Lindsay Kemp: tra Teatro e Glam Rock

Lindsay Kemp, ovvero quando il talento si unisce a un carisma straordinario. In quasi cinquant’anni di carriera, il visionario artista che conquistò nomi del calibro di Nureyev e Fellini con il suo mix di mimo e teatro danza ha rievocato, sul palco, un universo forgiato da molteplici ispirazioni. Oggi vive a Livorno e porta in tour lo show Kemp dances. Inventions and reincarnations dando ulteriore prova della sua leggendaria genialità istrionica: e se proprio a Kemp va il merito di aver unito teatro e rock tramite la messa in scena di The rise and fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars del suo allievo David Bowie, fu la figura emblematica di Pierrot a tracciare un imperituro link tra l’ immaginario artistico del Duca Bianco e quello del coreografo inglese. In questa intervista, Lindsay Kemp si racconta e ce ne spiega i motivi.

Quando e come si è rivelato il suo talento di artista?

Sono nato danzando. Danzare mi piaceva così tanto che non avrei potuto essere altro se non un danzatore. Ma il cammino non è stato facile, ho dovuto combattere. Mia madre, quando ha cominciato a capire che la danza era quel che volevo fare nella vita, ha cominciato a preoccuparsi: che non avessi abbastanza talento, che non avessi il fisico, che avrei avuto problemi economici…E con buonissime intenzioni mi ha iscritto a un collegio nautico militare dove sperava che seguissi le orme di mio padre, un marinaio morto durante la guerra mondiale. Ma la disciplina militare non ha fatto altro che rafforzare le mie inclinazioni artistiche!

Perché la scelta di privilegiare l’ arte mimica?

Il mimo è solo un aspetto della mia espressione teatrale. Mi avvalgo di diverse forme artistiche per arrivare, in tutti i casi, a toccare il cuore dello spettatore.

Ha dichiarato che Marcel Marceau le ha “dato le mani”. Oltre che dal grande mimo francese, da quali figure è stato maggiormente ispirato?

Prima dell’  incontro con lui, i miei insegnanti di danza dicevano che le mie mani sembravano “salsicce”: non le usavo con grazia. Marceau mi ha insegnato tantissime cose, ma gli sono grato soprattutto per aver trasformato le mie mani da “salsicce” in “farfalle”. I Maestri che mi hanno più influenzato, per la maggior parte, non li ho mai incontrati. Ho imparato molto da Picasso, attraverso i suoi dipinti. E nella danza, attraverso lo spirito guida di Isadora Duncan, dagli spettacoli di Martha Graham, Paul Taylor e Pina Bausch.

La sua opera è contraddistinta da un mix di linguaggi teatrali. Come si inserisce, in questo contesto, il suo approccio alla danza?

Ho imparato moltissimo imitando i miei maestri sia nella danza che nella pittura. Seguendo le loro orme ho trovato me stesso. La cosa più importante, quando hai un pubblico, è intrattenere. La danza è forse il mezzo più veloce per arrivare a toccare il cuore della gente. La mia arte non poggia su chissà quale intellettualistico motivo: è come inviare una cartolina allo spettatore per condividere la gioia di quel momento, per sollevare lo spirito, per dare amore. I protagonisti dei miei disegni sono i tipici personaggi dei miei spettacoli: il marinaio, il circo, il saltimbanco, le ballerine, il torero…Ricerco la luce, il colore: voglio donare un messaggio di positività immediato. Quando sono in scena il mio scopo è quello di raccontare una storia, senza barriere o limiti concettuali. Cantare, proiettare un dipinto, recitare: tutto si mescola con armonia per arrivare allo spettatore in modo completo.

David Bowie è stato il suo più celebre allievo. Che ricordo ha di lui?

Ho solo ricordi felici. David vide un mio spettacolo a Londra, nel ‘67. Incantato dal mio mondo – che definiva “il mondo bohemien di Pierrot” – venne a trovarmi nel backstage: rimasi folgorato. Mi chiese se poteva essere un mio allievo e il giorno dopo era a lezione da me. Gli ho insegnato ad esprimere se stesso attraverso il corpo, era uno studente di prima classe. Lo spettacolo che abbiamo creato insieme, Pierrot in Turquoise, ha girato l’ Inghilterra ed ha avuto una stagione a Londra prima che ci separassimo per un periodo. Un paio d’anni dopo ci siamo incontrati di nuovo per una versione TV di Pierrot in Turquoise ribattezzata The looking glass murders. David mi portò il suo nuovo LP The rise and fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars e mi chiese di aiutarlo a metterlo in scena al Rainbow Theatre. In quello show appaio come guest artist: è così che è nato “Starman”.

Il personaggio di Ziggy Stardust sancì una sinergia tra lei e Bowie. Come ebbe inizio quella straordinaria avventura?               

