Pasqua, una solennità ricca di simboli

 

Giovedì abbiamo parlato dell’uovo, ma la Pasqua è una solennità piena zeppa di simboli che affondano le loro radici nella religione, nella cultura e nel folklore. La Resurrezione di Cristo, avvenuta tre giorni dopo la sua sepoltura, rappresenta la festività più importante del Cristianesimo: con il passar dei secoli si è andata ammantando, quindi, di molteplici connotazioni simboliche. Di alcuni di questi emblemi si sono perse le origini, mentre altri sono diventati così celebri da essere dati per scontati. Facciamo un po’ di chiarezza e addentriamoci nella ricca iconografia pasquale.

 

L’agnello

 

Simbolizza il sacrificio di Gesù, che ha dato la vita per l’uomo. La tradizione di mangiare agnelli risale alla Pasqua ebraica, il cui nome, Pesah, indicava originariamente la liberazione, ad opera di Mosè, dai lunghi anni di schiavitù che gli Ebrei sperimentarono in Egitto. Fu Mosè, infatti, a guidare il loro esodo verso la Terra promessa. Durante la Pasqua ebraica era tassativo cibarsi degli agnelli per commemorare la salvezza: quando Dio inviò l’ultima piaga, che uccise ogni primogenito egiziano, gli Ebrei (su direttive di Mosè) sacrificarono degli agnelli. Li mangiarono insieme al pane azzimo e tinsero gli stipiti delle porte con il loro sangue. In questo modo, Dio avrebbe potuto riconoscere le loro dimore e risparmiare i loro primogeniti.

 

La campana

 

Il giorno di Pasqua, le campane suonano festosamente per celebrare la Resurrezione di Gesù. Il loro suono comunica gioia, simboleggia la gloria di Gesù risorto. Il Venerdì Santo, invece, giorno della morte di Gesù, le campane suonano a lutto.

 

La colomba

 

Simboleggia la Pace, ma anche lo Spirito Santo, ovvero il Terzo Membro della Santissima Trinità. La Colomba è una figura strettamente legata al Diluvio Universale. Quando il Diluvio si placò, Noè ordinò a una colomba di volare fuori dall’ Arca. La terza volta che lo fece, la colomba tornò con un ramoscello d’ulivo nel becco. Per Noè fu un chiaro simbolo della riconciliazione tra Dio e l’uomo. La colomba divenne quindi un emblema di Pace e della rinascita di Gesù, che si immola sulla croce per la nostra Redenzione: Gesù auspica un mondo all’insegna della Pace e della comunione tra gli uomini. All’inizio del XX secolo, la forma di una colomba cominciò a identificare il dolce pasquale per eccellenza.

 

Il coniglio

 

La lepre, con l’avvento del Cristianesimo, era un simbolo di Cristo. Questo animale infatti non ha una tana, in Primavera vaga liberamente nel bosco. E Cristo si era definito privo di una dimora, di un luogo che lo ospitasse, che gli garantisse il dovuto riposo. Il coniglio vero e proprio, in particolare il coniglio bianco, è una figura molto presente nei paesi del Nord Europa e in quelli anglosassoni (se vuoi saperne di più, rileggi qui l’articolo che VALIUM gli ha dedicato): viene chiamato Easter Bunny e ha il compito di distribuire ai bambini le uova di cioccolato. Probabilmente il coniglio, essendo un animale molto prolifico e che fa la muta in Autunno e in Primavera, divenne un emblema di rinnovamento e di rinascita.

 

La croce

 

All’epoca dell’Impero Romano, una croce di legno veniva utilizzata per dare la morte ai condannati: li si crocifiggeva infliggendo loro un supplizio che provocava una lenta agonia. A rendere ancora più atroce il tormento era la flagellazione che lo predeceva. Gesù venne condannato a morte per crocifissione in quanto la Palestina, all’epoca, faceva parte dell’Impero Romano d’Oriente. Quando Gesù risorse, i credenti cristiani assursero la Croce a simbolo della loro religione e tramutarono quello strumento di tortura in un potente emblema di fede.

 

Il fuoco

 

Con il fuoco che tradizionalmente arde davanti alle chiese la notte di Pasqua, viene acceso il cero pasquale. E’ un rito molto importante a cui i fedeli assistono in massa: il fuoco simboleggia, la vita, la luce, il calore che sconfiggono la morte, l’oscurità e il gelo, ma anche il rinnovamento dello spirito e la luminosità che ci guida verso lo splendore eterno.

 

L’acqua

 

In questo caso, l’acqua è quella del fonte battesimale: durante la veglia pasquale, infatti, si celebra un gran numero di battesimi. L’acqua ha una valenza purificatrice, e il battesimo è un momento di passaggio dal buio alla luce. Battezzandosi si diventa figli di Dio, si abbraccia la luce e si lasciano le tenebre del peccato alle spalle. Con il battesimo rinasciamo a vita nuova proprio come Gesù è morto e risorto.

 

L’ulivo

 

Quando la colomba dell’ Arca ritornò da Noè con un ramoscello di ulivo nel becco, Noè capì subito che l’ira di Dio nei confronti degli uomini era terminata. Il Diluvio Universale si era concluso, la Terra poteva ricominciare a popolarsi. L’ulivo, dunque, divenne un emblema di pace. La Domenica delle Palme, quella che precede la Pasqua, i rami d’ulivo vengono benedetti in ricordo dell’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, dove venne salutato da una folla entusiasta che agitava rami di palma e ulivo.

