La colazione di oggi: tornano le arance, un must autunnale

 

A Novembre, puntuali, tornano a ravvivare il grigiore con il loro colore vibrante. Un colore che ha preso spunto dal loro nome, perchè è proprio alle arance che si ispira l’arancione. Proveniente dalla Cina e dall’Asia del sud-est, il Citrus Sinensis (questo il nome botanico dell’arancio, una pianta appartenente alla famiglia delle Rutacee) venne importato in Europa dai marinai portoghesi. Secondo alcuni studiosi il suo ingresso nel Vecchio Continente risalirebbe al XV secolo, mentre altri affermano che l’albero approdò in Italia, più precisamente in Sicilia, molto tempo prima grazie ai romani e passando per la Via della Seta. Nel IX secolo furono gli Arabi a reintrodurre l’arancio nell’isola, quando ebbe inizio la conquista islamica della Sicilia. Non è un caso che un frutto siciliano chiamato “melarancia” venga citato in più d’un libro della Roma antica: i tomi sono datati al I secolo d.C. E sempre nella città eterna, un arancio che San Domenico piantò intorno al 1200 fa bella mostra di sè nel chiostro del convento di Santa Sabina; tuttavia, non se ne conosce la provenienza. E’ certo, invece, che il termine “portogallo” equivalga a dire “arancia” in diverse lingue, tra cui il rumeno, il greco, l’arabo, l’albanese e l’italiano del 1800. Peraltro, il frutto del Citrus Sinensis prende il nome di “portogallo” in molti dialetti della nostra penisola: ciò sembra confermare, almeno apparentemente, la diffusione ad opera dei portoghesi della pianta.

 

 

Ma veniamo alle caratteristiche di questo frutto, tondeggiante e tinto di un vivace color arancio. Ha una forma sferica, una buccia spessa e increspata; la dolcezza dei suoi spicchi, succosissimi, contrasta con accenti aspri che ne rendono ancora più intrigante il sapore. Le arance cominciano a maturare a Novembre, mese in cui vengono raccolte le prime varietà. Un periodo ideale, considerando la loro efficacia nel prevenire i malanni della stagione fredda. Iniziare la giornata con delle arance, anche in versione spremuta, è un’ottima idea: regalano energia e sono ricche di vitamina C, un noto rafforzante del sistema immunitario. In più, contengono pochissime calorie e un indice glicemico talmente esiguo da permettere anche ai diabetici di consumarle. Le loro virtù sono innumerevoli: oltre a racchiudere acqua in dosi massicce, le arance sono un’autentica miniera di fibre come la pectina, la lignina e la cellulosa, che accentuano il senso di sazietà e fanno sì che gli zuccheri e i grassi vengano assorbiti in quantità moderate. Il licopene, contenuto soprattutto nelle arance rosse, è un carotenoide dalle spiccate doti antiossidanti e antinfiammatorie; contrasta le patologie cardiovascolari, oculari e ossee (come l’osteoporosi). La vitamina C è un po’ il “marchio di fabbrica” di questo frutto: favorisce un adeguato assorbimento del ferro e del calcio, è un potente antiossidante e un toccasana per le difese dell’organismo. La vitamina A (o retinolo) mantiene in salute la pelle e gli occhi e assicura un buon funzionamento sia del sistema immunitario che del metabolismo. Le vitamine del gruppo B, essenziali per la produzione dei globuli rossi, tengono sotto controllo i livelli di omocisteina e si rivelano portentose per il sistema nervoso. Tra i sali minerali contenuti nell’arancia risaltano il ferro (imprescindibile per il benessere del’organismo), il rame (antiossidante efficacissimo contro le patologie cardiovascolari), il potassio (ottimo per la salute dei muscoli) e il calcio (benefico in particolare per le ossa, i denti e la coagulazione sanguigna). Le antocianine e i polifenoli, di cui l’arancia abbonda, sono degli importanti antiossidanti.

 

 

I benefici che apporta il consumo di arance, quindi, sono molteplici. La vitamina C contrasta le infezioni potenziando le difese immunitarie, le fibre regolarizzano i livelli di colesterolo, gli antiossidanti combattono i radicali liberi e mantengono sotto controllo la pressione poichè fluidificano il flusso sanguigno. I citroflavonoidi contenuti nell’arancia, inoltre, svolgono una valida azione nei confronti della fragilità capillare. E non è finita qui: incrementando la formazione dei succhi gastrici, il frutto del Citrus Sinensis facilita la digestione, mentre la funzione antiossidante degli antociani incentiva il metabolismo. Le fibre, infine, hanno virtù diuretiche e impediscono ai grassi e agli zuccheri di essere assorbiti troppo velocemente (con buoni risultati anche per la linea).