Ziggy è stato una sua creazione. La mia influenza si è concretizzata nello stabilire una connessione tra la rockstar Bowie e l’ artista d’ avanguardia che ero. È stato forse il primo mix tra musica rock e azione scenica: lo show era influenzato dalla mia passione per il teatro giapponese, soprattutto il kabuki, uno spunto che ha poi avuto un’ enorme influenza nell’ opera di David Bowie.

Quali affinità accomunavano i vostri universi artistici?

Era una mescolanza totale, una fusione.

Una frase che non ha avuto la possibilità di indirizzargli quando era in vita: cosa gli direbbe?

“ Vorrei rivivere tutto di nuovo”. Ma senza cuore infranto finale!

Kemp Dances – un titolo che gioca sul significato ambivalente di “dances” come verbo in terza persona e sostantivo al plurale – Inventions and reincarnations è uno show antologico che alterna brani del repertorio di Lindsay Kemp a nuove creazioni sceniche. Sono presenti, tra gli altri, Ricordi di una Traviata, il celebre assolo The flower e Frammenti dal diario di Nijinsky, icona della danza alla quale Kemp ha dedicato più di un tributo. Kemp dances, che l’artista porta in scena con la Lindsay Kemp Company, approderà in Spagna il prossimo Settembre per la seconda tranche di un tour che ha a tutt’ oggi incluso l’ Italia e parte della penisola iberica.

Photo Credits: Richard Haughton

Un ringraziamento speciale a Daniela Maccari della Lindsay Kemp Company

Photo courtesy of Daniela Maccari/Lindsay Kemp Company

“Bowie before Ziggy” da oggi in mostra a Bologna

©Michael Putland

A due mesi esatti dalla sua scomparsa, l’ interesse e le celebrazioni nei confronti di David Bowie si moltiplicano in modo esponenziale. Vero e proprio mito del nostro tempo, il Duca Bianco conferma l’assioma secondo il quale “le icone non muoiono mai”: talento, carisma, unicità e innovazione rappresentano un mix di doti talmente esplosivo da imprimere nell’ immaginario collettivo, a titolo perenne, chi lo possiede. Motivo per cui il genio e l’ istrionismo bowiano sono più che mai vivi presso il grande pubblico, alimentando tutta una serie di iniziative atte ad approfondirne i caratteri e le sfaccettature. Prende vita da questo concept Bowie before Ziggy. Fotografie di Michael Putland, la mostra che ONO Arte Contemporanea inaugura oggi a Bologna: un omaggio al David Bowie che, di lì a pochissimo, sarebbe diventato ufficialmente Ziggy Stardust lanciando il suo alter ego più iconografico e memorabile. Lo strumento privilegiato di questo viaggio a ritroso nel tempo sarà costituito dalle foto scattate a Bowie da Michael Putland, celebre fotografo inglese della music scene. Ventisette immagini nelle quali spicca un clou contraddistinto da precise coordinate spazio-temporali: lo shooting che ha ispirato il titolo dell’ esposizione ha come location Haddon Hall, la residenza londinese dell’ eclettica rockstar, ed è stato realizzato il 24 aprile del 1972. Una data che precede di soli quattro giorni l’ uscita di Starman, il singolo di lancio del leggendario The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars, 24 ore di scatti all’ insegna di un mood tra il rilassato e il giocoso: Putland ritrae un Bowie perfettamente a suo agio tra le mura domestiche, alle prese con la tinteggiatura del soffitto e mentre flirta con l’obiettivo. E’ “la calma prima della tempesta”, il relax casalingo che precede il boom di straordinaria popolarità esploso con Ziggy, un Bowie a dimensione umana che si avvia a tramutarsi nel più famoso alieno della storia del rock. Gli indizi sono già presenti: l’ abito che indossa – creato in connubio con il designer Freddy Burretti – è lo stesso che sfoggerà sulla cover dell’ album, il suo percorso di ricerca musicale e sull’ immagine è pienamente avviato. The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars vedrà la luce due mesi dopo e sarà un successo planetario, evidenziando a tutto tondo le sue doti camaleontiche innate. ONO Arte, attraverso il “racconto” fotografico di Michael Putland, celebra questo speciale periodo di transizione affiancandolo a scatti post-Ziggy e tratti dallo Station to Station Tour. La mostra – visitabile fino al 30 Aprile –  include  inoltre il lavoro grafico di Terry Pastor, designer delle copertine di Ziggy Stardust e Hunky Dory.

