Le storie del cielo

 

” La neve cadeva pesante, approfondiva il silenzio, veniva immediatamente dal cielo e portava con sé un mistero inesplicabile. Qualche fiocco restava appeso alla finestra e sembrava una piccola stella piena di luce. Altri cadevano sul davanzale e coprivano lentamente le briciole che aspettavano gli uccelli. Una volta pregai la nonna: «Nonna, raccontami anche una storia del cielo». Allora la nonna domandò: «Perché anche?». «Perché la neve viene di lassù e dice sicuramente che in cielo è tutto bianco». Allora la nonna raccontò storie del cielo; ma raccontava anche molto dei suoi ricordi di gioventù e le storie del vecchio mulino e delle magiche foreste. “

 

Adrienne Von Speyr, da “Dalla mia vita – Autobiografia dell’ età giovanile”

 

 

 

 

 

In viaggio verso Halloween

 

Il legame tra VALIUM e la notte, il sogno, la magia, non si spezza mai. Questo fine settimana, non a caso, sancisce l’ inizio di un percorso che culminerà con la festa di Halloween, il 31 Ottobre. Ci addentreremo in un bosco in cui aleggiano atmosfere magiche, i sentieri sono offuscati dal mistero e il chiarore della luna viene fagocitato da nuvole che vagano nel cielo nero. Passo dopo passo, però, la notte abbandona la sua cupezza. Suggestioni esoteriche ed emozioni ataviche si fondono con una potente energia cosmica, la volta celeste ci sorprende con un tripudio di vibrazioni stellari. Siamo calati in un universo onirico dove l’ aria pungente dell’ Autunno costituisce l’unico legame tangibile con il reale. La strada è lunga davanti a noi, manca più di una settimana prima di arrivare alla meta…E in attesa di scorgere le fiamme palpitanti dei falò, le luci che baluginano nelle zucche intagliate, proseguiamo il nostro viaggio alla scoperta del lato più luminoso e rivelatore dell’ oscurità. Siete pronti? Io sono già sul piede di partenza.

 

 

 

Il ritorno di Jack Paps, carismatico cantastorie

(Photo by Luca Zizioli)

Questo weekend inizia con un bell’ incontro. Ricordate Jack Paps, già ospite di VALIUM nel 2017? Bene, è tornato a trovarci. E siccome detesto perdere di vista gli amici, lo accolgo molto volentieri. Negli ultimi tre anni, per lui, si sono succeduti eventi che l’hanno coinvolto sia sul piano privato che professionale, ma ha sempre mantenuto il proprio imprinting: quello di artista eclettico e felicemente underground. Prima del lockdown, Jack si suddivideva tra sporadiche puntate in Veneto e Milano, dove si è trasferito in pianta stabile. La musica ha continuato ad appassionarlo sotto forma di sperimentazioni e collaborazioni con amici di lunga data, sebbene i suoi interessi siano innumerevoli.  Ne parliamo in una chiacchierata dove – carriera nelle sette note a parte – toccheremo temi come le discipline orientali, i ricordi associati all’ arte di strada, le aspirazioni, Venezia ai tempi della pandemia, l’ ispirazione e molto, molto altro ancora. Una chicca in anteprima? Per ammazzare il tempo durante la quarantena, Jack ha aperto un profilo Instagram dove posta le sue “canzoni della domenica” ogni settimana: un appuntamento imperdibile in cui rivisita, nel giocoso e onirico stile Paps, brani noti e meno noti del passato. Se volete saperne di più su questo immaginifico cantastorie contemporaneo, godetevi il botta e risposta qui di seguito. Ah, vi avverto: parecchi dettagli sono rimasti invariati, rispetto al nostro primo incontro. L’ alone di mistero che circonda l’artista è sempre lo stesso, così come il look bohémien e pittorescamente “fin de siècle”. Ma soprattutto permane il carisma di una personalità ipnotica, del tutto sui generis, che cattura all’ istante. Sarà solo una mia impressione, però non riesco a immaginare Jack Paps mentre lotta con le unghie e con i denti per catapultarsi nel mainstream musicale…

Una domanda semiseria. Jack, riannodiamo il filo: nel 2017, quando ti ho chiesto che progetti avevi dopo la tua esperienza al Summer Jamboree di Senigallia, mi hai risposto che pensavi di mollare tutto per insegnare yoga. Com’è andata, invece?

