Il viandante

 

“Puerto de Pollensa. Illa d’Or. Le case riposavano quiete nell’aria immobile, ciascuna avvolta in un delicato velo di fumo. Il viandante annega nella loro sfera come in anelli d’incenso, poiché il legno odoroso del pino montano alimenta la fiamma dei focolari. Il piacere che si prova in queste passeggiate solitarie è dovuto certamente anche al fatto che chi le compie omnia sua secum portat, come voleva il filosofo Biante. La nostra coscienza ci accompagna come uno specchio sferico, o meglio come un’aura il cui centro siamo noi. Le belle immagini penetrano in quest’aura e in essa subiscono un mutamento atmosferico. Così, noi passiamo oltre un cielo di segni come sotto aurore boreali e arcobaleni. Questo squisito sposalizio con il mondo, seguito da un nobile evento di riproduzione, fa parte dei supremi piaceri a noi destinati. La terra è la nostra eterna madre e donna, e come ogni donna fa, anch’essa dona qualcosa alla nostra ricchezza.” 

(Ernst Jünger, da “Percorsi balearici”)

Iperborea: viaggi di carta tra il Nord e il mondo

 

Ci sono editori che pubblicano libri, e altri che costruiscono geografie interiori. Iperborea appartiene a questa seconda categoria: è una casa editrice indipendente che, dal 1987, ha scelto di portare in Italia la voce del Nord Europa, e poi di espandere il proprio sguardo fino a toccare il mondo intero. Fondata a Milano da Emilia Lodigiani, Iperborea ha iniziato il suo cammino esplorando le letterature scandinave, baltiche, islandesi, nederlandesi e tedesche con una cura editoriale che ha sempre privilegiato la qualità, la profondità e la bellezza. I suoi libri, alti e snelli come alberi nordici, sono diventati riconoscibili per forma e contenuto: un’estetica che invita alla lentezza, alla contemplazione, alla scoperta. Il nome della casa editrice, d’altronde, è tutto un programma. Iperborea era una leggendaria terra della mitologia greca; una terra lontana, idilliaca, situata molto più a Nord dell’Ellade eppure assolata sei mesi su dodici.  Del popolo che la abitava, gli Iperborei, dissertatono storici, poeti e filosofi del calibro di Ecateo, Esiodo, Pindaro e Erodoto, che descrivendo Iperborea magnificò le piume che volteggiavano nella sua atmosfera.

 

 

Ma torniamo alla casa editrice milanese. Gli Iperborei, la sua collana storica, raccoglie autori classici e premi Nobel, ma anche voci contemporanee che raccontano il presente con sguardo lucido e poetico. Dal 2017, i Miniborei portano queste atmosfere ai lettori più giovani, con storie e illustrazioni che parlano di neve, sogni e creature gentili. Le strisce dei Mumin di Tove Jansson, con la loro tenerezza filosofica, completano questa proposta per l’infanzia.

 

 

Iperborea, però, non si è fermata al Nord. Con il tempo ha aperto le sue pagine a tutto il mondo: oggi pubblica libri che raccontano la Cina, la Spagna, il Brasile, la Francia, il Tibet… sempre con lo stesso desiderio di ascoltare, comprendere, narrare. The Passenger, nato nel 2018, è un libro-magazine che raccoglie reportage, saggi e inchieste letterarie su paesi, città e culture. Tradotto in più lingue e distribuito globalmente, è diventato un atlante umano del nostro tempo.

 

 

Dal 2021, in collaborazione con Il Post, è nata la serie COSE Spiegate bene, che approfondisce temi di attualità con una serie di infografiche, articoli e illustrazioni accattivanti. Nel 2023 è apparsa L’Integrale, una rivista-libro che, dedicandosi al mondo del cibo e della cultura enogastronomica, intreccia giornalismo e letteratura. Nello stesso anno è stata fondata anche la collana I Corvi, focalizzata sulla saggistica narrativa: uno spazio per pensare, interrogarsi, viaggiare con la mente. E poi c’è I Boreali, il festival che dal 2015 porta la cultura nordica in Italia, con eventi, incontri, letture e momenti di condivisione. Un’occasione per vivere dal vivo ciò che i libri suggeriscono: il dialogo tra mondi, la bellezza delle differenze, la forza delle storie.

 

 

Come lettrice, mi sono spesso ritrovata tra le pagine di Iperborea. Alcuni libri mi hanno fatto riflettere sul senso dell’identità, altri mi hanno accompagnato nei giorni di vacanza, altri ancora mi hanno fatto viaggiare in tutto il mondo senza muovermi da casa. Ogni titolo è stato un compagno, un paesaggio, una voce. Proprio per questo penso che scrivere di Iperborea è come scrivere di un’amicizia: una relazione fatta di ascolto, stupore e riconoscenza. Tra le tante letture che mi hanno accompagnata, alcuni titoli brillano ancora nel mio cuore. Non serve commentarli tutti: basta nominarli, e già evocano paesaggi, emozioni, stagioni interiori.

