ricchezze, la felce possedeva una valenza duplice: rivelava tesori occulti tramite i suoi semi e donava l’invisibilità a chiunque si impadronisse del suo fiore (un fiore che in realtà non è mai esistito). L’ artemisia proteggeva dalla negatività, mentre l’ iperico e la calendula racchiudevano l’ energia dei raggi solari. Poste sotto il cuscino, inoltre, le erbe del Solstizio permettevano di divinare il futuro per mezzo dei sogni. Il 21 Giugno, l’ anno arriva alla sua esatta metà. Il Cosmo inaugura un nuovo corso in cui predominano il Fuoco e l’ Acqua, il Sole e la Luna, il Maschile e il Femminile, elementi e principi opposti ma complementari. L’acqua, non a caso, rimane uno degli emblemi della notte di San Giovanni (il 24 Giugno), quando assume proprietà miracolose sotto forma di guazza: propizia la fertilità e conferisce benefici immensi alla pelle e ai capelli delle giovani donne. Il fuoco, la notte del Solstizio, ricorre nella tradizione dei falò: ognuno di essi simboleggia il vigore solare, lo celebra e sostiene a un tempo. Non dimentichiamo, infatti, che il progressivo declino dell’ astro inizia già a partire dal 22 Giugno. Gli antichi popoli europei erano soliti accendere i falò, ma non solo: nel buio risplendevano le fiaccole delle processioni, ruote di legno infuocate venivano fatte rotolare lungo le colline…Il fuoco possedeva anche una valenza purificatrice; teneva lontani i malanni così come gli spiriti maligni, che la notte del Solstizio accedevano liberamente al varco tra mondo visibile e invisibile. Le danze rituali attorno al fuoco e i salti sulle fiamme – se non ci si inceneriva gli abiti, la fortuna era garantita tutto l’ anno – proliferavano. Per sigillare il loro amore, gli amanti intrecciavano le mani su un falò. Il rimando all’ amore non era casuale: durante il Solstizio d’Estate, quando la natura è all’ apice della sua abbondanza, temi quali l’ accoppiamento e la fecondità diventavano pregnanti.

 

 

Per le popolazioni celtiche, il Solstizio era Litha: questo nome, ispirato alla dea sassone del grano, designa anche il sabbat della Ruota dell’ Anno celebrato tra il 19 e il 23 Giugno. Litha era l’equivalente di Demetra, la dea greca del raccolto e delle messi, e della divinità romana Cerere, che presiedeva alla fertilità. Con Litha, l’accento veniva posto sul ciclo perenne di morte e rinascita dei cereali. Una ballata quattrocentesca diffusa in Scozia e in Inghilterra, “John Barleycorn” (“Giovanni Chicco d’Orzo”), racconta proprio la storia dello “spirito dell’ orzo” che muore e poi rinasce come il dio Sole. Tornando ai Celti, un altro nome che diedero al Solstizio è Alban Heruin (“luce della spiaggia” o “della riva”). Collocato a metà dell’ anno, l’arrivo dell’ Estate era equiparato alla “terra di mezzo” generata dall’ incontro tra mare e terraferma: la spiaggia, appunto. E in ambito italiano, quali sono le figure più rappresentative del 21 Giugno? A San Giovanni Battista, la cui festa fu sovrapposta dalla Chiesa Cattolica alle celebrazioni pagane per il Solstizio, potremmo affiancare Giano, il dio Bifronte della tradizione romana. Giano è il simbolo per eccellenza delle Porte Solstiziali; significa “passaggio” il suo nome stesso e regna sui periodi di transizione, sui nuovi inizi esistenziali. I due volti del dio Bifronte sono rivolti uno al passato e uno al futuro. Nell’ antica Roma era veneratissimo, ma si suppone che il suo culto risalga a un’ età arcaica dove veniva inglobato a quello dei cicli naturali. Con il passar del tempo, Giano assunse una valenza sempre più importante: basti pensare che per i romani non aveva nè padre nè madre, era l’origine del tutto.