 

BOWIE BEFORE ZIGGY. Fotografie di Michael Putland

Dal 12 Marzo (Opening ore 18,30) al 30 Aprile 2016

presso ONO Arte Contemporanea, via Santa Margherita 10, Bologna

 

 

 

©Michael Putland

 

 

©Michael Putland

 

 

 

©Michael Putland

 

 

©Terry Pastor

 

Photo courtesy of ONO Arte

Il close-up della settimana

 

E’ stato già battuto il primo ciak: da quel momento Perugia si è tramutata, come per incanto, in un set in puro stile Belle Epoque. Carrozze, eleganti dame, gentiluomini in cappello a cilindro, frotte di bambini, bancarelle di primizie in pieno centro sono entrati ormai a far parte dell’ ordinaria quotidianità. Sono infatti iniziate il 5 Ottobre scorso le riprese della fiction sulla vita di Luisa Spagnoli, la storica ideatrice del “Bacio” Perugina e di un brand di moda che è tuttora uno dei capisaldi del Made in Italy. Ad interpretarla, una radiosa Luisa Ranieri affiancata da Vinicio Marchioni,  noto al pubblico per aver impersonato “Il Freddo” nella serie TV Romanzo criminale; sarà l’ attore romano a vestire i panni di Annibale Spagnoli, marito dell’ imprenditrice e padre dei suoi figli Mario, Armando e Aldo. E a Perugia è immediatamente scoppiata la fiction fever: chilometriche file durate ore ed ore per assicurarsi un ruolo da comparsa e rientrare nel cast dello sceneggiato che le previsioni danno già tra i cult della prossima stagione. Un vero e proprio boom di presenze che testimonia quanto sia potente, a tutt’oggi, l’ appeal di Luisa Spagnoli oltre che quello della fama TV. La miniserie, diretta da Lodovico Gasperini, verrà trasmessa da RAI 1 e si preannuncia come uno dei fiori all’ occhiello della programmazione fiction della prima rete: “donna in carriera” ante litteram, fondatrice della Perugina in società con il marito Annibale e con Francesco Buitoni nel 1907, la Spagnoli seppe tramutare il suo allevamento di conigli d’angora in un’ impresa tutta propria, l’ Angora Spagnoli. Fu il nucleo iniziale dell’ azienda che porta tuttora il suo nome, fortemente voluta dall’ imprenditrice e ufficialmente fondata nel 1937 – due anni dopo la sua morte – dal figlio Mario. Ma alla self-made woman perugina va anche il merito di aver adottato una lavorazione dell’ angora assolutamente originale, evitando di uccidere i conigli semplicemente pettinandone via il pelo, e di aver contribuito a migliorare la qualità di vita delle proprie dipendenti tramite la costruzione di una nursery aziendale, la prima in Italia, affiancandola ad un insediamento residenziale ed a una piscina. Nella data inaugurale di Eurochocolate 2015, il festival che Perugia dedica ogni anno al cioccolato, non si può dimenticare inoltre che fu proprio Luisa Spagnoli a denominare “bacio” il celeberrimo cioccolatino della Perugina: un dettaglio ulteriore che delinea  il forte intuito, lo spirito intraprendente e la geniale inventiva di una donna che ha lasciato un’ indelebile, significativa impronta nel panorama della creatività e dell’ imprenditoria italiana.

LULULULU: il nuovo photofilm di Diego Diaz Marin per Schield

 

Le advertising campaign di Diego Diaz Marin per Schield rappresentano, di stagione in stagione, un appuntamento unico: puro godimento per gli occhi, un coup de foudre visivo che cattura e sortisce un effetto ammaliante.  A caratterizzare i “frame” dei suoi photofilm, incantesimi cromatici e protagoniste bellissime quanto tormentate che delineano, come un leit motiv, storie strabilianti nelle quali glamour e extravaganza si intrecciano in un mix di classe e di profonda ironia. La campagna dedicata al Fall/Winter 2015/16 del brand di luxury jewels creati da Roberto Ferlito non viene meno a questa traiettoria artistica. Il mood è provocatorio, le immagini d’effetto: verrebbe da dire “Ciak, si gira” per dare il via a un “corto fotografico” dai toni strong e di forte, fortissimo impatto. Lulululu è il suo titolo. Sillabe impazzite, un loop fonetico ossessivo, un nome ripetuto a ritmo ininterrotto. La puntina di un vecchio giradischi incantata su un disco rotto. Martellante, logorante come l’ idea fissa della bella fanciulla, oppressa da una claustrofobica angoscia nella sua stanza di ospedale. Suoni ovattati, pareti massicce,  monitor vigili immersi in un’ inquietudine color lilla. Fiori macroscopici senza alcun odore, attrezzatura medica, ortodonzia surreale e quattro mura di noia. A brillare nella calma piatta, solamente i gioielli Schield: ear-cuff preziosi, estrosi collier come vertebre adornate di perle, palladio, oro e Swarovski per bijoux che riproducono denti molari esaltandone il cotè ornamentale. Enormi gigli ad emanare purezza ispirano cyborgflowers a grappoli declinati in anelli, orecchini, collier e bracciali smaltati in sofisticate alternanze di black and white.