 

 

Dell’ arancia esistono molte varietà, ammontano a oltre 100. Le differenze principali possono essere ricondotte a due tipologie: arance dolci e arance amare (le prime le compriamo dal fruttivendolo, le seconde si utilizzano in ambito cosmetico e per la produzione di marmellate dal gusto particolare), arance bionde e arance rosse (la distinzione riguarda essenzialmente il colore della loro buccia). Qualche nome delle numerose varianti? Ci sono le Navel, le Tarocco, le Moro, le Sanguinello, le Belladonna, le arance alla vaniglia…Ma quel che ci interessa ora è come includere questo succoso frutto nella prima colazione.

 

 

La classica spremuta d’arancia è un toccasana, però prima di prepararla bisognerebbe osservare qualche accorgimento. Innanzitutto, non va mai bevuta a digiuno: l’acido citrico contenuto nel frutto potrebbe risultare difficilmente digeribile o provocare acidità di stomaco. Sempre per questo motivo, chi soffre di patologie gastriche dovrebbe evitare l’aranciata o perlomeno consumarla dopo qualche pasto, foss’anche solo un toast o un dolcetto. Le arance possono essere mangiate a spicchi o tagliate a fette, lo spunto ideale per una prima colazione coi fiocchi: arricchiscono il porridge e i pancake, diventano deliziosi biscotti (se volete strafare, immergetele nel cioccolato fuso). Con il succo, la polpa e la scorza di arancia si preparano dolci sfiziosissimi, dalle torte al pan d’arancio siciliano, dai ciambelloni alla crema di arancia passando per i muffin, il rotolo e le crostate. Cercate qualche ricetta? Cliccate qui. E dato che a Natale manca poco più di un mese, vi suggerisco di provare le scorze di arance candite: sono una ghiottoneria unica (qui la ricetta), anche in questo caso – volendo – da intingere nel cioccolato fuso per esaltarne al massimo il sapore. Se invece optate per una colazione essenziale e super salutare, puntate sulla marmellata di arancio spalmata sulle fette biscottate o  su una fetta di pane; è una prelibatezza “minimal”, ma dalla bontà garantita.

 

 

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La colazione di oggi: il caffè e le sue varianti nel mondo

 

In Italia è un’istituzione. Il caffè non è una semplice bevanda, bensì un rito: da svolgere da soli o in compagnia. Ma anche nel resto del mondo lo si apprezza. Non è un caso che appaia solo al terzo posto, dopo l’acqua e il té, nella classifica dei liquidi più bevuti. E se nello stivale l’espresso (preparato al bar con una macchina che eroga un getto di acqua calda sotto pressione su uno strato di caffè macinato e pressato in precedenza) è il tipo di caffè più gettonato, molti paesi hanno elaborato varianti entrate a far parte delle proprie tipicità nazionali. Le caratteristiche di queste varianti, come scopriremo, sono determinate da molteplici fattori: i più rilevanti si associano alla presenza di piantagioni di caffè, alla lavorazione dei chicchi, al gusto e allo stile di vita locali. Il caffè migliore, è risaputo, proviene dalle zone tropicali. Le specie del genere Coffea sono diffuse nella “Bean Belt”, la fascia equatoriale del globo, che comprende oltre 50 paesi. In essa rientrano molti stati dell’ America del Sud, dell’ Africa e dell’Asia sud orientale. A detenere il record della produzione mondiale di caffè sono cinque nazioni: al primo posto in classifica troviamo il Brasile, seguito dal Vietnam, dalla Colombia, dall’ Indonesia e dall’  Etiopia. Qualche dato? Il mercato del caffè è secondo solo a quello del petrolio; ogni anno si esportano più di 30 milioni di sacchi di caffè, che viene consumato da circa il 40% della popolazione terrestre. Secondo le statistiche, le tazze di caffè bevute annualmente ammontano a ben 500 miliardi. I paesi maggiormente coinvolti nell’esportazione del prodotto sono il Brasile, la Colombia (dove è presente il cosiddetto “Eje Cafetero”, una vastissima area di piantagioni di caffé), l’Indonesia e l’ Honduras, mentre tra i principali importatori figurano gli Stati Uniti, la Germania, la Francia, l’Italia e il Belgio. Le qualità di caffè differiscono in base al luogo di provenienza. Determinanti per l’aroma risultano il clima, il tipo di terreno, la coltivazione…Il sapore dei chicchi, idealmente, dovrebbe contraddistinguere il paese da cui derivano. In questo articolo ci occuperemo però non tanto della Coffea Arabica, quanto del caffè bell’è pronto: ovvero, delle varianti di caffè (considerato come bevanda) più diffuse al mondo.