E’ stato così in parte, con l’eccezione che non ho abbandonato il lavoro di artista, ma non dubito che in futuro potrei farlo. In parallelo alla mia vita di musicista c’è un’ossessione e uno studio continuo per le pratiche e le discipline che arrivano dall’ Oriente, soprattutto per ciò che riguarda l’ascetismo.

 

 

Il tuo percorso professionale è intriso di un mistero che lo carica di fascino: potremmo tornare sull’argomento per ricapitolare? Come ti racconteresti a chi non ha letto la tua prima intervista per VALIUM?

Questa professione è capitata per caso in verità, in un susseguirsi di situazioni concatenate. Sono un solitario con una pervasiva malinconia e durante la mia infanzia e la mia adolescenza ho saziato questa mia emozione predominante con le note di una piccola pianola trovata tra le cianfrusaglie. Passavo molto tempo, in uno stato di raccoglimento, a cullarmi col volto disteso sulla tastiera mentre suonavo. Fatto sta che gli anni passavano e ho imparato a suonare. La musica è rimasta di fatto una voce intima nella mia vita, finché a 24 anni circa, disilluso dalle aspettative di una vita ordinaria e con l’incoscienza e l’audacia che contraddistinguono quella età, mi sono gettato tra le calli e i campielli Veneziani con una piccola fisarmonica blu, suonando e cantando a squarciagola. Da cantastorie squattrinato per le strade a performer professionista per eventi di prestigio, nel giro di pochi anni mi sono perfezionato e ho fatto della musica il mio mestiere. Agli inizi ero persuaso che la musica e le mie espressioni artistiche fossero il fine e che la mia passione, le mie aspirazioni fossero il carburante per raggiungere questo traguardo. Oggi invece, a distanza di qualche anno, penso che la musica sia stato il mezzo, e che il fine fossero le relazioni e le connessioni che potevo creare attraverso di essa.

In questi anni hai alternato le esibizioni nelle location più esclusive alle performance in strada. Qual è il trucco per trovarsi a proprio agio in entrambi gli ambienti?

Cerco disperatamente il trucco. Ho chiesto anche al mio amico mago che lavora ogni tanto con me, molto abile nei trucchi, ma anche lui non ha saputo dare una risposta. Vivo una perenne dicotomia, anche quella interiore tra me e Jack Paps.

 

(Photo by Elisa Cuneo)

A proposito di arte di strada, quali ricordi hai dei tuoi esordi nelle calli di Venezia? E cosa pensi della Laguna in quarantena, della sua trasformazione sbalorditiva?

Venezia è stata il teatro della mia crescita. L’ho vista vestirsi a festa durante il Carnevale, l’ho accompagnata con la mia musica e l’ho vista ballare, l’ho vista piangere lacrime amare durante le inondazioni che l’hanno ferita, l’ho vista assediata di turisti che l’animavano e la tormentavano e l’ho vista oscillare davanti ai miei occhi alla fine dei Bacaro tour con gli amici (il Bacaro tour è una forma tutta veneziana che prevede il giro delle locande bevendo almeno un bicchiere in ognuna di esse). Poi è arrivato il COVID-19 e pochi giorni prima che cominciasse la quarantena l’ho vista per la prima volta deserta, affascinante e silenziosa, riprendere il respiro. L’ho salutata commosso e sono ritornato a Milano.

 

(Photo by Serena Rose Zerri)

Dopo il trasferimento a Milano, hai deciso di tornare in Veneto di tanto in tanto per riannodare le collaborazioni che avevi già avviato con svariati musicisti: penso a Damien McFly o a Gabriele Fassina, in arte FACS. In che modo si intersecano i vostri talenti?

