Pattinaggio su ghiaccio

 

“Qui corre voce che siate il miglior pattinatore — disse lei, scotendo con la piccola mano inguantata gli aghi di brina che si erano posati sul manicotto.
— Già, una volta pattinavo con passione; volevo raggiungere la perfezione.
— Voi fate tutto con passione, a quanto pare — disse lei sorridendo. — Ho tanta voglia di vedere come pattinate. Mettetevi i pattini e andiamo a pattinare insieme.
“Pattinare insieme? È mai possibile?” pensò Levin guardandola.
— Me li infilo subito — disse.
E andò a mettersi i pattini.”

(Lev Tolstoi, da “Anna Karenina”)

 

Inverno: scivolare sul ghiaccio disegnando sinuosi arabeschi, imprimere la propria danza sulla lastra cristallina, squarciare con il rosso il bianco imperante. Il corpo piroetta, volteggia con flessuosità acrobatica, si muove con leggiadra soavità. In un bosco ammantato di neve fresca, solo i sempreverdi assistono al valzer armonico che intrecciano l’uomo e la natura. Mentre le lame dei pattini incidono la loro dichiarazione d’amore sul suolo congelato di Gennaio.

 

Foto: Cottonbro Studio via Pexels

 

L’odore dell’inverno

 

“Il cielo era dapprima sereno e calmo. I merli cantavano. Nella palude vicina s’udiva il grido lamentoso di un essere animato; sembrava che qualcuno soffiasse in una bottiglia vuota. Passò una beccaccia, uno sparo rim­bombò attraverso l’aria primaverile e svegliò un’eco gioiosa. Poi il bosco s’oscurò. Un ven­to freddo, frizzante, inopportuno, che veniva da Oriente, fece ammutolire ogni cosa. Sulle pozze d’acqua si formarono dei ghiaccioli; il bosco prese un aspetto triste, tetro, inospita­le. Si sentiva l’odore dell’inverno.”

(Anton Čechov, dal racconto “Lo studente”, in “Tutte le novelle. Lo studente”, Biblioteca Universale Rizzoli, 1956)

 

La forma

 

“L’uomo piglia a materia anche se stesso, e si costruisce, sissignori, come una casa. Voi credete di conoscervi se non vi costruite in qualche modo? E ch’io possa conoscervi se non vi costruisco a modo mio? E voi me, se non mi costruite a modo vostro? Possiamo conoscere soltanto quello a cui riusciamo a dar forma. Ma che conoscenza può essere? È forse questa forma la cosa stessa? Sì, tanto per me, quanto per voi; ma non così per me come per voi: tanto vero che io non mi riconosco nella forma che mi date voi, né voi in quella che vi do io; e la stessa cosa non è uguale per tutti e anche per ciascuno di noi può di continuo cangiare, e difatti cangia di continuo. Eppure, non c’è altra realtà fuori di questa, se non cioè nella forma momentanea che riusciamo a dare a noi stessi, agli altri, alle cose. La realtà che ho io per voi è nella forma che voi mi date; ma è realtà per voi e non per me; la realtà che voi avete per me è nella forma che io vi do; ma è realtà per me e non per voi; e per me stesso io non ho altra realtà se non nella forma che riesco a darmi. E come? Ma costruendomi, appunto.”

(Luigi Pirandello, da “Uno, nessuno e centomila”, libro secondo, XI, 1926)

 

I costumi di Halloween: la potenza delle suggestioni

 

Avete già deciso cosa indossare ad Halloween? Travestirsi, ormai, è qualcosa che non riguarda solo i bambini: sfoggiare un costume a tema è un must per chiunque partecipi a un party che si rispetti. Gli appassionati della vigilia di Ognissanti conosceranno tutti i classici del travestimento per quella ricorrenza; mummie, streghe, vampiri e idoli degli slasher sono inflazionatissimi. A meno che non li si reinterpreti con un tocco altamente personalizzato, potrebbero risultare banali. C’è poi da aggiungere che lo stile horror, se enfatizzato a dismisura, sconfina nel trash. Molto meglio puntare sul mistero, sulle suggestioni, sull’inquietudine. Evocare sensazioni tramite rimandi a fiabe gotiche, libri e film da brivido o stupire con accenti di inaspettata sensualità. In questa gallery vi propongo alcuni spunti, che potrete adottare in toto o rielaborare a vostro piacimento.

 

Il cigno nero

La Medusa

L’angelo del male

La dama del mistero

Mercoledì Addams

La dama nera

Cappuccetto Rosso

La strega del bosco

Il fantasma

La sposa cadavere

La dark lady

L’angelo candido

La donna lepre

La dama lacrimarum

La wicca

La viandante

La dama pop

 

Foto via Pexels, Pixabay e Unsplash

La notte

 

“Aprimmo la finestra al cielo notturno. Gli uomini come spettri vaganti: vagavano come gli spettri: e la città (le vie le chiese le piazze) si componeva in un sogno cadenzato, come per una melodia invisibile scaturita da quel vagare. Non era dunque il mondo abitato da dolci spettri e nella notte non era il sogno ridesto nelle potenze sue tutte trionfale? Qual ponte, muti chiedemmo, qual ponte abbiamo noi gettato sull’infinito, che tutto ci appare ombra di eternità? A quale sogno levammo la nostalgia della nostra bellezza? La luna sorgeva nella sua vecchia vestaglia dietro la chiesa bizantina.”

