Giorni di cielo sceso in terra

 

” A settembre succedono giorni di cielo sceso in terra. Si abbassa il ponte levatoio del suo castello in aria e giù per una scala azzurra il cielo si appoggia per un poco al suolo. A dieci anni potevo vedere i gradini squadrati, da poterli risalire cogli occhi. Oggi mi contento di averli visti e di credere che ci sono ancora. Settembre è il mese delle nozze tra la superficie terrestre e lo spazio di sopra acceso dalla luce. Sulle terrazze gradinate a viti i pescatori fanno i contadini e raccolgono i grappoli nei cesti fatti dalle donne. Prima ancora di spremerli, il giorno di vendemmia ubriaca gli scalzi tra i filari al sole e lo sciame delle vespe assetate. L’isola a settembre è una mucca da vino. E’ il mese della festa del santo, sfila per mare la processione delle barche e di sera sulla spiaggia si sparano i fuochi d’artificio. Nelle altri estati ci andavamo al completo. Mia sorella saltava di gioia dietro a ogni scoppio di colori in aria. Papà la sollevava facendo con la bocca il verso ai botti e lei mimava la ricaduta delle scintille a terra. Ho visto al cinema ripetere a Totò la mimica di un fuoco d’artificio, ma loro due la facevano meglio. Mamma s’incantava, io guardavo le facce di quelli che guardavano gli scoppi in cielo. Gli occhi dei bambini riflettevano le luci colorate. I profili dei grandi, puntati verso l’alto, accoglievano lo spettacolo come fanno i fiori con la pioggia. “

Erri De Luca, da “I pesci non chiudono gli occhi”

 

 

Gucci Cosmogonie: nel cielo del magico Castel del Monte ha brillato una nuova costellazione

 

Dal glamour sfavillante dell’ Hollywood Boulevard di Los Angeles all’ esoterismo al chiar di luna di Castel del Monte, nel cuore delle Murge baresi: l’ immaginario di Alessandro Michele si nutre di mondi variegati e molteplici, di un caleidoscopio di idee che si riflette immancabilmente nelle location, evocative e meravigliose, delle sfilate Gucci. Il 16 Maggio scorso Cosmogonie, la nuova collezione seasonless e co-ed del brand, è andata in scena di fronte al maestoso maniero di Castel del Monte. Federico II di Svevia lo fece costruire nel 1240, e nel 1996 è stato dichiarato Patrimonio Mondiale dell’ Umanità dall’ UNESCO. Considerato una perla dell’ architettura medievale, il castello ha visto accrescere il suo fascino attraverso i secoli: la struttura massicia e perfettamente simmetrica risulta enigmatica, intrisa di suggestioni esoteriche. A partire dal numero otto, una vera e propria costante. Otto sono le torri che lo circondano, ognuna a base ottagonale; otto le sale distribuite su ciascuno dei due piani della fortezza. La stessa pianta dell’ edificio è ottagonale, come quella del suo cortile. Il numero ricorre nei bassorilievi, nei particolari scultorei, nelle decorazioni. Il significato è altamente simbolico, coniuga magia e misticismo: rappresenta l’ infinito, l’armonia cosmica, crea un trait d’union tra cielo e terra. Non è chiaro che funzione ricoprisse Castel del Monte ai tempi della sua edificazione, ma in molti concordano nel ritenerlo un tempio iniziatico, un osservatorio astronomico, un crocevia di saperi.