 

 

In questi tempi incerti, festeggiare il Solstizio d’Estate può rappresentare un punto fermo: un’ occasione per riconnettersi con la natura, per omaggiare il culmine della sua rigogliosità. Potremmo accendere un falò in giardino, o laddove ci è concesso (pare che i falò sulla spiaggia siano vietati in molte zone d’Italia), e arricchirlo di erbe aromatiche, rigorosamente nove, come la lavanda, l’artemisia, il timo, la ruta, il vischio, il finocchio, la verbena, la piantaggine e l’ iperico, la pianta che – secondo la leggenda – concentra in sè l’energia del sole. A proposito di iperico, le sue virtù fitoterapiche non vanno trascurate: rinforza il sistema immunitario, possiede spiccate proprietà antinfiammatorie e antidepressive. Ma se volete rimanere in ambito magico, raccoglietene in abbondanza per attirare la fortuna e per proteggervi dalle entità malvagie. Il giorno del Solstizio d’Estate, anticamente, veniva appeso sui portoni proprio per mantenerle a distanza.

 

,

Violeta

 

” La nostra casa era piccola e la convivenza un po’ forzata; ero sempre insieme a qualcuno, ma quando compii sedici anni ricevetti in regalo una capanna a pochi metri dalla casa principale che Torito, zia Pilar e zio Bruno costruirono in un batter d’occhio e che io battezzai La Voliera, perchè quello sembrava, con la sua forma esagonale e il lucernario sul tetto. Lì avevo lo spazio necessario per la solitudine e l’ intimità per studiare, leggere, preparare le lezioni e sognare lontana dall’ incessante cicaleccio della famiglia. Continuai però a dormire in casa con mia madre e le zie, (…) l’ ultima cosa che avrei voluto era affrontare da sola i terrori dell’ oscurità nella Voliera. Con zio Bruno celebravo il miracolo della vita a ogni pulcino che usciva dal guscio e a ogni pomodoro che dall’ orto arrivava sulla tavola; con lui imparai a osservare e ad ascoltare con attenzione, a orientarmi nel bosco, a nuotare in fiumi e laghi gelati, ad accendere il fuoco senza i fiammiferi, ad abbandonarmi al piacere di affondare la faccia in un’ anguria succosa e ad accettare l’ inevitabile dolore di separarmi dalle persone e dagli animali, perchè non c’è vita senza morte, come sosteneva lui. “

 

Isabel Allende, da “Violeta”

Il luogo

 

La location più suggestiva dell’ autunno? Senza dubbio, un fuoco e i suoi dintorni. Che siano fiamme che ardono in un camino o quelle di un falò, magari acceso in giardino oppure nei boschi. Ottobre è appena iniziato, ma di notte le temperature calano a picco: non c’è niente di meglio che godersi un po’ di tepore accanto alla fonte di calore che, per prima, diede conforto all’ umanità ancestrale. Sebbene oggi tendiamo a trascurarlo, il fuoco ha rivestito una primaria importanza per lo sviluppo della civilizzazione. Non a caso incarna una valenza emblematica ben precisa in moltissime religioni, culture, persino filosofie. Innanzitutto, è uno dei quattro elementi di contatto tra il microcosmo umano e il macrocosmo naturale (gli altri tre elementi sono aria, acqua e terra). Da tempi immemorabili viene associato all’ energia, alla forza, alla passione, al maschile, quattro termini che per gli antichi equivalevano a un tutt’uno. Si contrappone alla frescura, all’ umidità dell’ acqua con il suo potente calore; tra i punti cardinali lo si identifica con il Sud. L’ esoterismo conferisce al fuoco una funzione purificatrice, vivificante, trasformatrice. Riflettendo la luminosità dello Spirito, è in grado di innalzare qualsiasi cosa a livelli di perfezione sublime. Per gli alchimisti rappresentava il numero 1 in quanto emblema dell’ Unità: dal fuoco si erano forgiati i restanti tre elementi e ciò favoriva la sua associazione con il creare, con il fervore inventivo. Anche le emozioni vissute al massimo, senza timori, rimandavano al fuoco. “Ardente” è un aggettivo in tal senso esemplare. Tornando alla vita di tutti i giorni, il fuoco possiede numerose valenze. E’ convivialità, intimità, calore, anche figurativamente parlando. Attorno al fuoco, in autunno, ci si riunisce per chiacchierare, mangiare caldarroste, bere un calice di buon vino. Oppure per danzare, ascoltare musica, celebrare i più disparati eventi. Da tempi remotissimi, fino al momento in cui è comparsa la televisione, nei casolari di campagna vigeva l’usanza di ritrovarsi la sera davanti al focolare. La cena era appena terminata: il momento giusto per lasciar spazio alle conversazioni, ai racconti, alle leggende, alle dicerie che correvano in paese. Il vino rappresentava una sorta di “pozione magica” inebriante che dava sapore a quelle riunioni. Ai bambini venivano narrate le fiabe, ma al tempo stesso aleggiava il gusto di procurarsi brividi a vicenda. Non è un caso che, di frequente, ci si intrattenesse nel tramandare storie e leggende dagli accenti macabri. Era uno dei modi prediletti per provare e per trasmettere emozioni, amplificandole attraverso la cassa di risonanza della paura; un modo che, al pari della convivialità delle chiacchiere e del vino sorseggiato tutti insieme, alimentava il piacere della condivisione. Proprio lì, di notte, come in una sorta di rituale…mentre ardevano le fiamme del focolare.