(Dino Campana, da “Canti orfici – La notte – II – Il viaggio e il ritorno”, 1914)

 

Tramonto incendiato d’Ottobre

 

“Il tramonto bruciava come uno di quegli incendi festosi e misteriosi nei quali le cose più comuni evocano, con i loro colori, oggetti preziosi o strani. L’ardesia del tetto splendeva come le penne di un enorme pavone, in ogni misteriosa tonalità di blu e di verde, e i mattoni rossastri del muro ardevano con la stessa forza con cui ottobre tinge di rubino e di bronzo i vini. Il sole sembrava accendere ogni oggetto con una fiamma di colore diversa, come se un uomo accendesse dei fuochi artificiali.”

(Gilbert Keith Chesterton, da “Uomovivo”, Morganti Editori)

Notturno Acquatico

 

 

“L’acqua non oppone resistenza. L’acqua scorre. Quando immergi una mano nell’acqua senti solo una carezza. L’acqua non è un muro, non può fermarti. Va dove vuole andare e niente le si può opporre. L’acqua è paziente. L’acqua che gocciola consuma una pietra. Ricordatelo, bambina mia. Ricordati che per metà tu sei acqua. Se non puoi superare un ostacolo, giragli intorno. Come fa l’acqua.”
(Margaret Atwood, da “Il canto di Penelope. Il mito del ritorno di Odisseo”. Ponte alle Grazie Editore)

 

Ritratto notturno con acqua. Luci al neon, bagliori e luccichii che sfavillano nel buio. Dove ci troviamo? In un club, in un locale, su un rooftop con piscina…Le opzioni sono molteplici, il senso di mistero unico e indescrivibile. Come il glamour che sprigionano le immagini. Oggi la rubrica dedicata ai libri, “Le Perle di Valium”, si fonde con il format della photostory dando origine a un connubio intriso di incanto. Enjoy it.

 

Foto: Olya Prutskova via Pexels

 

L’estate cala sulla Sicilia

 

” L’estate cala sulla Sicilia come un falco giallo sulla gialla distesa del feudo coperta di stoppe. La luce si moltiplica in una continua esplosione e pare riveli e apra le forme bizzarre dei monti e renda compatti e durissimi il cielo, la terra e il mare, un solo muro ininterrotto di metallo colorato. Sotto il peso infinito di quella luce gli uomini e gli animali si muovono in silenzio, attori forse di un dramma remoto, di cui non giungono alle orecchie le parole: ma i gesti stanno nell’aria luminosa come voci mutevoli e pietrificate, come tronchi di fichi d’India, fronde contorte di ulivo, rocce mostruose, nere grotte senza fondo. “

Carlo Levi, da “Le parole sono pietre” (Giulio Einaudi Editore)

 

 

New York ai miei piedi

 

“In teoria, avrei dovuto essere l’invidia di migliaia di ragazze come me di tutti i college d’America, le quali avrebbero dato chissà che cosa per trovarsi nei miei panni, anzi nelle scarpe di vernice numero sette che mi ero comprata da Bloodmingale’s nell’intervallo del pranzo, insieme a una cintura di vernice nera e a una pochette coordinata. E quando avessero visto la mia foto, sulla rivista per la quale noi dodici lavoravamo – bicchiere di Martini in mano, un corpino ridottissimo di lamè imitazione argento che spuntava da una gran nuvola di tulle bianco, su qualche terrazza sotto le stelle, circondata da un assortimento di anonimi giovanotti dalla struttura ossea americana al cento per cento, ingaggiati o presi in prestito per l’occasione – tutti avrebbero pensato: caspita, che vortice di mondanità. Lo vedi che cosa può succedere in America, avrebbero detto. Una ragazza vive per diciannove anni in un paesello sperduto, senza nemmeno i soldi per comprarsi una rivista, poi ottiene una borsa di studio per il college, vince un premio, poi un altro e finisce che ha New York ai suoi piedi, come se fosse la padrona della città. Peccato che io non ero padrona di niente, nemmeno di me stessa. Non facevo che trottare dall’albergo al lavoro ai ricevimenti e dai ricevimenti all’albergo e di nuovo al lavoro come uno stupido filobus. Sì, credo che avrei dovuto trovarla un’esperienza eccitante, come facevano quasi tutte le mie compagne, ma non riuscivo a provare niente. Mi sentivo inerte e vuota come deve sentirsi l’occhio del ciclone: in mezzo al vortice, ma trainata passivamente. Eravamo dodici in albergo. Tutte quante, con articoli, racconti, versi o pezzi pubblicitari, avevamo vinto il concorso organizzato da una rivista di moda il cui premio consisteva in un mese di praticantato a New York, completamente spesate, con in più montagne di buoni acquisto, biglietti per il balletto, inviti a sfilate di moda, sedute gratis da un famoso e costosissimo parrucchiere, occasioni per incontrare gente che aveva sfondato nel campo dei nostri sogni, nonchè lezioni di trucco personalizzate. (…) Io, a diciannove anni, non avevo mai messo il naso fuori dal New England, a parte quel mese a New York. Era la mia prima grande occasione e io cosa facevo? Stavo a guardare, lasciando che mi sfuggisse tra le dita come acqua. “