 

 

Il castello dello “Stupor Mundi” (così venne ribattezzato Federico II per la sua sapienza e per il grande risalto che conferì alle arti, alla scienza e alla cultura) ha rappresentato la location perfetta per lo show Cosmogonie, il cui nome è il plurale di cosmogonia: la dottrina, cioè, che studia l’origine dell’ universo e la formazione dei corpi celesti.  “Costellazioni”, non a caso, è la parola chiave associata all’ ispirazione della collezione. Si tratta di costellazioni metaforiche, aggregazioni di elementi distanti nello spazio e nel tempo che si riuniscono grazie a un’ epifania rivelatrice. Entità o atomi originariamente isolati, sparsi nel cosmo come astri, che le costellazioni connettono e fanno risplendere: è in questo contesto che si inseriscono le figure del filosofo e critico Walter Benjamin, suicidatosi nel 1940 mentre era in fuga dal Nazismo, e della politologa Hanna Arendt, che paragonò la collezione di citazioni di Benjamin a una raccolta di perle rare. Alessandro Michele omaggia il filosofo e la sua capacità di rinvenire legami tra cose e realtà apparentemente scollegate. Il direttore creativo di Gucci, con Cosmogonie, compie lo stesso tipo di percorso: crea costellazioni combinando epoche, stili, dettagli, accessori diversissimi tra loro. E’ un eclettismo denso di riferimenti, il suo, un pot-pourri creativo e filosofico a un tempo. Il red carpet ha inizio al tramonto, quando i flash dei fotografi illuminano un parterre di star internazionali: da Lana Del Rey a Dakota Johnson, da Lou Doillon a Emma Marrone, da Alessandro Borghi ai Maneskin. Nell’ istante in cui cala il crepuscolo, e Castel Del Monte si ammanta di una suggestività straordinaria, comincia la sfilata.

 

 

“Costellazioni” che agglomerano passato e presente, heritage e futuribili visioni sono il fulcro della collezione. Le silhouette citano gli anni ’30 e ’40, ma un tripudio di accessori, di forme e di dettagli ingloba riferimenti alle epoche e agli stili più disparati. Geometrie nei pattern (prevalgono le righe e i rombi) e nella struttura degli abiti rievocano l’ armonia architettonica del castello e non di rado originano ipnotiche fantasie optical. Cappelli a tesa maxi rimandano agli anni ’60, così come i cut out ricorrenti. Le spalle sono squadrate come nelle pellicole dei telefoni bianchi, paillettes e cristalli si riversano sugli abiti con lo stesso impeto di una cascata stellare. Minigonne e succinti minidress in pelle nera si alternano a look inneggianti allo chiffon e alle sue fluttuanti trasparenze. Il Medioevo di Federico II riemerge in una serie di evening dress in velluto, drappeggiatissimi, con lunghe maniche a sbuffo. La fake fur abbraccia volumi over, declinandosi di volta in volta in motivi optical dai potenti cromatismi o in un simil ermellino che plasma manicotti e mini mantelle rinascimentali. Ma a esaltare i look sono soprattutto i colli, delle autentiche chicche d’epoca: lunghissimi e a punta o gorgiere come ai tempi di Elisabetta I Tudor, rappresentano uno dei clou della collezione. Altri leitmotiv si rinvengono tra gli accessori, come gli opera gloves in lattice e gli altissimi cuissardes stringati. Fasce metalizzate in stile Hippie cingono la fronte, abbinandosi a vistosi orecchini pendenti o a miriadi di gioielli etnici che decorano il viso. Collane di perle si avvolgono attorno al collo ricoprendolo completamente. Occhiali da sole con la montatura in plastica, leggermente allungati verso le tempie, ricordano un modello cool degli anni ’80. Non passa inosservata l’iconica clutch jacquard estrapolata dagli archivi Gucci: appartenuta a Greta Garbo, è riapparsa durante un’ asta qualche tempo fa. Alessandro Michele ne è rimasto folgorato e, pensando al suo ritrovamento come a una “coincidenza cosmica”,  l’ ha annoverata tra i pezzi cult di Cosmogonie. La luna piena, ora, immerge Castel del Monte in un poetico chiarore. Il maniero di Federico II,  accarezzato da quei bagliori argentei, sprigiona pura magia. Per Michele, nella fortezza potrebbe essersi concentrata una sorta di Silicon Valley medievale. E se sul concepimento del misterioso castello si avvicendano teorie a tutt’oggi poco chiare, una cosa è certa: la notte del 16 Maggio, lambiti dai raggi lunari, gli abiti di Gucci hanno brillato più della luminosissima costellazione di Orione