 

 

 

Solstizio di Estate (Alban Heruin)

 

” C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole. “

(Giovanni Pascoli)

Stamattina, alle 5.31, l’ Estate ha fatto il suo ingresso trionfale. L’ arrivo alle prime ore dell’ alba ha accentuato la suggestività e la valenza emblematica che il Solstizio di Giugno porta con sè da sempre: un nuovo inizio, un nuovo ciclo naturale che ben si associa agli istanti del sorgere del sole. In quel momento, alle 5.31 appunto, l’ astro infuocato era posizionato alla declinazione massima nel suo moto lungo l’ eclittica e al culmine dell’altezza rispetto all’ orizzonte. Nell’ emisfero boreale è il giorno più lungo dell’ anno, ore ed ore di luminosità senza pari. Potremo definire il Solstizio, non a caso, “la festa del Sole”: la potenza che emanano i suoi raggi raggiunge l’ apogeo, cielo e terra si uniscono in una danza cosmica impregnata di energia e di misticismo. I Druidi battezzarono il 21 Giugno “Alban Heruin”, traducibile come “luce della riva” o “della spiaggia”, un rimando alla concezione celtica dell’ universo; la spiaggia, la riva, erano “terre di mezzo” che univano mare e terraferma.  E il Sole, che ad Alban Heruin si trovava proprio all’ intersezione tra le terre, per i Celti situate a nord dell’ equatore celeste, e i mari, situati al suo sud, era una sorta di trait d’union di quelle due superfici. Il significato attribuito all’ accensione dei falò – rituale del Solstizio per eccellenza – ha sempre a che vedere con il Sole, del quale il fuoco simbolizza e rafforza la potenza: le fiamme prolungano l’ energia caratteristica dell’ astro, che dal primo giorno di Estate in poi andrà affievolendosi a poco a poco (portandosi via anche la luce), e  poi purificano, allontanano le entità malefiche e i malanni. Ma se il Sole è il protagonista principale del 21 Giugno, quest’anno dovrà contendersi il primato con le stelle. Perchè? Ve lo spiego qui di seguito…

 

 

Fino al 20 Luglio sarà attiva una vera e propria cascata di stelle cadenti, dette Lambda Sagittaridi in quanto pare che abbiano origine nella costellazione del Sagittario. La loro performance più spettacolare si è svolta nel weekend appena trascorso, tra sabato e domenica notte, ma è previsto che ci regalino molti altri momenti di magia nelle ore buie dei giorni prossimi. La notte del Solstizio, in questo senso, viene data per certa: prepariamoci quindi a dare il benvenuto all’ Estate celebrando il Sole, re della luce e della rinascita, ma ammirando anche il fulgore di uno sciame di stelle. Perchè se il Sole è forza, vigore, luminosità allo stato puro, anche gli astri che brillano nel cielo notturno racchiudono un simbolismo estremamente affascinante. Penso a una celebre frase di Victor Hugo: “Ciò che fa notte dentro di noi, può lasciare stelle”. Sono parole significative, decisamente profonde. Delle autentiche lezioni di vita.