 

 

Grazie a Iperborea ho viaggiato “Verso Santiago” insieme a Cees Nooteboom, esplorando la Spagna più profonda e autentica in un pellegrinaggio tra sogni, rovine e paesaggi che diventano luoghi dell’anima, ma ho anche conosciuto la “Pioggia rossa” del Sahara che cade sull’isola di Minorca. Ho conosciuto Selma Lagerlöf, la prima donna Premio Nobel della storia (che vinse nel 1909 per la Letteratura), e i suoi racconti natalizi preziosi come cristalli di neve: fiabe nordiche che scaldano il cuore e accendono la fede nei piccoli miracoli. Ho letto “Le Mille e una Notte” riscritto da Kader Abdolah, addentrandomi nei labirinti incantati in cui si muovono califfi, schiave, affascinanti principesse, jinn e visir. Mi sono lasciata ammaliare dall’isoletta finlandese che Tove Jansson descrive ne “Il libro dell’estate”, dove una nonna e una bambina, tra silenzi e tempeste, imbastiscono il dialogo più vero sulla vita e il lasciarsi andare. Ho letto antiche fiabe danesi, finlandesi e della terra dei sami con il cuore pieno di meraviglia. Ho esplorato la Cina della rivoluzione culturale che Tania Branigan, nel suo “Memoria Rossa”, fa rivivere attraverso una serie di testimonianze. Ma sulle ali di Iperborea ho anche avuto l’opportunità di vagare tra le stelle, la magnificenza del cosmo e le contraddizioni umane: “La commedia cosmica” di Frank Westerman mi ha fatto sentire piccola e infinita al tempo stesso.

 

 

Tra le pagine di Iperborea ho trovato stagioni, stelle, fiabe e domande: ogni libro è stato un passo di uno splendido viaggio.

Foto via Unsplash

Marmellata oggi

 

“È una marmellata ottima», disse la regina. «Tanto oggi non ne voglio.» «Anche se tu ne avessi voluta, non avresti potuto averne», ribatté la regina. «La regola è marmellata domani e marmellata ieri, ma non marmellata oggi. «Ma prima o poi ci potrà essere marmellata oggi!», obiettò Alice. «No.» replicò la Regina. «La marmellata c’è negli altri giorni; e oggi non è un altro giorno, come dovresti sapere.» «Non vi capisco» disse Alice. «È spaventosamente confuso.» ”

(Lewis Carroll, da “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”)

Agosto in città

 

” Agosto é bello starsene a casa con la cittá vuota e nessun rompiballe in giro, magari arrivi che senti la tua solitudine farsi pesante ma é un gioco diverso ed essere soli fa molto piú male in mezzo alla gente, allora sí che é davvero doloroso e pungono le ossa e il respiro é davvero brutto, come vivere un trip scannato e troppo lungo. Ma Agosto é bello starsene soli in cittá, prendere l´auto e girare fino al mattino spingendosi pieni di alcool verso la montagna che tutto é uno scenario disteso e silenzioso e passi col rombo dell’auto come al cinema, uscendo dal quadro un attimo dopo esservi entrato e non si rovina nulla. La via Emilia é la dorsale di questo mio agosto inquieto e torpido, selvatico e morbido. Stasera mi sono messo in macchina lasciando il gigi a sonnechiare, menomale che la faccenda di Bombay é morta lí. Ora non voglio muovermi, soltanto scorrazzare la notte in questa prateria. E la scomessa e´venuta da sé. I bar tra Reggio e Parma, ventuno? No, trentatré.” 

(Pier Vittorio Tondelli, da “Altri libertini”, Feltrinelli 1980)

 

Le vacanze

 

“Ah, le vacanze! Perché ci lasciano dei rimpianti? Perché non possiamo ricacciarle indietro nella nostra memoria d’una settimana o due, tanto da riportarle a un tratto a quella giusta distanza donde possono essere guardate o con calma indifferenza o con un piacevole sforzo di rievocazione? Perché ci aleggiano intorno come la fragranza del vino di ieri, con un vago sentore di mal capo e di stanchezza, e come quelle buone intenzioni per l’avvenire, che formano giù negli abissi il lastricato permanente d’un vasto dominio, e quassù durano di solito fino all’ora del desinare, un po’ più, un po’ meno?”

(Charles Dickens, da “La bottega dell’antiquario”, casa editrice Sonzogno, 1931)

 

L’aurora sulle colline

 

“Eravamo molto giovani. Credo che in quell’anno non dormissi mai. Ma avevo un amico che dormiva meno ancora di me, e certe mattine lo si vedeva già passeggiare davanti alla Stazione nell’ora che arrivano e partono i primi treni. L’avevamo lasciato a notte alta, sul portone; Pieretto aveva fatto un altro giro, e visto l’alba addirittura, bevuto il caffè. Adesso studiava le facce assonnate di spazzini e di ciclisti. Nemmeno lui ricordava i discorsi della notte: vegliandoci sopra, li aveva smaltiti, e diceva tranquillo: — Si fa tardi. Vado a letto.