 

 

Andiamo subito in Colombia, dove il caffè rappresenta il motore dell’economia. L’ Eje Cafetero, situato a sud di Medellin, è la “zona del caffè” per eccellenza: qui il caffè si coltiva, si produce e si esporta. In questo territorio immenso le piantagioni si alternano a città, paesini e paesaggi di una bellezza mozzafiato che hanno fatto guadagnare all’Eje il titolo di Patrimonio Mondiale dell’ Umanità UNESCO. Ma quali sono le principali tipologie di caffè preparate in Colombia? Su tutte, predominano due rivisitazioni dell’ espresso: se il Tinto corrisponde all’espresso classico, la Chaqueta è un caffè nero arricchito di panela, ovvero zucchero di canna non raffinato e plasmato in panetti che funge da dolcificante. Questo caffè viene anche detto Tinto Campesino. Poi c’è il Cortado, un caffè macchiato che mescola espresso e latte in parti uguali.

 

 

Proseguiamo il nostro tragitto in America Latina. Chi ha visitato il Venezuela sarà senz’altro rimasto intrigato dal caffè Guayoyo, un caffè nero dall’aroma decisamente soave diluito con acqua bollente. Il Cerrero è il suo esatto opposto, molto concentrato e dal gusto intenso, mentre il Guarapo viene dolcificato con il papelòn, l’equivalente della panela colombiana. Il Tetero, invece, si prepara con un 90% di latte e un 10% di caffè.

 

 

In Messico il Café de Olla è una bevanda tradizionale; solitamente, per esaltare il suo sapore “antico”, viene servito in tazze o recipienti di argilla o di ceramica. Si beve caldo ed è composto da acqua, caffè macinato, cannella e piloncillo (il nome messicano della panela colombiana). Il Café de Olla ha un aroma inconfondibile che sancisce la sua unicità.

 

 

Restiamo in America, ma dirigiamoci negli Stati Uniti. Negli USA il caffè è molto amato, ma viene preparato in un modo completamente diverso dal nostro. Il più conosciuto è senz’altro il Caffè Americano, un caffè lungo, diluito con acqua bollente, bevuto in tazze alte e piuttosto capienti (le cosiddette “mugs”). Il Red Eye, invece, richiede una tazza di piccole dimensioni per esaltare il suo gusto intenso: è un mix potente di caffè espresso ed americano. Poi abbiamo il Drip Coffee, preparato con un filtro all’interno del quale viene posta una dose di caffè macinato. Per completare l’opera, si versa dell’acqua calda sul caffè in modo da creare un liquido uniforme. Va anche detto che gli americani adorano rendere il caffè il più goloso possibile: molto spesso lo arricchiscono con panna, marshmallows, biscotti e un’ampia varietà di delizie dolciarie.

 

 

Dall’America passiamo all’ Europa, dove non si può certo dire che le varianti del caffè facciano difetto. Una delle più note è certamente l’Irish Coffee, diffusissimo anche negli Stati Uniti: nasce in Irlanda, come suggerisce il suo nome, ed è una prelibata miscela di caffè caldo, whiskey rigorosamente irlandese e una buona dose di panna shakerata “posata” sulla superficie. Perchè shakerata? E’ molto semplice: in questo modo appare ancora più spumosa ed invitante. L’Irish Coffee si beve in un bicchiere di vetro simile a un calice, a stelo lungo, che viene riscaldato prima di essere riempito. La storia dell’Irish Coffee è curiosa. Fu inventato da Joe Sheridan, lo chef di un ristorante situato di fronte all’ aereoporto della città irlandese di Foynes, per rinfrancare dei viaggiatori di malumore a causa della cancellazione del volo su cui si sarebbero imbarcati. Qualche anno dopo un giornalista del San Francisco Chronicle, Stanton Delaplane, degustò l’Irish Coffee mentre si trovava in Irlanda e ne fu conquistato al punto tale da “esportarlo” immediatamente negli Stati Uniti.