 

 

 

 

Acqua

 

” Una paziente attesa non ti si addice. Vedo che nella tua personalità c’è molta acqua. L’acqua non aspetta mai. Cambia forma e scorre attorno alle cose, trovando sentieri segreti a cui nessun altro ha pensato: un pertugio nel tetto o un piccolo buco in fondo a una scatola. Senza alcun dubbio è il più versatile dei cinque elementi. Può dilavare la terra, spegnere il fuoco, far arrugginire un pezzo di metallo e consumarlo. Persino il legno, che è il suo complemento naturale, non può sopravvivere se non viene nutrito dall’acqua. “

 

Arthur Golden, da “Memorie di una Geisha”

 

 

 

 

 

Gli odori del Natale

 

” Basta che un rumore, un odore, già udito o respirato un’altra volta, siano di nuovo reali senza essere attuali, ideali senza essere astratti, perché subito l’essenza permanente e ordinariamente nascosta delle cose venga liberata, e perché il nostro vero “IO”, che talvolta sembrava morto, ma che non lo era interamente, si desti, si animi, ricevendo il celeste nutrimento che gli viene offerto. “

(Marcel Proust)

Già oltre un secolo orsono, Proust parlava di potenza evocativa degli odori. Senza entrare in dettagli scientifici, conosciamo ormai bene la valenza che ricoprono i cinque sensi nel far riaffiorare ricordi e sensazioni: l’olfatto gioca un ruolo chiave. Alcuni studi hanno dimostrato che profumi e odori stimolano il riemergere delle memorie che custodiamo da maggior tempo “coordinandole”, inoltre, con ulteriori memorie associate ai sensi. Prendete ad esempio il Natale. E’ un periodo magico che ognuno di noi collega a svariati odori, indimenticabili proprio perchè legati a giorni (e notti) tanto speciali. Vagando per i mercatini natalizi, il profumo “ricco” e corposo del croccante, dello zucchero filato elargito in soffici nuvole agli avventori costituiscono – o meglio costituivano, prima dell’era del Covid – degli indelebili imprinting olfattivi. E come non pensare al Natale della nostra infanzia? Quando gli abeti non erano ancora stati soppiantati dagli alberi sintetici, i loro aghi emanavano un profumo di bosco inconfondibile. Immaginate poi il fuoco che ardeva nel camino: quelle fiamme e le scintille che sprigionavano rappresentavano uno spettacolo per gli occhi, mentre danzavano nel vano del focolare. L’ odore della legna che brucia è quasi indissolubilmente connesso alle festività natalizie, quando aspettavamo con ansia l’arrivo di Babbo Natale e giocavamo a tombola con i genitori e i parenti riunitisi per l’ occasione. Altri profumi memorabili provengono dalla cucina. Alcuni esempi? L’ aroma avvolgente, dolciastro e intenso della cannella, quello aspro delle arance e dei mandarini di stagione o, ancora, quello invitante dello zucchero a velo, delle uvette dei panettoni. Il Natale, insomma, rimanda ad un archivio olfattivo ricco di sentori. Grazie ad essi riviviamo gli attimi più belli, spensierati e felici di feste che, da bambini, attendevamo per un anno intero (con la vana speranza di cogliere in flagrante Babbo Natale o la Befana mentre si introducevano nei nostri camini). I profumi più evocativi delle mie festività rimangono quello dell’ abete – che i miei acquistavano ogni anno al Vivaio Forestale e sceglievano di un’ altezza che sfiorava quasi il soffitto – e quello del focolare acceso: entrambi, emblemi di momenti vissuti all’ insegna di un calore familiare straordinario e irripetibile. Quali sono, invece, i vostri odori del Natale?