Ma è all’ indaco che Lulù aspira: l’indaco del cielo all’ alba, l’indaco dei vasti orizzonti, l’indaco della rinascita…L’indaco dell’ infinito. E’ color indaco la veste ospedaliera che indossa, evocando suggestioni di ritrovata libertà e sprigionate illusioni. “Sono indaco le piume sulle ampie ali degli albatros, il plancton negli oceani, gli anelli nei tronchi delle millenarie sequoie, e gli atomi nelle miriadi di galassie del cosmo”, declamava Alda Merini*. La fuga è un tarlo che scava nella mente, l’idea declinata in senso univoco, la magnifica ossessione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Oh, what do you know about living in turbolent indigo?” (Joni Mitchell, Turbolent Indigo)

 

 

 

 

 

“E non soffrire più che in fondo forse c’è al di là di Gibilterra un indaco mare” (Baustelle, L’indaco)

 

 

 

 

La fuga è pronta, più volte tentata. La fuga è l’unica via di fuga. L’indaco e l’azzurro di un cielo terso attendono Lulù e faranno scorrere un The End sulla location della sua ossessione. Le gambe slanciate, panchine come rampe di lancio, fiori come inodori souvenir di una claustrofobia distanziata. La flebo la accompagna, molesto cimelio, nella sua corsa verso il muro di cinta.

 

 

Scavalcare il muro, aggrapparsi ai rampicanti, correre a perdifiato verso nuovi orizzonti: è lei, Lulù, in fuga verso azzurrità senza confini. Lulululu, ormai, è solo un suono indistinto trasportato dal vento.

“E’ impalpabile indaco ciò che tende all’ infinito, come il numero di stelle del firmamento, come il tuo nome ripetuto sulle mie labbra…” Alda Merini, da Indaco: tendente all’ infinito*.

 

SCHIELD Fall/Winter 2015.16

Photofilm: “Lulululu”

Creative Direction and Photography: Diego Diaz Marin

Model: Arci at Independent Mgmt Milan

Hair and Make up: Nino Maiorana

Jewellery: Roberto Ferlito

 

Il close-up della settimana

 

Il 2015 si conferma, per Giorgio Armani, un anno speciale: nominato Special Ambassador per la Moda di Expo Milano 2015, il designer che con American Gigolò saldò indissolubilmente il connubio iconico tra “Cinema” e “Moda” festeggia i 40 anni di attività con una serie di grandi eventi e iniziative. Lo scorso 30 Aprile è stata la volta dell’ inaugurazione di Armani Silos, multispazio espositivo allestito a Milano nei locali dell’ ex deposito di cereali di una multinazionale. Da qui, il nome Silos: 4500 mq di superficie e un investimento di circa 50 milioni di euro destinati alla creazione di una sorta di esposizione permanente che ospita, in una traiettoria d’effetto, 600 abiti e 200 accessori appartenenti alle collezioni Armani incluse in un arco di tempo compreso tra il 1980 ad oggi. “Così come il cibo, anche il vestire serve per vivere”, ha commentato il designer, che ha inaugurato il Silos con un party stellare ricco di superguest hollywoodiani ed altisonanti nomi dello show-biz – dalla Sophia nazionale a Cate Blanchett, Leonardo di Caprio e Tom Cruise, solo per citarne alcuni – preceduto da una sfilata della collezione Armani Privè nella celebre location dell’ Armani Teatro. Ma per il SilosRe Giorgio ha in serbo ulteriori iniziative: le ipotesi riguardano essenzialmente mostre artistiche esterne all’ universo Armani, selezionate in base all’ affinità con il mood della Maison – “Un progetto, per essere ospitato, deve essere vicino al mio spirito”, ha tenuto a precisare il designer piacentino – anche se, per il momento, il futuro relativo alla struttura rimane tutto da decidere e da organizzare. Quel che è certo è che, d’ ora in avanti, gli avventori del Silos potranno ammirare, in un percorso distribuito su quattro livelli, una lunga serie di capi iconici come le famose giacche ed outfit che spaziano da un’ eleganza essenziale ad uno stile iperfemminile, di ispirazione Oriente passando per la colonna portante del celebrato “greige”. Uno spazio espositivo destinato a rinnovarsi parzialmente ogni sei mesi, valorizzato da locali quali una conference rooom, una caffetteria, un archivio digitale, più uno special corner dedicato agli articoli da regalo. Ed è solo l’ inizio: in un prossimo futuro è prevista infatti la ristrutturazione dei rimanenti edifici dell’ ex plesso industriale che potranno fungere da ulteriori, innovative location.  Nel frattempo, il Silos si prepara a diventare uno dei principali poli d’attrazione della Milano creativa e del “fare,” candidato a convogliare nei suoi spazi – in tempi di Expo e non – un altissimo numero di visitatori. Non si tratta, tuttavia, dell’ unico dono che Giorgio Armani ha in serbo per i suoi estimatori: risale proprio a questi giorni, infatti, l’ annuncio della pubblicazione della sua autobiografia, che vedrà la luce a Settembre in occasione delle sfilate di Milano Moda Donna. Secondo le prime anticipazioni, il libro sarà edito da Rizzoli ed una foto di Re Giorgio da bambino farà bella mostra di sè in copertina. Quale modo migliore per celebrare “i suoi primi quarant’ anni” che dare alle stampe il racconto di un’ esistenza ormai assurta a simbolo, in parti uguali, di glamour e di operosità? A chi gli chiede come mai dal Silos siano escluse le collezioni d’esordio risalenti agli anni ’70, Armani risponde: “Avevamo pochi soldi, vendevamo tutto e non pensavamo certo di arrivare fin qui.” Eppure, “fin qui” è arrivato, portato dalle “idee e da un duro lavoro, con i piedi per terra.” Ed oggi, oltre ai suoi fan a celebrarlo è il Gotha Hollywoodiano che lo vuole, lo cerca, lo adora: un meritato riconoscimento per il talento innato e per aver rivoluzionato le coordinate dello stile: “La mia moda ha cambiato un po’ lo stile di tutti”, afferma, e sembra rispecchiare la sua nota pacatezza in un’eleganza  lineare, inconfondibile, scaturita da un mix di fantasia e sobrietà. Dopotutto, non si diventa “Re Giorgio” per nulla!

