Yule, il Solstizio d’Inverno degli antichi Celti, e le sue tradizioni

 

Le giornate sono brevi
Il sole una scintilla
stesa sottile tra
buio e buio.
(John Updike)

 

E’ arrivato l’Inverno. E l’ha fatto silenziosamente, mentre tutti dormivano: erano le 4,27 di stamattina quando è entrato ufficialmente. Oggi è il giorno più corto dell’anno, quello che i popoli germanici della tradizione pre-cristiana chiamavano Yule. Le vibrazioni cosmiche sono potenti, quasi palpabili, come per renderci partecipi di questo importante momento di trasformazione: l’oscurità è al suo apice, ma già da domani comincerà gradualmente a lasciar spazio alla luce. L’atmosfera sospesa ci invita ad assaporare attimo per attimo l’arrivo dell’Inverno astronomico. Gli antichi popoli hanno sempre celebrato la nascita del “nuovo Sole”: basti pensare ai romani e al Dies Natalis Solis Invicti, “invitto” sulle tenebre imperanti, o alla ricorrenza celtica di Yule, dove si festeggiava il Sole Bambino. Sia il Dies Natalis Solis Invicti che Yule cadevano in un periodo compreso tra il 22 e il 25 Dicembre (il calendario Giuliano fissava il Solstizio proprio in questa data), quando il Sole, nell’emisfero Nord, sembra fermarsi nel bel mezzo del cielo. “Solstizio” deriva infatti dal latino “Solstitium”, un termine che unisce “sol” (sole) e “sistere” (fermarsi). Dal punto di vista astronomico significa che il Sole, nel suo moto apparente lungo l’ellittica, raggiunge il punto di declinazione minima. Ma anche se il Solstizio sancisce la nostra massima distanza dall’astro infuocato, possiamo assaporare la magia di questi momenti nella consapevolezza della sua rinascita. Dopo la notte più lunga dell’anno il Sole tornerà a sorgere e ci regalerà, giorno dopo giorno, dei minuti di luce in più.

 

 

Tornando a Yule, la festa celtica del Solstizio di cui VALIUM ha già parlato tante volte (rileggi qui uno degli articoli), è interessante esaminare alcuni rituali giunti fino ai giorni nostri che, molto spesso, fanno parte delle tradizioni del Natale. L’albero solstiziale, ad esempio, era un abete (sempreverde simbolo di immortalità rispetto al gelo invernale) che veniva decorato con un tripudio di campanelli e mini rappresentazioni del Sole. In cima all’albero, a mò di puntale, svettava una stella a cinque punte, emblema dei cinque elementi della natura. L’albero veniva allestito rigorosamente all’interno delle case per offrire un rifugio agli spiriti che popolavano la foresta. Il ceppo di Yule, anche questo un argomento trattato approfonditamente da VALIUM (rileggi qui l’articolo che gli ho dedicato), veniva acceso a Yule utilizzando un grosso ciocco di quercia. Le famiglie lo bruciavano nel camino della propria casa per allontanare le entità maligne che si nascondevano nell’oscurità. Prima di compiere questo rito, però, al ceppo venivano legati i rametti di alcune piante dalla valenza simbolica: l’edera, associata al dio del Solstizio; l’agrifoglio, che incarnava l’anno che volgeva al termine; il tasso, emblema della morte dell’anno; la betulla, rappresentazione del nuovo inizio e delle nuove vite. I rametti dovevano essere annodati al ceppo con un nastro rigorosamente rosso, e il ceppo si accendeva usando il tizzo che risaliva all’anno prima. Il ceppo di Yule veniva lasciato ardere l’intera notte e si riaccendeva la sera dopo, un rituale che andava compiuto per dodici giorni di seguito. Infine, le ceneri si spargevano in giardino per proteggere le piante (allontanano i parassiti) e scongiurare la negatività.

 

 

Il ramo dei desideri era un’usanza che consisteva nell’appendere un ramo di grandi dimensioni nell’atrio della propria dimora. Ciò veniva fatto nove giorni prima di Yule dopo aver effettuato ulteriori operazioni: il ramo doveva essere tinto di vernice dorata e decorato con nastri di carta rossa. Tutte le persone che avrebbero varcato la soglia di casa potevano esprimere un desiderio trascrivendolo sui nastrini di carta, che poi venivano accuratamente ripiegati e legati al ramo. La sera del Solstizio, una volta acceso il focolare, si lasciava ardere anche il ramo dei desideri: il fumo avrebbe raggiunto gli dei, che forse li avrebbero esauditi.

 

 

I Celti consideravano il vischio di quercia una pianta sacra, tant’è che aveva la facoltà di raccoglierlo solo il Sommo Sacerdote servendosi di un falcetto d’oro. I Druidi, successivamente, lo immergevano in una bacinella dorata ricolma d’acqua che distribuivano al popolo: al vischio, magico in quanto cresceva su rami e tronchi di molti alberi pur essendo privo di radici ed emblema di immortalità in quanto sempreverde, si attribuivano portentose proprietà guaritrici. La quercia, per i Celti, era un simbolo della presenza divina sulla terra. E sulla quercia si scagliava frequentemente la folgore, il che collimava con la credenza che il vischio scendesse dal cielo insieme ai lampi, emblemi  della discesa sul suolo terrestre delle divinità. Alle sue virtù guaritrici si aggiungevano quelle propiziatorie, associate alla fertilità (dato il suo aspetto simile allo sperma) e al buon auspicio. Non è un caso che il vischio sia onnipresente a tutt’oggi tra le decorazioni natalizie: attirerebbe l’abbondanza e la fecondità, prova ne è il fatto che gli innamorati usano baciarsi sotto il vischio in segno beneaugurale.

 

 

L’agrifoglio, per i Celti d’Irlanda, si legava al Solstizio poichè le ghirlande che venivano realizzate con questa pianta erano un’emblema della ruota dell’anno. Nell’ “isola di smeraldo”, a Natale, vige tuttora l’usanza di decorare le case con molteplici ghirlande di agrifoglio; la tradizione vuole che si rompano e si lancino all’esterno della casa dopo le feste per rappresentare il termine delle tenebre e la rinascita della luce.

 

 

Auguro un Buon Solstizio d’Inverno a tutti e mi raccomando, non dimenticate di accendere molte candele in casa: la fiamma che balugina nel buio è un omaggio alla luce che rinasce, a poco a poco, nell’oscurità.

 

 

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