Sylvia Plath, da “La campana di vetro” (Mondadori, Oscar Moderni, traduzione di Anna Ravano)

 

Florigrafia: i fiori e il loro intrigante linguaggio

 

Che anche i fiori parlino, è risaputo. Il noto slogan “Ditelo con i fiori”, a tal proposito, è indicativo: ogni fiore veicola un messaggio, comunica qualcosa. Si associa, cioè, a un determinato significato simbolico. E attraverso la florigrafia, una disciplina diffusissima nell’ Ottocento, può sostituire le parole tramite l’accezione che viene data al suo colore e alla sua specie. I fiori sono stati collegati a specifici concetti sin dall’ epoca dell’antica Roma: esistevano tipologie di fiori con cui onorare le divinità, allontanare la sfortuna e propiziare la buona sorte. Durante il Medioevo e il Rinascimento, quella consuetudine andò evolvendosi e cominciò a identificarsi con nozioni morali da attribuire a ogni pianta. Il linguaggio dei fiori così come lo conosciamo oggi è stato introdotto in Europa da Mary Wortley Montagu, la consorte dell’ ambasciatore britannico a Costantinopoli. In alcune sue lettere date alle stampe nel 1763, Lady Mary Wortley Montagu raccontava di una tradizione turca denominata “selam”: i turchi, infatti, erano soliti associare una valenza emblematica a svariati fiori e frutti e agli arnesi più disparati. Ciò ha suscitato un immediato interesse nei confronti della suddetta usanza, che nell’età vittoriana ha conosciuto un vero e proprio boom.

 

 

Il linguaggio dei fiori, detto florigrafia, all’epoca iniziava ad essere legato ai sentimenti. Nell’Ottocento hanno cominciato a propagarsi i “flower books”, libri specificamente dedicati a quella disciplina, la cui grafica era un capolavoro di eleganza: incisioni, illustrazioni e litografie impreziosivano ogni pubblicazione, fornendo una sorta di validità scientifica alle convinzioni popolari che circondavano il mondo delle piante. In Europa era esplosa la passione per la florigrafia, e i libri a tema proliferavano letteralmente. Le opere più conosciute rimangono Abécédaire de flore, ou language des fleurs (1811) e Flowers: their Use and Beauty, in Language and Sentiment (1818), che hanno visto la luce rispettivamente in Francia e in Inghilterra. Il volume che ha però raggiunto una fama straordinaria è Les Language des Fleurs di Charlotte de Latour, dato alle stampe nel 1819. Pare che il nome dell’autrice fosse l’alias di Louise Cortambert, moglie di un noto bibliotecario parigino. Del libro, ricco di litografie botaniche ad opera dell’artista Pancrace Bessa, sono state realizzate molteplici ristampe e il successo che ha riscosso è stato enorme.

 

 

Oggi, alla florigrafia non si guarda più con molto interesse. Il linguaggio dei fiori è una disciplina conosciuta solo da pochi esperti. Eppure, soprattutto al momento di regalare un bouquet floreale, parecchi di noi si pongono il quesito del significato di quei fiori: alcuni sono piuttosto noti, altri meno, ma di solito un fioraio è in grado di fugare i nostri dubbi. Le rose, ad esempio, rimangono il fiore più ricco di significati simbolici. In molti sappiamo che la rosa rossa è un emblema di passione, la rosa rosa di amicizia e soavità, la rosa gialla di gelosia e quella bianca di purezza. Del significato di tantissimi altri fiori, invece, purtroppo non tutti sono a conoscenza. Ne cito qualcuno in ordine sparso: la lavanda indica sfiducia, il girasole solarità, il narciso amore non corrisposto, il myosotis (comunemente noto come nontiscordardime) vero amore, il bucaneve speranza, l’orchidea completa dedizione amorosa e il glicine amicizia. Sarebbe bello ricominciare ad appropriarsi delle valenze che si associano a ogni fiore, e iniziare a comunicare attraverso il linguaggio dei fiori tutte le volte che vogliamo: i messaggi sottili e raffinati che la florigrafia veicola risulterebbero, senza dubbio, molto più intriganti di qualsiasi contatto via web.

 

Illustrazioni via Pixabay