 

Armani Silos, a Milano in via Bergognone 40, è aperto di martedì, mercoledì, venerdì e domenica dalle 11 alle 20. Il giovedì e il sabato, dalle 11 alle 22

(Photo by Lorenzo Bozzi via Wikipedia.it)

The Flapper’s Penthouse

I “ruggenti anni ’20”, “The Roaring Twenties”: una decade in piena fioritura, il boom associato a una nuova vitalità post-guerra. L’era che coincide con i primi sentori di emancipazione femminile, con il superamento di obsoleti modelli comportamental-stilistici di derivazione vittoriana, incarna nella flapper la propria inconfondibile icona: ruota attorno al glamour dirompente del suo personaggio il concept dello shooting realizzato dalla stylist Valentina Guidi Ottobri e scattato da Ruggero Mengoni per LuisaViaRoma Home. Sicura di sè, fiera, indipendente, i capelli tagliati alla garçonne, la flapper accorcia gli orli delle gonne e, sfoggiando un make up pesante, la sera ingrana la marcia per lanciarsi nella mischia dei fumosi speakeasy,  che labirinti di vicoli e quartieri poco battuti proteggono dal rigore dell’ ondata proibizionista. La sigaretta stretta tra le dita, il drink in mano, la nostra eroina si lancia in balli travolgenti come il foxtrot e  prova una passione smisurata per il jazz. Al momento di tornare a casa, non può essere che una location splendidamente su misura ad accoglierla: scatenata, nei party che organizza la flapper si dimena a suon di musica sopra un tavolo o su un’ ottomana Visionnaire, ma quando le luci si spengono la sua dimora si tramuta in un nido accogliente di puro design. Lo specchio Poltronova e il tappetino stampato Boralevi rappresentano piccoli gioielli d’arredamento dal mood modernista che le fanno ritrovare il piacere di rincasare ogni notte, mentre un superbo tappeto di Designers Guild definisce e struttura lo spazio di un ampio salone che accoglie elementi “a sorpresa”, come la Maschera accent chair griffata Moschino Altreforme. Quando riceve, la flapper è consapevole di introdurre i suoi ospiti nelle particolarissime atmosfere di un vero e proprio santuario intimo dagli anbienti iper-personalizzati: una lampada Flos dal design astratto e un servizo di piatti illustrati da Rory Dobner risaltano con straordinario appeal, sottolineando il prezioso contrasto tra arredi d’avanguardia ed interni più tradizionali. Un dettaglio tutto da imitare: dopotutto, non è forse l’ eclettico mix di classico, contemporaneo e di iconico design a donare un’ irrestitibile, fascinosa allure al rifugio della flapper nella sua quintessenza?

 

 

 

THE FLAPPER’S PENTHOUSE

Photography: Ruggero Mengoni

Styling: Valentina Guidi Ottobri

Hair: Rosanna Campisi @RockandRose

Make-up: Angelo Nenna Pintor

Model: Ronnia @2morrowmodel

Location designed by: Anna Conti

Special thanks to: Sotheby’s Firenze

 

Oriental Obsession: Sheng Xiao Sanctuary

 

Oriental Obsession è il tema su cui è incentrata la decima edizione di Firenze4Ever: un leit motiv che dà adito a numerose interpretazioni nelle quali l’ ispirazione asiatica funge da fulcro catalizzatore di tutto un mondo di tendenze. E’ così che la Oriental Obsession si insinua in modo inesorabile anche nel settore Home di Luisa Via Roma, dando luogo a una sofisticata iconografia che mixa, in una personalissima chiave di lettura, fashion photography, sperimentazione artistica e design rivisitando l’ oroscopo cinese  (Sheng Xiao) in immagini di forte impatto. Protagonisti di Sheng Xiao Sanctuary, lo shooting realizzato da Ruggero Lupo Mengoni per lo styling di Valentina Guidi Ottobri, sono sei segni tratti dallo zodiaco orientale che esercita maggior fascino ed interesse presso ogni  cultura: il Cavallo, la Tigre, il Drago, il Gallo, la Scimmia e il Maiale. Ogni scatto si tramuta in opera d’arte nella quale lo Sheng Xiao si rivela in una raffinata simbologia che pervade interni luxury, armoniosamente adornati di una miscela di texture, stampe e materiali. I sei segni zodiacali, alternandosi nelle immagini, affiorano in un’ oggettistica preziosa e permeano di esotismo l’ home décor creando uno straordinatio connubio tra design contemporaneo e fasti dell’ antico Oriente.