 

 

Approdando in Germania, notiamo che anche i tedeschi amano abbinare al caffè i più golosi ingredienti. L’Eiskaffee, ad esempio, è un drink che combina il caffè freddo con polvere di cacao, gelato alla vaniglia e panna montata. Una ghiottoneria unica, non c’è che dire! Il Pharisäer Kaffee si prepara invece correggendo il caffè lungo con del rum ed aggiungendo una spolverata di cacao amaro, dello zucchero e una buona dose di panna montata: da leccarsi i baffi.

 

 

In Asia c’è davvero da sbizzarrirsi. Il Vietnam, al secondo posto tra i paesi esportatori di caffè, spicca per le varianti a dir poco creative con cui ha rivisitato la bevanda. Innanzitutto va detto che il caffè classico si prepara con una speciale caffettiera a percolazione, i cui filtri vengono posizionati proprio sopra al bicchiere. Su un filtro si inserisce il caffè macinato, poi si versa dell’acqua calda lentamente, a più riprese. Infine si mescola il tutto e si ottiene un caffè dal gusto molto intenso, che può essere gustato sia caldo che freddo (grazie ad alcuni cubetti di ghiaccio). Un’ altra versione di questo caffè prevede l’aggiunta di una modica dose di latte condensato, e riscaldato, precedentemente messo nel bicchiere. La variante detta Bac Xiu si avvale invece di latte condensato in dosi massicce raffreddato con molto ghiaccio. Il sapore particolarmente forte del caffè vietnamita è dovuto ai chicchi di Robusta con cui si prepara, che rispetto a quelli di Arabica contengono il doppio della caffeina. Il Caphe Trung potrebbe quasi essere definito un dolce: si montano dei tuorli d’uovo mescolandoli con lo zucchero e il latte condensato, unendoli successivamente al caffè preparato con la caffettiera a percolazione. Il risultato è super goloso, una sorta di crema densa che ricorda il tiramisù. Il Caphe Sua Chua è un delizioso mix di caffè nero e yogurt, mentre il Caphe Dua combina il caffè con il latte di cocco, e viene servito caldo oppure ghiacciato.

 

 

Prima di passare ai caffè ghiacciati, che durante l’estate hanno spopolato e intendono farlo anche in autunno, diamo un’occhiata al caffè più diffuso nella penisola balcanica, in medio oriente e in tutti i paesi arabi: il caffè Turco. L’acqua, insieme al caffè in polvere e allo zucchero, viene fatta bollire in un bricco di ottone che i turchi chiamano “cezve” e i greci “briki”. Una volta pronto, è tassativo insaporire il caffè con delle spezie – in particolare il cardamomo. Anche buona parte dell’Africa, come abbiamo già visto, appartiene alla cosiddetta “Bean Belt”. Del continente nero non possiamo tralasciare il caffè Touba, un’ antichissima bevanda senegalese. Il Touba, autentico emblema della tradizione africana, viene addirittura servito per strada e come complemento ideale dello street food (in Senegal, infatti, lo si accompagna ai cibi salati). Questo tipo di caffè, dal gusto intenso e corposo, si prepara pestando i grani di caffè insieme ai chiodi di garofano e a baccelli di pepe tostati. Dopo aver filtrato la miscela, si aggiunge dell’acqua bollente e si filtra nuovamente; oppure si dolcifica il tutto tralasciando la seconda filtrazione. La bevanda che si ottiene ha un gusto unico, potente e speziato, e svolge un’ottima azione depurativa per lo stomaco e il fegato.

 

 

Con i bollori dell’estate, di recente, si è verificato un vero e proprio boom del caffè ghiacciato. Essenzialmente ne esistono due tipi: l’Iced Coffee e il Cold Brew Coffee. Il primo è un caffè che viene estratto a caldo e in seguito raffreddato. Tra le sue varianti in Italia troviamo l’Espresso Shakerato, mentre in Giappone furoreggia il Japanese Iced Coffee (che si avvale di un dripper per la sua preparazione) e negli USA l’Iced Latte arricchito di sciroppi aromatizzati. Il Cold Brew Coffee, al contrario, è un caffè preparato con acqua fredda (o addirittura ghiacciata) in cui vengono infusi dei fondi di caffè in polvere. L’operazione richiede dalle 12 alle 24 ore, dopodichè il caffè può essere scolato. Il Cold Brew Coffee affonda le sue origini a Kyoto, in Giappone, e fu diffuso in Europa dai mercanti olandesi che commerciavano con il paese del Sol Levante. Oggi, nazioni come il Vietnam, l’India e la Tailandia hanno creato delle proprie varianti della bevanda, gettonatissima anche negli Stati Uniti.