 

Federico II di Svevia, detto lo “Stupor Mundi”

Foto di Castel del Monte, dall’ alto verso il basso: 1) Nessun autore leggibile automaticamente. Idéfix~commonswiki presunto (secondo quanto affermano i diritti d’autore)., CC BY-SA 3.0 <http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/>, attraverso Wikimedia Commons. 2) e 3) Pixabay. 4) 09Alessandra, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, attraverso Wikimedia Commons. 5) Sailko, CC BY 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/3.0>, attraverso Wikimedia Commons. 6) Marcok di it.wikipedia.org, CC BY-SA 2.5 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.5>, attraverso Wikimedia Commons. 7) 09Alessandra, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, attraverso Wikimedia Commons. 8) Sailko, CC BY 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/3.0>, attraverso Wikimedia Commons

Il Palazzo Imperiale di piazza Mignanelli

 

” Mancava solo il ponte levatoio. Per il resto, non difettava nulla al palazzo che domina piazza Mignanelli – a Roma – per sembrare un castello inespugnabile. Le tracce di Propaganda Fide incastonate tra i mattoni, una sala del trono con decine di mappamondi a simboleggiare le terre conquistate, gli interventi degli artisti più notevoli di questo tempo disseminati un po’ ovunque. Come dirimpettaio, l’ Ambasciata di Spagna. Bastava chiudere gli occhi, e la magia si avvera: il palazzo diventa un Palazzo Imperiale – ma a Roma è sufficiente distrarsi un attimo per illudersi che stia ancora lampeggiando il Seicento o per credere che il Medioevo sia in pieno svolgimento.  Dall’ ingresso del Palazzo al numero 22, dal portone su cui svetta imperiosa una V dorata, si ha l’ impressione di dominare l’ universo: l’ ex proprietario del palazzo, oggi lontano in un romitaggio cosmopolita e sofisticato, ci è riuscito. Nel corso di mezzo secolo, Valentino Garavani ha conquistato le donne  (e gli uomini) di ogni continente senza spade nè dardi infuocati. Meglio qualche metro di chiffon, preferibilmente scarlatto. “

 

Tony Di Corcia, da “Valentino. Ritratto a più voci dell’ ultimo Imperatore della Moda”

 

 

 

 

Foto di Lalupa, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

Solomeo

 

” Poco dopo la notte la luce bianca che accompagna l’aurora si diffonde per le strade e lambisce le case di Solomeo accarezzandole. Dalla valle spira un vento leggero che spinge su verso l’antica rocca i profumi della campagna, profumi che aspiro a pieni polmoni come se fossero la vita stessa. Amo passeggiare in questa luce, che favorisce le idee più serene e pure, quando la natura e gli uomini ancora dormono, e tutto sembra un immenso giardino. In queste ore, prima che la porta della vita si spalanchi sulle urgenze degli affari di un industriale, sui molteplici viaggi, sull’imprevedibile serie di incontri con persone che vogliono offrire o vogliono avere, (…) in queste piccole ore sono gratificato dal pensare in quiete vagando per questo borgo dello spirito, del mio spirito, dove ogni pietra, ogni albero, ogni rosa fragrante mi richiama alla mente questo o quel ricordo pieno di tenerezza, nel quale mi riconosco. Di tutte le cose di Solomeo, due hanno radici nel cuore come fiori di piante sempreverdi: il castello, dove nacque tutto, e il teatro, simbolo centrale di quanto è stato e sarà fatto. Lo studiolo del castello, decorato con antiche pitture, con le piccole finestre che guardano il borgo e tutta la valle di Solomeo, è il luogo dei ricordi e delle idee. Stimo le idee, perché le ritengo comunque più importanti delle cose che producono. La mia passeggiata termina sempre lì, in quel luogo magico dove la memoria, la concentrazione e uno stupore eternamente giovane agiscono insieme sul mio animo come uno stimolo vitalizzante. Solo lì posso abbandonarmi in pieno ai ricordi. “

 