Dopo sei anni di vita a Milano, ho voluto ritrovare gli amici che avevo perso di vista, specialmente nel Veneto. Mi sono messo in testa che fosse una cosa importante e alla quale dare priorità. Questa scelta è stata importante sia a livello umano che lavorativo. E così per prima cosa sono andato a trovare un vecchio amico e la sua band della quale facevo parte prima di diventare solista, Damien McFly. Un cantautore a cui voglio bene e che stimo profondamente come professionista, un ragazzo che da una città di provincia è riuscito con la sua musica e i suoi testi a farsi sentire internazionalmente, e in un certo senso il primo con cui ho potuto imparare il mestiere. Trovare una formazione musicale con cui si è in sintonia non è una cosa scontata, e dopo anni ho avuto l’occasione di poter suonare di nuovo con loro. Tra le altre buone occasioni ho potuto risuonare e confrontarmi con un altra persona speciale nel mio cuore, un musicista che personalmente reputo il più talentuoso tra tutti quelli incontrati fino a oggi, Gabriele Fassina in arte FACS. Con lui ho condiviso tante avventure e musicalmente c’è un intesa molto forte. Quando suoniamo insieme non c’è bisogno di parole o gesti, a volte penso che non ci sia neanche bisogno di comunicare, tanto siamo sulla stessa lunghezza d’onda.

Pensi che qualcuno di questi connubi possa sfociare in una collaborazione duratura?

Penso che le collaborazioni non verranno a mancare con entrambi, ma l’aspetto dell’amicizia per me è molto più importante. Le collaborazioni verranno da sé.

 

Jack e Damien McFly (photo by Massimiliano Berto)

FACS e Jack

Ultimamente hai aperto un profilo Instagram che, ogni settimana, propone una splendida chicca: la “canzone della domenica”, ovvero brani del passato che rivisiti con il tuo magico estro. Come nascono questi piccoli gioielli?

Sono appassionato di musica “tamarra” anni ’90, e trovo che i tormentoni dance di quegli anni abbiano un grande potenziale: si possono trasformare in versioni anche distanti e diverse tra loro, per esempio in versioni orchestrali o motivetti, come nel mio caso, da cantastorie. E’ uno spensierato passatempo in questi giorni di reclusione.

 

La Damien McFly Band (photo by Massimiliano Berto)

Parlando invece in generale, cosa fa scoccare la scintilla tra te e l’ispirazione?

La musica in sè è per me fonte di ispirazione. Spesso ho la necessità di comporre o di trasformare partendo da una musica che ho sentito e che mi ha colpito.

L’ era del Coronavirus sta rivoluzionando gli stili di vita. Che ci racconti della tua quarantena?

Come già si è capito dalle mie risposte, io non soffro nell’isolamento perché spesso la solitudine placa le mie paure. Sono quindi forse uno dei pochi ad aver ritrovato un armonico equilibrio con me stesso. Il fatto che la città si sia fermata ci ha regalato un insolito silenzio nel quale le nostre riflessioni hanno fatto eco.

 

(Photo by Elisa Cuneo)

Per un artista che, come te, privilegia la dimensione live, il Covid-19 rappresenta un fattore penalizzante. In quale direzione potrebbe evolvere l’esibizione musicale?

Penso semplicemente che si debba aspettare. Esistono dei mestieri che vivono del contatto diretto col pubblico, si possono utilizzare delle piattaforme Internet ma personalmente lo trovo un rattoppo in attesa di tempi migliori.