 

 

 

La colazione di oggi: l’amarena, il frutto “luculliano”dell’ Estate

 

A prima vista sembrano ciliegie, ma ciliegie non sono. Delle ciliegie potrebbero essere sorelle, perchè appartengono alla stessa famiglia: quella delle Rosacee. Ma mentre le ciliegie sono i frutti del Prunus avium, le amarene (perchè è di loro che sto parlando) maturano dai fiori del Prunus cerasus. Si suppone che l’ amareno, anche detto ciliegio aspro, provenga dall’ Asia o dal Medio Oriente.  Quel che è certo è che il Prunus cerarus si adatta alla perfezione a qualsiasi clima e tipo di terreno, resistendo a lunghi periodi di siccità. Tornando alle differenze tra ciliegie e amarene, la più evidente riguarda il sapore: le ciliegie sono soffici, dolcissime, succose. Le amarene hanno una polpa più “tosta” e un gusto più aspro, tendente all’ amarognolo. Entrambe sfoggiano un bel rosso acceso e una forma tondeggiante, ma anche questi aspetti presentano delle diversità. La tonalità delle amarene è meno intensa rispetto a quella delle ciliegie, che vantano dimensioni maggiori rispetto alle loro “sorelle”. Il gusto leggermente amaro dei frutti del Prunus cerasus si deve all’ acido ossalico, contenuto in svariati alimenti. Lungi dal renderle sgradevoli, quel sapore è un punto di forza: non è un caso che il maraschino, liquore dall’ aroma inconfondibile, sia interamente ricavato dalla distillazione delle amarene. La versatilità di questi frutti, inoltre, fa sì che vengano inclusi in moltissime ricette. Sciroppate, danno vita a degli ottimi dessert; alcuni esempi? Torte come la celebre Foresta Nera, e poi cheesecake, panna cotta, biscotti, dolcetti, yogurt…Anche uno dei più acclamati gusti di gelato, l’amarena, si avvale di amarene sciroppate. Denocciolati, i frutti del Prunus cerasus possono essere utilizzati per guarnire un buon numero di dolci e di spuntini. Mangiati crudi (e preferibilmente freschissimi, perchè si seccano a tempo di record) non sono meno invitanti, magari – date le loro virtù energizzanti – per ritrovare un po’ di sprint. Con le amarene si preparano dei ghiotti sciroppi, liquori e marmellate. In alcuni paesi dell’ Europa dell’ Est si suole addirittura friggerle prima di inserirle in delizie quali un tipico strudel locale.

 

 

Veniamo ora alle proprietà delle amarene. Che sono molte! Innanzitutto, hanno il potere di sconfiggere l’ insonnia. Berle ogni notte sotto forma di succo (tassativamente da non zuccherare) incrementa la produzione di melatonina, regolarizzando il ciclo sonno-veglia con benefici istantanei per l’umore. Le amarene sono dei potenti antiossidanti naturali: i flavonoidi in esse contenuti combattono l’ invecchiamento delle cellule e rappresentano un toccasana per la circolazione del sangue. Essendo dei frutti diuretici, contrastano la ritenzione idrica favorendo l’ eliminazione delle tossine e il drenaggio dei liquidi in eccesso. Anche la stipsi può essere sconfitta grazie alle amarene: sono ricche di fibre, che purificano l’ intestino e ne garantiscono la regolarità. Questi frutti, vere e proprie miniere di potassio, rinvigoriscono la muscolatura e restituiscono energia; le vitamine A, B e C che racchiudono in dosi massicce accrescono i livelli di collagene con effetti benefici per la pelle e per la vista. Le amarene, infine, ottimizzano la formazione di acido urico nell’ organismo rimuovendone gli eccessi: ciò permette di scongiurare patologie come la gotta.

 

 

Per concludere, una teoria incentrata sulla misteriosa origine del ciliegio aspro. Si narra che l’ amareno giunse in Italia per merito di Lucio Licinio Lucullo, un generale romano che condusse campagne in Oriente tra il 70 e il 65 a.C. Grande stratega militare, raffinatissimo e amante del bello, Lucullo adorava i pasti sfarzosi (i celebri banchetti “luculliani”), e in Asia rimase colpito dal gusto amarognolo e dalle proprietà dei frutti del Prunus cerasus. In particolare, pare che apprezzasse le vitamine e le virtù energizzanti delle amarene: le fece quindi includere nel rancio dell’ esercito romano per rinvigorire i soldati. Secondo vari scritti dell’ epoca, Lucullo si impossessò di un esemplare di amareno a Cerasunte, colonia greca affacciata sul Mar Nero, e dopo averlo portato con sè a Roma lo trapiantò in uno dei suoi sontuosissimi giardini. Era il 65 a.C. circa. Attualmente non è raro che il Prunus cerasus cresca spontaneamente nella boscaglia; può farlo fino a 1000 metri di altezza. Una curiosità: il suo legno supera quello del ciliegio in quanto a pregiatezza e longevità.