Brunello Cucinelli, da “Il sogno di Solomeo. La mia vita e l’ idea del capitalismo umanistico”

 

 

 

 

 

Il Giardino di Ninfa: antiche suggestioni tra natura e incanto

 

Pensate a un luogo fatato, completamente immerso nella natura. Un luogo dove il verde inghiotte lo sguardo, intervallato dal rosa, dal lilla e dal bianco degli alberi in fiore. Corsi e specchi d’acqua si incastonano tra la vegetazione, riflettono torri solenni e resti di antiche dimore, mentre ovunque è un autentico tripudio floreale: magnolie decidue, rose, ortensie rampicanti, glicini, iris palustri, narcisi, ciclamini e moltissime altre specie sono alternate alle ninfee che galleggiano sotto piccole cascate. Su questo paradiso regna il silenzio, spezzato solo dal canto dei volatili, e l’atmosfera che si respira è secolare e intrisa di magia. Un sogno? Niente affatto. Il luogo appena descritto esiste davvero: è il Giardino di Ninfa, Monumento Naturale situato a Cisterna di Latina. Per darvi un’idea della sua magnificenza, basta dire che il New York Times l’ha definito il più bel giardino al mondo. La storia che Ninfa ha alle spalle è antichissima e travagliata. Nell’ età classica, il suo nome era stato dato a un piccolo tempio dedicato alle Ninfe che si ergeva sul lago, ma in epoca romana designava già un villaggio che viveva prevalentemente di agricoltura. A determinare i suoi avventurosi trascorsi fu la strategica posizione geografica in cui Ninfa era collocata: inserita nel vasto territorio denominato Campagna e Marittima, nell’ VIII secolo fu transitatissima poichè la via Pedemontana che si snodava nei suoi paraggi permetteva di raggiungere il Sud senza passare per la via Appia e la via Severiana, allora sommerse dalle Paludi Pontine. A quei tempi, Ninfa apparteneva allo Stato Pontificio. Divenuta un importante centro urbano, ricco di risorse e superbo architettonicamente, nel X secolo iniziò l’ alternanza governativa che la caratterizzò sempre. Al predominio dei vari Papi si succedette quello di dinastie aristocratiche come i Conti di Tuscolo, i Frangipane, gli Annibaldi, i Colonna; nel frattempo, la rilevanza di Ninfa si accresceva sia dal punto di vista economico, che politico e di struttura urbana: tra il 1100 e il 1200 furono costruiti un castello e delle mura difensive.

 

 

Nel 1294, Benedetto Caetani fu nominato Papa con il nome di Bonifacio VIII e quattro anni dopo, per suo nipote Pietro,  acquistò Ninfa e dintorni al costo di 200.000 fiorini. Per la cittadina cominciò il periodo di massimo splendore. Vennero edificati mulini, ospedali, una torre, un gran numero di chiese e di botteghe, le mura e il castello furono ingranditi e rinforzati. A quell’ epoca ebbe inizio il legame tra Ninfa e i Caetani, un rapporto millenario che, tra innumerevoli vicissitudini, durò fino al XX secolo. Per fare una sintesi, potremmo citare alcune date chiave: nel 1382, in seguito al Grande Scisma, Ninfa venne saccheggiata e rasa al suolo dalle truppe che appoggiavano l’antipapa. Tutti i suoi abitanti fuggirono, condizionati anche dalla malaria diffusasi nelle vicine paludi, e persino le chiese rimaste attive vennero abbandonate poco a poco. I Caetani si trasferirono a Roma. Nel 1500, tuttavia, il Cardinale Niccolò III Caetani volle riscoprire le meraviglie naturali di Ninfa e della sua zona. Esaltò quello splendore attraverso un “hortus conclusus” delimitato dalle mura, un “giardino delle delizie” che conteneva un’ incredibile varietà di agrumi, e la sua opera fu portata avanti dal Duca Francesco IV durante il secolo successivo. Il giardino venne impreziosito da fontane e vene d’acqua sorgiva, ma la permanenza del Duca non durò a lungo a causa della malaria.