 

 

 

La magia immutabile della notte di San Giovanni

 

La notte di San Giovanni, tra il 23 e il 24 Giugno, è intrisa di simbologia esoterica e di magiche rivelazioni. Nella mia città – Fabriano – precede i festeggiamenti per il Santo Patrono (San Giovanni Battista, appunto), e forse anche per questo le ho sempre dedicato svariati post. Ma il profondo fascino che questa notte esercita, in ogni caso, rimane innegabile. Secoli orsono, la ricorrenza di San Giovanni fu fissata al 24 Giugno con il probabile scopo di sovrapporre le celebrazioni cattoliche in onore del Santo ai rituali pagani per il Solstizio d’Estate. Tradizioni comuni, credenze condivise da tutte le più antiche civiltà europee, hanno consacrato la notte di San Giovanni alle virtù propiziatorie e alla divinazione. Astrologicamente, l’ ingresso del sole nel segno del Cancro – segno d’acqua dominato dalla luna – sancisce l’ unione tra fuoco e acqua, tra maschile e femminile, tra luce e ombra: un connubio da cui non possono che scaturire energie benefiche, originate da una complementarietà che diviene principio vitale per eccellenza. Ripercorrere le usanze associate a questa notte fatata ci avvolge ogni volta in un turbinio di fascinazioni, perchè è proprio il loro incanto che contribuisce a rendere unico, caratteristico e del tutto suggestivo il nostro patrimonio ancestrale.

 

Gli antichi Celti usavano accendere grandi falò in cima alle colline e far rotolare ruote infuocate lungo i loro pendii. Il fuoco ha una valenza purificatrice e beneaugurante sin da tempi remotissimi: anche far transitare il bestiame tra due falò e scavalcare le fiamme saltando mentre si esprime un desiderio viene considerato di buon auspicio. Il fuoco, inoltre, ha la facoltà di allontanare le malattie e gli spiriti maligni. Non sorprende che la tradizione dei falò rimanga quindi una delle più diffuse in tutta Europa.

Si attribuiscono proprietà prodigiose alla rugiada, alla guazza che si stende sui prati, tanto che un’usanza vuole che una donna desiderosa di diventare madre si rotoli o si stenda, nuda, tra l’erba bagnata.

Ad alcune erbe sono attribuiti poteri incantati e vengono utilizzate con funzioni guaritrici, propiziatorie o per proteggersi dai malefici.

L’iperico – o erba di San Giovanni– è pianta “del  Solstizio” per eccellenza: anticamente, i viandanti erano soliti percorrere i loro tragitti nascondendone un mazzetto sotto la giacca per proteggersi dalle entità malefiche. Altre piante, invece, come la ruta, la verbena, il vischio, la lavanda, il timo, il finocchio, la piantaggine e l’artemisia, venivano bruciate nei falò del Solstizio per attirare buoni auspici.

Le erbe, insieme ai petali dei fiori (su tutti, quello della ginestra), costituiscono gli ingredienti fondamentali dell’ acqua di San Giovanni, una delle tradizioni più antiche sviluppatesi nel fabrianese: immerse in una bacinella piena d’acqua durante la notte, venivano utilizzate per lavarsi la mattina seguente ritenendo che rinvigorisse la pelle e l’ organismo.

Anche il noce, albero magico per le streghe che lo attorniavano appena calavano le tenebre del 23 giugno, ricopre un ruolo particolare: dalle noci raccolte nottetempo, infatti, si ricava il  Nocino, un liquore i cui eccipienti includono un mix di cannella, alcool, chiodi di garofano, acqua e zucchero.

Tra le pratiche divinatorie a cui maggiormente si ricorreva rientrano, nel territorio della “città della carta”, quella di predire il futuro tramite la forma assunta dal bianco di un uovo versato in un bicchiere e poi esposto alla rugiada notturna. In particolare, la “divinazione dell’uovo” dava indicazioni sul futuro sposo alle ragazze in età da marito.