 

 

Foto del gelato all’ amarena: Dirk Vorderstraße, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons

Il focus

 

Voglia di colore, di rompere le regole, di sperimentare stili senza barriere. Il caftano, in questo senso, diventa un capo che oltrepassa i confini del beachwear per approdare in città: lo fa tingendosi di cromie sgargianti come l’ arancio e il fucsia declinati in un tie dye molto 60s style. Motivo di punta della Primavera Estate 2021, il tie dye è pronto a rivangare i vecchi (ma indimenticati) fasti, a riaffermare il suo status di “must” dell’ epoca Hippie e del Grunge anni ’90. Nel caso del caftano di Tom Ford che vi propongo, però, sono più propensa ad associarlo al flower power: originaria di continenti quali l’ Africa e l’ Asia, la tintura a riserva iniziò a spopolare a cavallo tra i ’60 e i ’70 per l’ effetto psichedelico che evocavano i suoi cromatismi. Qualcuno addirittura li paragonò ad un “viaggio”, un caleidoscopio lisergico in perfetta sintonia con le teorie dell’ espansione della coscienza abbracciate dagli Hippie. E se a Janis Joplin spetta il titolo di paladina del tie dye, questa tecnica di tintura ebbe il suo momento di gloria nel 1969, a Woodstock, durante il leggendario Festival. Tom Ford instaura un connubio significativo tra tie dye e caftano, capo emblema – anch’esso – della Hippie generation poichè concentra in sè tutto il gusto per l’esotico e per l’ etnico che ostentava il movimento. Ford lo reinterpreta creando un modello in crêpe di seta dalle forme oversize e dall’ orlo rasoterra; il collo è a V, le aperture laterali sono ornate da lunghe frange. Il tye die che combina, sfuma, sovrappone l’arancio e il fucsia è vibrante, cattura l’ occhio con un’ autentica sferzata di colore. Non è un caso, in effetti, che dopo le chiusure del lockdown il caftano assuma una potente valenza simbolica. Rappresenta la libertà, la gioia di vivere, inneggia all’ Estate e alla possibilità di ricominciare a muoversi, a viaggiare…a scoprire nuovi orizzonti. Anche se dovremo limitarci più che altro ai paesi europei e saremo costretti ad accantonare, per il momento, le orientaleggianti mete dell’ “Hippie trail”.

 

 

 

Capri, la fragranza che 19-69 dedica all’ incantevole “Isola Azzurra”

 

Un mare che più azzurro non si può (come il colore da cui prende il nome l’ onirica Grotta Azzurra, celebratissima dai letterati) e i caratteristici Faraglioni, suo emblema paesaggistico: l’isola di Capri è una delle più rinomate meraviglie italiche. Per non parlare della “dolce vita” che l’ ha animata nel tempo, un susseguirsi di Vip, intellettuali, aristocratici e teste coronate. Capitale del glamour vacanziero, Capri sprigiona un fascino eterno. In molti hanno interpretato la sua essenza olfattiva, ed oggi voglio parlarvi di un’ Eau de Parfum specialissima che concentra le iconiche atmosfere dell’ isola nel proprio jus: si tratta di Capri, una fragranza firmata 19-69. Ma chi si cela dietro queste enigmatiche cifre, e cosa rappresentano? Ve lo rivelo subito. 19-69 è il luxury brand di profumi fondato dall’ artista svedese Johan Bergelin; avvalendosi del savoir faire di artigiani dislocati tra la Scandinavia, la Francia e l’ Italia, la label ha esordito nella storica boutique parigina Colette nel 2017. Bergelin crea le sue alchimie olfattive abbattendo ogni barriera relativa al genere (le fragranze di 19-69 sono rigorosamente unisex) e ricercando una bellezza unconventional, al di là degli stereotipi e dei vincoli. Nell’ immaginario dell’ artista campeggiano gli anni ’80 del Glam Rock, decisivi per l’ abolizione dei confini tra maschile e femminile: rockstar come David Bowie e Marc Bolan si truccavano pesantemente, indossavano tute di lustrini e boa di piume sperimentando sempre nuovi look.