 

 

I Caetani tornarono a Ninfa solo sul finire dell’ Ottocento. La stupefacente bellezza del luogo, d’altronde, non poteva passare inosservata: fu così che – nel 1920 – Ada Bootle Wilbraham, moglie di Onoraro Caetani,  ripristinò l’idea del giardino. Insieme ai suoi figli Gelasio e Roffredo creò un magnifico “English garden”, stabilendo a Ninfa la residenza di campagna della famiglia. Numerose opere vennero realizzate, come la bonifica delle paludi circostanti e la scerbatura dei ruderi, il palazzo baronale fu restaurato e tramutato in una signorile dimora. In questo periodo il giardino si arricchì di un’ ampia gamma di vegetazione. Roseti mozzafiato ma anche lecci, cipressi, faggi accrebbero il suo appeal naturale, specie botaniche provenienti dall’ estero proliferarono grazie all’ umidità apportata dal fiume.

 

 

 

 

Negli anni ’30 del ‘900 fu l’ intellettuale, collezionista d’arte e mecenate Marguerite Chapin, moglie di Roffredo Caetani, a impreziosire il giardino di nuovi arbusti. A quell’ epoca, inoltre, Ninfa divenne un luogo di ritrovo per letterati e artisti di rilievo: nomi del calibro di Gabriele D’Annunzio, Boris Pasternak e molti altri ancora, associati perlopiù alle riviste letterarie “Commerce” e “Botteghe Oscure” fondate dalla Chapin, erano degli habitué del giardino. Persino Benito Mussolini fu ospite di quell’ area delle meraviglie, che visitò nel 1935 durante la bonifica dell’ Agro Pontino. Leila Caetani, figlia di Marguerite e di Roffredo Caetani, fu l’ ultima erede ad occuparsi del giardino e a conferirgli il suo aspetto definitivo. Lo impreziosì scegliendo accuratamente le specie vegetative e floreali, ne accentuò le armonie cromatiche avvalendosi delle sue competenze pittoriche, evitò ogni tipo di sostanza inquinante. Rose rampicanti, pruni e magnolie stellate davano vita ad autentici angoli di incanto, mentre il “Rock Garden” che Leila realizzò incastonava piante e fiori tra le rovine rocciose delle mura di cinta.

 

 

 

Donna Leila, che visse stabilmente a Ninfa dal 1940 in poi, era un’artista e adorava dipingere, viaggiare, le letture di giardinaggio. Frequentava abitualmente poeti e i maggiori esponenti del mondo dell’ arte. L’ impronta che ha donato al Giardino è inconfondibile: ne perfezionò la struttura all’ inglese e lo elevò alla meraviglia attuale. Nel 1972, inoltre, istituì la Fondazione Roffredo Caetani a tutela di Ninfa e del Castello di Sermoneta, un’altra proprietà di famiglia. Leila Caetani morì cinque anni dopo. La Fondazione, alla quale intestò il Giardino e il Castello, a tutt’oggi si occupa della gestione di entrambi e di preservare la memoria del Casato Caetani.

 

 

 

Dichiarato Monumento Naturale della Repubblica Italiana nel 2000, il Giardino di Ninfa – che quest’ anno festeggia i suoi “Cento anni di bellezza” – attira migliaia di turisti ogni anno. Qualche numero per raccontarvelo: si estende su una superficie di otto ettari, vanta oltre 1300 piante e 100 specie di uccelli censiti. Entrare nei suoi spazi è addentrarsi in un eden naturale, dove ci si perde con lo sguardo e con la mente. Cascate di glicine esaltano le antiche rovine, ciliegi e meli ornamentali ostentano le loro spettacolari chiome, aceri giapponesi donano un tocco esotico allo scenario…Il colpo d’occhio è stupefacente, di quelli che rimangono impressi sine die. E poi, ho una notizia fresca fresca da darvi: da qualche giorno, nei corsi d’acqua del Giardino galleggiano sei cigni appena nati. La Fondazione coinvolge tutti nella scelta dei loro nomi, che potrete suggerire visitando la pagina Facebook del Giardino di Ninfa. Per rimanere invece aggiornati sulle visite, in via di riattivazione dopo la sospensione dovuta al lockdown, non mancate di seguire i social del Giardino. Ve li elenco qui di seguito, augurandovi di poterlo esplorare prestissimo: è un esperienza decisamente imperdibile.