 

 

La Tigre, competitiva e imprevedibile, è per natura protagonista nello stesso modo in cui un tappeto Nanimarquina diviene il focus di un’ intera stanza. I nati sotto il segno del Cavallo, adorano essere al centro dell’ attenzione e possedere una audience personale da poter, di volta in volta, sorprendere e deliziare: caratteristica che viene perfettamente incarnata da una scultura bronzea a tema equestre di Frilli Gallery. L’essenza del Drago, unico animale immaginario dello Sheng Xiao, viene preziosamente colta nei ricercati piatti dorati di Versace Home. La Scimmia, nono segno dello zodiaco cinese, è dotata di un senso dell’ umorismo innato e di viva intelligenza, adora fare scherzi agli ospiti e mettere in evidenza il suo spirito brillante: le scimmie in ceramica di Ceramiche Pugi ne riflettono squisitamente l’ essenza, donando all’ ambiente un tocco di sofisticata vivacità. Il Gallo vigila con solenne imponenza in una scultura in ceramica artistica firmata Bellini Sara,  mentre il Maiale vede tradotta la propria bonaria diligenza in un armadio in legno Seletti. A far da cornice ai sei scatti, un mood dal forte retrogusto d’ Oriente che sembra calare l’ ambiente nella Cina delle antiche dinastie e nel Giappone delle Case da Thè, dando vita ad atmosfere d’ impatto contraddistinte da un’ onirica visionarietà.

 

 

Valentina Guidi Ottobri, ideatrice e stylist dello shooting, è nata a Firenze nel 1988. Figlia di un architetto anticonformista e discendente da una famiglia di collezionisti di arte moderna e contemporanea da svariate generazioni, respira arte sin da bambina sviluppando un potente senso estetico. Il suo CV professionale vanta un’ esperienza in Bottega Veneta a cui fa seguito un suo trasferimento a Mumbai, dove assume l’ incarico di stylist per Marie Claire India. Attualmente, è la nuova manager della divisione Home di Luisa Via Roma e si occupa, oltre che di un’ accurata selezione dei prodotti per l’azienda, dello sviluppo di progetti editoriali che uniscono  moda ed interior design in modi completamente inediti. Il suo lavoro è stato pubblicato in varie riviste internazionali tra cui Vogue, Nylon, Interview Magazine, Elle e Flair, solo per citarne alcune. Fondatrice di Brilliantartgallery (www.brilliantartgallery.tumblr.com), Valentina cura inoltre mostre a livello internazionale e realizza campagne pubblicitarie per svariati brand nei settori della moda e del design.

 

 

 

 

Sheng Xiao Sanctuary

Credits:

Photography: Ruggero Lupo Mengoni

Styling: Valentina Guidi Ottobri

Make Up: Alessandra Poli

Hair: Rosanna Campisi @Rock & Rose

Model: Haijin Ye @2morrow Model Management

 

“Làgrimas de Filigrana”: la Spagna profonda di Diego Diaz Marin

 

“Es mi problema”. Le parole si srotolano senza sosta, ritmiche e cadenzate, come in un poema. Fluide e  ipnotiche, alternando frasi consequenziali e contrastanti. Frammenti evocativi sciorinati in un continuum che la punteggiatura, anzichè arrestare, infittisce. Un inizio e un titolo perfettamente identici donano forza e impatto semantico al concetto,  ribadendolo come il refrain di una canzone: sono i fluenti versi di Brenda Germade ad introdurre la photostory che Diego Diaz Marin ha ambientato nelle location “infuocate” della Spagna più profonda. Quella Spagna del Sud pervasa, in ugual modo, di drammi e passioni sotto un sole cocente. Quella Spagna dei potenti emblemi della tradizione. Quella Spagna pittoresca, folkloristica e intrisa di duende che si  esprime  tra un tablao, una plaza de toros e una sevillana . Di quella Spagna Diego Diaz Marin – il talentuoso fashion photographer andaluso che i lettori di VALIUM conoscono ormai bene – riprende i simboli per offrirne una contemporanea chiave di lettura, accentuandone le sfumature in cromie vibranti che traducono la quintessenza di un paesaggio fisico e morale. All’ orizzonte di un panorama brullo, inaridito dal sole, si staglia la meravigliosa scenografia naturale di un cielo turchese ed abbagliante: un azzurro terso, vivido, pronto a diluirsi in infinite nuance di viola nel momento in cui il tardo tramonto del sud tinge di tonalità intense emozioni e sensazioni, amplificandole a dismisura.