 

 

Oltre a tramutare la propria immagine in un capolavoro artistico, i Glam rockers dichiaravano a gran voce la loro unicità e il loro credo. Su questi stessi valori Bergelin ha fondato la brand identity di 19-69. Lo slogan che ha scelto, “Bottling Countercolture” (“imbottigliare la controcultura”), è indicativo e rafforza ulteriormente la mission del marchio, il cui nome fa riferimento all’ anno – il 1969, appunto – della libertà, dell’ emancipazione giovanile, dell’ affermazione di una cultura alternativa e di inediti modelli di vita. La precedente carriera di fotografo ha consentito a Johan Bergelin di viaggiare in giro per il mondo e di conoscere i popoli più disparati. Ha così scoperto cosa unisce, cosa accomuna le varie culture: “Molte volte è la bellezza”, spiega, ” sia sotto forma di musica che di arte o di profumi. Con 19-69 voglio invitare le persone ad esplorare la bellezza oltre i confini e vedere cosa possiamo scoprire gli uni degli altri”. Il suo intento si traduce in una serie di jus (Purple Haze, Capri, Chinese Tobacco, Kasbah, Rainbow Bar, L’ Air Barbès, Chronic, Villa Nellcôte, Female Christ) che prendono vita da sensazioni, ambientazioni ed epoche associate a continenti quali l’ Asia, l’America, l’ Europa e l’ Africa.

 

 

La collezione di fragranze è magnifica anche rispetto al design e al packaging. I flaconi, verniciati e serigrafati in Italia, sono essenziali bottigliette di vetro con il doppio fondo tinto di una tonalità sempre diversa, mentre il tappo è invariabilmente nero. Tutti i prodotti vengono realizzati a mano e ogni profumo si lega a un mood evocativo ben preciso, nessuno uguale all’ altro. Capri, racchiuso in un flacone nei toni del giallo, richiama la luminosità del sole che splende sull’ isola. Ma non solo: ad ispirare Johan Bergelin è stato “Le Mépris” (“Il disprezzo”), il film che Jean-Luc Godard girò nel 1963 proprio a Capri, a Villa Malaparte, con Brigitte Bardot e Michel Piccoli come protagonisti.

 

BB sul set di “Le Mépris”

Le note olfattive dell’ Eau de Parfum scaturita dalle suggestioni di questa pellicola ne riflettono le atmosfere intense, drammatiche ma costantemente ravvivate – quasi per contrasto – dalla luce solare. Spiccano gli accordi di arancia dolce e amara, di olio essenziale di Ylang Ylang, di muschio bianco, ingredienti base di una fragranza fresca ed avvolgente. Una fragranza che, a partire dallo spunto di “Le Mépris”, ci accompagna in un incantevole viaggio sull’ “Isola Azzurra”.

Capri è disponibile in versione Eau de Parfum da 100 ml

 

 

 

La magica “Grotta Azzurra”

 

 

Foto della Grotta Azzurra via Wikimedia by Colling-architektur / CC BY-SA (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)

Foto di Brigitte Bardot via Poet Architecture from Flickr, Public Domain

 

 

Arriva la Luna di Fragola

 

Non c’è che dire: la natura è sempre pronta a meravigliarci. E tra neppure una settimana ci offrirà uno spettacolo che, senza dubbio, custodiremo tra i ricordi più indelebili. Annotatevi la data del 5 Giugno, perchè quella sera vedere la Luna di Fragola sarà un must. L’ evento, attesissimo, è talmente eccezionale che Astronomitaly ha deciso di trasmetterlo in streaming su Facebook e su YouTube affinchè tutti gli italiani possano assistervi, e non stupisce: l’ ultimo plenilunio di Primavera, per una serie di fattori collegati alla rotazione terrestre, ci mostrerà una luna magicamente tinta di rosa. Negli Stati Uniti la chiamano “Luna di Fragola” perchè appare tra Maggio e Giugno, quando le fragole raggiungono l’apice della fioritura, mentre in Europa è più nota con l’appellativo di “Luna di Miele” o “Luna delle Rose”, in quanto coincide con i periodi associati, rispettivamente, alla celebrazione dei matrimoni e allo sboccio della “regina dei fiori”. Qualunque sia il suo nome, si tratta di un fenomeno astronomico di immensa suggestività. Il 5 Giugno, a partire dalle 19, si verificherà un’ eclissi penombrale di luna: la luna verrà occultata dalla terra, che la inghiottirà nel suo cono di penombra, e comincerà a tingersi di un’ incredibile gradazione di rosa. Quando l’ astro riemergerà dall’ oscurità, sorprenderà tutti con il suo splendido colore. Sarà possibile ammirarlo dall’ Europa, dall’ Asia, dall’ Africa e dall’ Australia, mentre in America non risulterà distinguibile.