FACEBOOK: https://www.facebook.com/giardinoninfa

SITO WEB: https://www.frcaetani.it/giardino-di-ninfa/

INSTAGRAM: https://www.instagram.com/giardinodininfa/?hl=it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Foto: Archivio Fondazione Roffredo Caetani/Giardino di Ninfa

 

 

“Haunted” di Antonio Marras: quando la moda si fa performance art

Negli spazi della Triennale, dove si snoda il percorso espositivo di Nulla Dies Sine Linea, Antonio Marras ha presentato la sua collezione AI 2017/2018: per la prima volta le creazioni Uomo e Donna hanno sfilato insieme, e si è trattato di un debutto d’eccezione. Il Marras artista celebrato dalla mostra ha tramutato l’ allestimento in una location onirica, suggestiva, spettrale. O meglio Haunted, come ha intitolato la performance che ha tradotto il suo fashion show in una vera e propria pièce teatrale. Antonio Marras ci trasporta in Scozia, nel castello fatato dove visioni, reminescenze e fantomatiche creature si succedono in un pot-pourri che rievoca le atmosfere di Edgar Allan Poe: scenari in cui tutto è immateriale e la realtà sconfina con il sogno. A far da sottofondo, sonorità inquietanti che alternano il rigoglio dell’ acqua a porte che scricchiolano, a vetri che si infrangono, alle note di un pianoforte lontano. E poi, all’ improvviso, una risata sinistra, l’ eco del latrato di un cane: frammenti di ricordi, apparizioni che mescolano il vissuto all’ intangibile calando lo spettatore in un non-luogo dal potente impatto visivo. Al suo interno, si susseguono misteriose presenze e apparizioni: giovani uomini che lanciano aereoplanini di carta, enigmatiche donne in veletta, fanciulle sdraiate su superfici a specchio come eteree ninfe, i gendarmi di Pinocchio con lo sguardo celato da occhialini alla John Lennon.

 La sartorialità dei look è impeccabile, il rétro una costante: se gli scolari indisciplinati indossano suit con pantalone corto, cappotti e parka dal sapore Mod, le “jeunes filles d’antan” sfoggiano long dress a balze con stampe floral, kimono, damascati rifiniti in lamè, tessuti impalbabili riccamente lavorati ed incrostati di paillettes. L’ itinerario prosegue tra figure maschili in coat o chiodo impreziositi da ricami, individui “senza volto”, ragazze che giocano a mosca cieca in ricercati abiti con tanto di “farfalle” applicate. Ovunque spuntano cappelli, copricapo e turbanti con l’ immancabile veletta. Su due scale a pioli, irriverenti, due uomini mangiano il lecca-lecca facendo sberleffi mentre a pochi passi di distanza, tutta tulle e ricami color crema, ecco apparire una sposa.

Maschile e femminile non conoscono barriere nè differenze, si fanno portatori della stessa eleganza estrosa che al leopard print accosta pattern a contrasto e nei ricami floral persino sul completo da caccia incarna un suo leitmotiv. Ai dettagli in pelliccia, ricorrenti, si alterna la sofisticatezza di capi come il cappotto da uomo con mantella, il preziosismo dei decori è minuzioso. Un’ ultima, onirica visione prima di quella di un appassionato ménage à trois: simile a una gigantessa, una donna barbuta sferruzza un’ enorme massa di lana grezza. L’ apparizione è surreale, quasi felliniana. In sottofondo, una porta si chiude e scricchiola: la nostra magica avventura è giunta al termine.

Per vedere il video della performance e della collezione: https://www.antoniomarras.com/