 

(Photo by Elisa Cuneo)

 

 

 

La Roma oscura de Il segno del comando

 

C’è una Roma sconosciuta ai turisti: intrecci di vicoli come labirinti che sfociano in piazze lastricate di ciotoli. E’  una Roma notturna e silenziosa, semideserta, che si insinua come un’ oasi antica e misteriosa all’ interno della città caotica e trafficata. Una Roma fatta di solenni e lugubri palazzi nobiliari abitati da personaggi che vivono fuori dal tempo, in un mondo personale di passioni e di ossessioni iniziatiche, in cui aleggiano strane presenze. E’ la Roma che scoprirà il prof. Foster, arrivato da Cambridge per disquisire sul diario romano di Byron al British Council e da quel momento in poi preso nel vortice di antiche leggende ed esoterici presagi, irretito quasi inconsapevolmente da una torbida’ setta’ che  si rivela in un doppio volto, in una doppia realtà. Deciso a saperne di più dopo un sonetto in cui Byron descrive un’esperienza inquietante concludendo i suoi versi con ‘Tenebrose presenze’, viene coinvolto in una strana storia di reincarnazioni, predestinati e artisti maledetti accomunati dalla passione per l’occulto, per lo spiritismo, per il soprannaturale. Una profezia di negromanti designa Foster come il reincarnato di un pittore morto cento anni prima di cui è sosia, condannandolo a morire il 28 marzo, come il pittore…Ma una macabra caccia al tesoro a cui lo conduce proprio il sonetto di Byron, lo porta a scoprire luoghi e figure chiave per la sua salvezza: giungerà ad essa grazie ai versi sibillini del Salmo della doppia morte, partitura per organo di un musicista attratto da mondi oscuri e ‘morto nel peccato’ secoli prima. Ma intanto la realtà e l’ intangibile si intrecciano, intersecano, passato e presente si uniscono e sdoppiano, rivelando un lato oscuro nei luoghi, nelle persone e nelle situazioni in cui niente, nessuno è come appare, e muoiono persone legate alla ‘trama esoterica’ . Anche la figura ambigua di Lucia, in abiti gipsy e dalle misteriose apparizioni e sparizioni, crea una realtà confusa e onirica trascinando Foster in taverne secolari che svaniscono nel nulla, tenebrose sedute spiritiche negli angoli più lugubri di antichi castelli, tetre sartorie teatrali abitate solo da manichini.

 

 

Dovrebbe morire il 28 marzo, Foster: l’unico modo che ha per salvarsi è trovare il potente Segno del Comando, un amuleto in grado di sconfiggere la profezia, e crede di essere sulla strada giusta, di aver trovato il luogo in cui si nasconde grazie alle parole a doppia chiave contenute nel Salmo. Ma sarà stupore quando questo non avviene, altri morti si susseguono orribilmente, e persino il finale della storia si dirama in una doppia versione: quella di un commissario di Polizia che snocciola una conclusione dalla razionalità pura, in cui magia equivale a superstizione ed appannaggio di fanatici, contrapposta alla versione esoterica che conduce Foster a impossessarsi del Segno del Comando grazie a un viottolo buio dove, nella fantomatica Taverna dell’ Angelo appena riapparsa, sarà Lucia a rivelargli il mistero. Può capitare dunque che all’ interno di una trama oscura e misteriosa, il fantasma della modella di un pittore maledetto del passato venga a salvarti e che sia il suo amore, l’amore di una Lucia presenza di due mondi oscillanti tra il terreno e l’ ultraterreno, a consegnarti il misterioso, salvifico Segno del Comando: Foster lo aveva già con sè, dono di Lucia la prima sera insieme, alla Taverna. Un medaglione su cui è incisa una civetta, opera di un antico orafo e negromante, ha impedito che la profezia si avverasse. All’ alba del 29 marzo, Foster è vivo grazie a un dettaglio, incastonato perfettamente nel romanticismo byroniano: la sua vita prosegue, messa in salvo da un fantasma che ha attraversato secoli e tempo per raggiungerlo, mosso dal più passionale tra i sentimenti. L’ambiguità di Lucia, ora, abbandona le ombre rivelando una limpida luminosità…quella dell’ amore.

La realtà stessa ha dunque un doppio volto, in cui la razionalità si interseca suo malgrado, ma costantemente, inevitabilmente, con l’insondabile…

 

 

Foto tratte dallo sceneggiato TV Il segno del comando, 1971, diretto da Daniele D’ Anza.

Buon mercoledì.