 

 

 

 

Lagrimas de filigrana, il titolo dello shooting, si insinua nel racconto tessendo una preziosa trama: in arabeschi sottili di pathos condensa un mood struggente e passionale come la melodia impregnata di vento, naturaleza e sabbia di un cante jondo. La sagoma di un toro enorme incombe sullo sfondo, tanto nera quanto gli abiti che indossa la novella Carmen di Diaz Marin: pizzi, veli e trasparenze vengono alternati ad un gilet da torero portato sulla pelle nuda, come la gonna dallo spacco inguinale. Con i capelli pettinati a crocchia nel più puro stile flamenco, l’ eroina del racconto si circonda di accessori in cui rivive il cuore dell’ essenza de Espana: cappello nero, garofani color rosso fiammante e banderillas sono le armi con le quali affronta la tradizione di un’iconografia gloriosa, in una sfida che vedrà entrambe vincenti.

 

 

 

 

 

 

 

Scintillano su questi ritratti di sensuale atmosfera i gioielli Schield, evocativi e scenografici, imprescindibili dettagli che enfatizzano la personalità della muchacha con straordinario impatto. E mentre il toro si sfida – sdrammatizzandone la presenza con una danza nei paraggi delle enormi zampe – oppure si sfugge – in un abito di un arancio vibrante che sostituisce, con ironia, il rosso d’ordinanza – a sorpresa appare il compare fedele del campesino: l’ asinello nero delle terre brulle, sul quale il long dress immacolato e geometrico della protagonista si staglia a contrasto.

 

 

 

 

 

La sera cala veloce e il cielo si tinge di viola, in gradazioni sempre più intense. Suggestioni urbane e campestri si fondono, niente affatto stridenti, nella voluminosa pelliccia rosa di una Carmen votata al glamour seduta a pochi passi dalla  capanna del toro. E’ l’ ora de las copas e de las tapas : alla protagonista non rimane che approssimarsi alla decappottabile con la quale ha compiuto il viaggio. A modo suo, libera, senza vincolo alcuno, seguendo la scia del tramonto. In un total black che alla sensualità di una vertiginosa scollatura contrappone il pizzo fitto della mantiglia la protagonista si sdoppia, si triplica, come ad incarnare quelle bambole fatte in serie e vestite di abiti tradizionali che vengono vendute nei souvenir shop de La Rambla. E’ l’ ultimo atto di un’ avventura caliente che ha rivelato, in controluce, tutto il valore intrinseco di una preziosa trama filigranata: dalle lacrime poco drammatiche, e molto giocose.

 

 

 

 

 

Story & Words (Es mi problema): Brenda Germade – Photos: Diego Diaz Marin – Stylist: Yolanda Quintas – Model: Pati Vaquerizo – Hair & Make Up: Coello Casado – Making Off: Dani Germade.

“Raiders of Beauty”: Diego Diaz Marin per Luisaviaroma

 

Due donne, due amiche – come lascia presagire l’ intimità che le lega – immerse negli straordinari colori, riflessi e giochi di luce del Parco Stibbert, a Firenze, che regala scorci paesaggistici e architettonici dalla suggestività unica ma anche densi di un tocco di profuso mistero: è qui che il fashion photographer Diego Diaz Marin ambienta il suo recente shooting per Luisaviaroma, celeberrimo rivenditore on line di moda che annovera tra le sue proposte le collezioni dei più prestigiosi fashion designer italiani ed internazionali. La location, valorizzata da sfondi preziosamente insoliti come il tempietto egizio (fatto realizzare da Stibbert tra il 1862 e il 1864, nel pieno dell’ “egittomania” artistica) lascia trapelare il quid enigmatico, e al tempo stesso venato di incanto,  che svariati lavori del talentuoso fotografo spagnolo esprimono, concentrandolo in particolare nelle magnetiche (quanto contorte) personalità delle protagoniste. Diaz Marin, dopo la nomina al Photography Award del Cannes International  Festival of Photography, riallaccia la sua ricerca ai  leit motiv del colore e dei suoi contrasti, degli scatti pervasi da una luminosità “a tinte forti”, in un magico ed incisivo amalgama che fonde moda e genialità creativa. La sua passione per l’azzurro – vibrante, “acquatico”, che vira quasi al verde – riaffiora anche in questo shooting, “imbevendo” letteralmente alcune immagini e calandole in una luce vagamente irreale. In un sapiente gioco di contrasti l’ azzurro si affianca al rosso, “accendendolo”, dona risalto al nero e fa brillare i bijoux indossati dalle modelle.  Riappare anche il fucsia, che riallaccia cromaticamente i motivi decorativi di un cancello sullo sfondo ai dettagli fashion e ad un manto steso al suolo. L’ “imprinting” della palette paesaggistica dei luoghi natii, quella Torre del Mar affacciata sul Mediterraneo e intrisa di un mix di luminosità, vivide nuance e passionalità andalusa, nell’ opera di Diego Diaz Marin rimane una costante: il punto di partenza di una ricerca artistica che ne approfondisce i caratteri in una serie di affascinanti ed incantevoli diramazioni.