 

 

Ma l’ evento della Luna di Fragola non sarà l’unico che il cosmo ci regalerà a breve: dal 2 Giugno, infatti, e fino al 10 dello stesso mese, resteremo ammaliati dalla cascata di stelle cadenti delle Arietidi, generate dai residui della cometa 1566 Icarus. Il fenomeno, in realtà, è già iniziato alla fine di Maggio, ma tra pochi giorni sarà pienamente visibile. Siete pronti a lasciarvi travolgere da questi sbalorditivi show siderali?

 

 

 

 

Quando “bellezza” fa rima con “multiculturalità”: la sfilata Dior Cruise 2020 a Marrakech

 

La sera è scesa, fa già buio. Ma le luci di miriadi di fiaccole, intervallate da falò sospesi, galleggiano sull’ immensa piscina del palazzo di El Badi. Siamo a Marrakech, in una location straordinariamente suggestiva: è la location che Dior ha scelto per la sfilata della collezione Cruise 2020, un inno alla bellezza scaturita da un intreccio di culture. Aver puntato su Marrakech, affascinante crocevia tra il Mediterraneo, l’ Europa e l’ Africa, è indicativo. Memore di quel Marocco che nel ‘900 attirò intellettuali, artisti e viaggiatori bohémien, Maria Grazia Chiuri ha voluto rievocarne i topos immaginativi e le atmosfere per intraprendere un percorso in cui reminiscenze, paesaggi e suggestioni si coniugano, esaltandolo, con l’heritage della Maison (come dimenticare la fascinazione che il Marocco esercitava su Yves Saint Laurent, primo direttore creativo Dior dopo la dipartita di Monsieur Christian? ).  Emblema dei temi ai quali Chiuri si ispira è il Wax, un tessuto cerato e ricco di variopinte stampe considerato dai più una tipicità africana. In realtà, la storia del Wax (o Batik, se preferite) rispecchia fedelmente quel mix di eterogeneità che la designer romana celebra nella collezione Cruise 2020: nasce in Olanda nel 1864 per essere commercializzato in Indonesia, dove però riscuote scarso successo. Al contrario, nel Continente Nero sarà richiestissimo. Simbolico punto di incontro tra Europa, Asia e Africa, il Wax, come il Marocco, concentra in sè un connubio di culture. E’ un denominatore comune, un “common ground”, un’ intersezione tra le differenze. Non è un caso che faccia da leitmotiv all’ intera collezione, e che l’ atelier ivoriano Uniwax abbia rivisitato la sua trama tessile combinandola con i codici Dior. Il Wax, insomma, diventa un “viatico” indispensabile per la rilettura di nuove e di antiche stampe. Delinea paesaggi, bestiari, memorie ed impressioni, mescola la fauna della Savana all’ iconografia dei Tarocchi, reinterpreta addirittura un cult della Maison come il tailleur Bar. Il Wax dà vita a dei look sfaccettati, multiformi e multietnici di un’ eleganza squisita: lunghi abiti, ampie mantelle, pantaloni cropped o affusolati, gonne e tuniche plissettatissime, caftani e minidress lo sfoggiano a tutto spiano, declinandolo in tessuti rigorosamente naturali (shantung, garza di seta, seta écru) e in una palette che esplora i colori più incantevoli e caratteristici dei panorami africani. Risaltano l’ ocra, il ruggine, l’indaco, il sabbia, il blu, il bianco e il nero in total look, svariati toni di marrone; tonalità intrise di un’ esotismo che si fonde con il pluralismo e – di conseguenza – con il concetto di “inclusività”, condicio sine qua non per la convivenza tra culture diverse. Oltre a Uniwax, una fitta rete di collaboratori ha affiancato Maria Grazia Chiuri nella creazione della collezione Cruise 2020: tra essi, l’artista e designer africano Pathé Ouédraogo, la designer anglo-giamaicana Grace Wales Bonner, l’artista afro-americana Mickalene Thomas, il collettivo SuMaNo di artigiane marocchine, il guru dei cappelli Stephen Jones insieme a Martine Henry e Daniela Osemadewa. (Per ammirare la collezione completa clicca qui)