Qualcuno degli altri, che ci trottava dietro, non capiva che cosa facessimo a una cert’ora, finito il cinema, finite le risorse, le osterie, i discorsi. Si sedeva con noi tre sulle panchine, ci ascoltava brontolare o sghignazzare, s’infiammava all’idea di andare a svegliare le ragazze o aspettare l’aurora sulle colline, poi a un nostro cambiamento di umore tentennava e trovava il coraggio di tornarsene a casa. L’indomani costui ci chiedeva: — Che cos’avete poi fatto? — Non era facile rispondergli. Avevamo ascoltato un ubriaco, guardato attaccare i manifesti, fatto il giro dei Mercati, visto passare delle pecore sui corsi. Allora Pieretto diceva: — Abbiamo fatto conoscenza con una donna.

L’altro non ci credeva ma restava interdetto. “

Cesare Pavese, da “Il diavolo sulle colline”, in “La bella estate” (Einaudi, 2021)

 

Le nature invernali

 

400. Vantaggio della privazione.
Chi vive sempre nel calore e nella pienezza del cuore e per così dire nell’aria estiva dell’anima, non può immaginarsi il misterioso rapimento che afferra le nature più invernali, che vengono eccezionalmente toccate dai raggi dell’amore e dal tiepido soffio di un solatio giorno di febbraio.

(Friedrich Nietzsche, da “Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi, II”)

 

Pattinaggio su ghiaccio

 

“Qui corre voce che siate il miglior pattinatore — disse lei, scotendo con la piccola mano inguantata gli aghi di brina che si erano posati sul manicotto.
— Già, una volta pattinavo con passione; volevo raggiungere la perfezione.
— Voi fate tutto con passione, a quanto pare — disse lei sorridendo. — Ho tanta voglia di vedere come pattinate. Mettetevi i pattini e andiamo a pattinare insieme.
“Pattinare insieme? È mai possibile?” pensò Levin guardandola.
— Me li infilo subito — disse.
E andò a mettersi i pattini.”

(Lev Tolstoi, da “Anna Karenina”)

 

Inverno: scivolare sul ghiaccio disegnando sinuosi arabeschi, imprimere la propria danza sulla lastra cristallina, squarciare con il rosso il bianco imperante. Il corpo piroetta, volteggia con flessuosità acrobatica, si muove con leggiadra soavità. In un bosco ammantato di neve fresca, solo i sempreverdi assistono al valzer armonico che intrecciano l’uomo e la natura. Mentre le lame dei pattini incidono la loro dichiarazione d’amore sul suolo congelato di Gennaio.

 

Foto: Cottonbro Studio via Pexels

 

L’odore dell’inverno

 

“Il cielo era dapprima sereno e calmo. I merli cantavano. Nella palude vicina s’udiva il grido lamentoso di un essere animato; sembrava che qualcuno soffiasse in una bottiglia vuota. Passò una beccaccia, uno sparo rim­bombò attraverso l’aria primaverile e svegliò un’eco gioiosa. Poi il bosco s’oscurò. Un ven­to freddo, frizzante, inopportuno, che veniva da Oriente, fece ammutolire ogni cosa. Sulle pozze d’acqua si formarono dei ghiaccioli; il bosco prese un aspetto triste, tetro, inospita­le. Si sentiva l’odore dell’inverno.”

(Anton Čechov, dal racconto “Lo studente”, in “Tutte le novelle. Lo studente”, Biblioteca Universale Rizzoli, 1956)

 

La forma

 

“L’uomo piglia a materia anche se stesso, e si costruisce, sissignori, come una casa. Voi credete di conoscervi se non vi costruite in qualche modo? E ch’io possa conoscervi se non vi costruisco a modo mio? E voi me, se non mi costruite a modo vostro? Possiamo conoscere soltanto quello a cui riusciamo a dar forma. Ma che conoscenza può essere? È forse questa forma la cosa stessa? Sì, tanto per me, quanto per voi; ma non così per me come per voi: tanto vero che io non mi riconosco nella forma che mi date voi, né voi in quella che vi do io; e la stessa cosa non è uguale per tutti e anche per ciascuno di noi può di continuo cangiare, e difatti cangia di continuo. Eppure, non c’è altra realtà fuori di questa, se non cioè nella forma momentanea che riusciamo a dare a noi stessi, agli altri, alle cose. La realtà che ho io per voi è nella forma che voi mi date; ma è realtà per voi e non per me; la realtà che voi avete per me è nella forma che io vi do; ma è realtà per me e non per voi; e per me stesso io non ho altra realtà se non nella forma che riesco a darmi. E come? Ma costruendomi, appunto.”

(Luigi Pirandello, da “Uno, nessuno e centomila”, libro secondo, XI, 1926)