 

 

LUISAVIAROMA – RAIDERS OF BEAUTY

August 8, 2014

The age-old exploration of power and beauty goes beyond the walls of modern society this season, creating a world apart, lit by the golden gleams of Moschino, Anton Heunis and Mercantia. Dolce & Gabbana turns the key and opens the door to a mystical kingdom where gardens hold secrets for fearless explorers. Schield crows fight in glorious fury and the light beating of fringed accessories takes on a hypnotic air when treading ancient ground. Wrapped in futuristic furs like Emanuel Ungaro’s geometric design, the most timeless adventurers know that to step into the future they must discover the past.

 

 

 

 

 

 

 

 

Photography: Diego Diaz Marin

Styling: Valentina G.Ottobri

Make-up: Jacopo Nucciotti

Hair: Nino Maiorana

Special thanks to Parco Stibbert, Florence

 

‘Guillermina’: un photofilm di Diego Diaz Marin

 

Una donna, Guillermina. Una storia reale intrecciata alle percezioni visionarie di una preudorealtà. Un thriller che si snoda attorno alla passione ed all’anima. Il personale “triduo pasquale” di una donna che ha ucciso, che tenta di morire e poi risorge con lo sfondo di una Andalusia sensuale e torrida, dai colori intensi, che alterna zone brulle a una vegetazione simil-tropicale. Un luogo in cui anche la morte, nei piccoli cimiteri bianchi e disseminati di fiori coloratissimi, nei crocifissi profusi e ostentati, accanto ai mazzi di gerani rossi che risaltano su un  turchese intenso,  si tramuta in un paradiso terreno di folkloristica suggestività.

Il fashion photographer Diego Diaz Marin ambienta il suo photofilm a Torre del Mar, sua città natale, della quale conserva perennemente impressi l’ incredibile luce e i vividi colori. Il titolo dello shooting, Guillermina, è un omaggio al nome di sua madre. Passionale, emotiva, vibrante, Guillermina – interpretata dalla modella Fabiola Gomez – è eccessiva e irruenta, si muove sospinta da un istinto di spettacolarità quasi teatrale: cerca la morte, ma alla fine troverà la vita. Una vita salvifica e rigenerante, una vera e propria risurrezione. Una fuga dal suo passato – e dalla “precedente” sè stessa – immersa nella luminosità a tinte forti della caliente Spagna del Sud.

 

“Ahi, quanto mi costa amarti come ti amo!” (Federico  Garcia Lorca, “E’ vero”)

 

 

La terra color cioccolato, il cielo di un azzurro che stordisce, un cadavere da celare nelle viscere più profonde della terra. La pala in mano, Guillermina scava instancabile affinchè il sottosuolo inghiottisca il suo delitto.

 

 

 

 

La fuga, per dimenticare: ma si può fuggire da sè stesse? La fuga e il crocifisso, invocare il perdono o crocifiggersi per il senso di colpa sono sensazioni, stati d’animo, impulsi che convivono in Guillermina in un turbine caotico e indisciplinato.

 

 

 

La pietas divina, il capo coperto come le anziane che da bambina vedeva assistere alla Messa, l’ abito nero…Il Cristo crocifisso che incarna una religiosità  viscerale, totalizzante, intrisa del concetto di espiazione. La religiosità che odora di incenso delle suggestive processioni del Sud, occhi femminili seminascosti dietro le grate delle finestre del patio mentre osservano la statua della Vergine che sfila seguita da uno sciame di donne nerovestite.

 

 

 

 

 

La disperazione, il pentimento, il tormento: il dolore di Guillermina esplode travolgente, teatrale, confondendo i suoi confini sinceri. E se il suicidio fosse la vera via di fuga? Si vede già morta: il suo cadavere accanto all’ acqua limpida e turchese di una piscina, in un sarcofago galleggiante su uno specchio d’acqua purificatrice. Gerani di un rosso vibrante di sensualità gettati sul corpo a ricordare che la passione è, al tempo stesso, vita e morte.

 

 

 

La morte: vagheggiata, apparente, simbolica. La morte che fa rinascere. Quella che negli sperduti cimiteri di campagna viene esorcizzata e confusa tra i fiori colorati che adornano tombe come  scolpite nel marzapane…Tracce di vita che annullano la perdita.

 

 

La morte e la risurrezione: una Pasqua metaforica e rigenerante, che dall’ annullamento esistenziale più profondo genera una nuova vita.  Guillermina risorge lasciandosi alle spalle il luogo della morte per eccellenza. In mano, stringe il mazzo di garofani rossi:

“Il mio cuore come una serpe si è spogliato della sua pelle, e la tengo fra le mie dita piene di ferite e di miele.”  (Federico Garcia Lorca, “Cuore nuovo”)