Foto via Pexels e Unsplash

 

La leggenda di Santa Lucia: il 13 Dicembre del folklore

 

 

Santa Lucia diffondeva la luce dei suoi occhi sulla lunga notte del solstizio.
(Martirologio Romano)

 

Arriva Santa Lucia, la Santa della luce: una delle ricorrenze più importanti del periodo dell’Avvento. VALIUM ha sempre trattato questa festa approfonditamente, evidenziandone vari aspetti a partire dalle celebrazioni organizzate in Svezia (rileggi qui l’articolo). Oggi, invece, rimarremo in Italia e ci concentreremo sulla Lucia del folklore. Perchè la Santa, in certe zone del nostro Paese, è una sorta di precorritrice di Babbo Natale. Ma come nasce questa usanza? Le sue origini si radicano in una leggenda. Santa Lucia, dopo la sua morte, viveva una vita tranquilla nei paesaggi idilliaci del Paradiso. Da San Pietro e gli altri Santi venne accolta con tutti gli onori, fece subito molte amicizie. Però, a poco a poco, la sua serenità iniziale si tramutò in tristezza. Quando San Pietro le chiese quale fosse il problema, Lucia rispose che il pensiero dei bambini che vivevano sulla Terra, in particolare i più bisognosi, le dava tanta malinconia. Allora San Pietro le donò una chiave dorata e le disse che, aprendo una porticina, avrebbe potuto vedere tutti i bambini del mondo. Ma dopo averli guardati per un po’, Lucia scoppiò a piangere: sulla Terra c’erano troppi bambini affamati, che pativano il freddo e non avevano giocattoli con cui giocare. San Pietro, quindi, le diede un’altra chiave e le indicò una nuova porta da aprire. Quando la Santa la spalancò, vide un vero e proprio cumulo di giocattoli, dolciumi, coperte e caldi cappotti. San Pietro le spiegò che appartenevano a dei bambini ricchi e capricciosi: dopo un po’, si erano stancati di quei regali e se ne erano sbarazzati. Aggiunse poi che Lucia avrebbe potuto portare tutto ai bambini poveri, ma aveva a disposizione solo quella notte. Lei accettò con gioia, tuttavia raccogliere la roba accumulata nella stanza non era un compito semplice; San Pietro chiamò dunque Castaldo, un giovanotto robusto che aiutò la Santa di buon grado. Ben presto, il carretto di legno che San Pietro si era procurato si riempì di doni. Lucia era pronta, rimaneva da cercare chi avrebbe trainato il carretto. Insieme a Castaldo e a San Pietro, così, sondò gli animali suoi amici. Ma quando chiese se qualcuno di loro era disposto ad aiutarla, ricevette solo risposte negative. Il gatto disse che l’avrebbe aiutata volentieri, ma era troppo piccolo e gli era impossibile trainare il carretto; il cane che era il miglior amico dell’uomo e doveva rimanere al suo fianco, il bue che era troppo lento, il cavallo che il carretto pesava troppo…Lucia, disperata, si mise a piangere. Il tempo a sua disposizione si sarebbe esaurito velocemente e i bambini poveri avrebbero continuato a patire il freddo carichi di tristezza. Improvvisamente, però, si udì un lungo raglio: era arrivato un asinello, che dichiarandosi forte e veloce si offrì di trainare il carretto ricolmo di doni. Lucia ne fu felicissima, lo abbracciò e prese a battere le mani. Da allora, nella notte tra il 12 e il 13 Dicembre, Santa Lucia, Castaldo e l’asinello tornano ogni anno a portare regali ai bimbi buoni.

 

 

La tradizione di Santa Lucia portatrice di doni è diffusa in molte regioni e province dell’ Italia settentrionale: la ritroviamo in Trentino, a Udine e nella sua provincia; in Lombardia Santa Lucia si festeggia nelle province di Brescia, Bergamo, Lodi, Cremona e Mantova, mentre in Veneto il carretto della Santa “arriva” a Verona e nell’area Sud-Ovest della regione. In Emilia Romagna, invece, sono coinvolte le province di Parma, Piacenza e Reggio Emilia. Secondo il folklore popolare, la sera del 12 Dicembre Lucia scende dal cielo vestita interamente di bianco, un chiaro emblema di luminosità (non dimentichiamo che, in questo periodo dell’anno, gli antichi popoli celebravano il graduale ritorno della luce). Il carretto ricolmo di doni viene trainato dall’asinello e accanto alla Santa c’è Castaldo, che l’aiuta nella consegna dei regali. L’usanza vuole che sul portone di casa o sul davanzale si lascino biscotti e vin santo per Lucia e fieno e carote, oppure latte, per l’asinello, un animale generoso e umile che aiuta l’uomo nei lavori più pesanti. Quando il carretto percorre le vie dei paesi, Santa Lucia suona un campanellino d’argento: in quel momento i bambini devono essere tutti a letto, altrimenti non riceveranno alcun dono. E a chi non dorme, o rimane sveglio per vederla entrare nella propria casa, la Santa lancerà cenere negli occhi per impedirgli di scorgerla e dimenticarla nel caso l’abbia vista. La conditio sine qua non per ricevere i regali, insomma, è essere un “bravo bambino”. E i bravi bambini vanno a letto presto, ma soprattutto non cercano di spiare il passaggio di Santa Lucia.

 

 

Anche perchè ai bambini che si comportano male, la Santa consegna del carbone anzichè i regali: un dettaglio che rievoca la figura della Befana. C’è un altro particolare importante, legato alla tradizione. La stesura, cioè, di una lettera dove i bambini scrivono l’elenco dei doni che vorrebbero ricevere, con la promessa di tenere, in cambio, un comportamento impeccabile in qualsiasi circostanza. La lettera (che ricorda quelle scritte a Babbo Natale) viene affiancata agli omaggi per la Santa e l’asinello la sera del 12 Dicembre. La mattina dopo, i bambini potranno ammirare i propri doni in tutta la loro magnificenza.

 

 

Le tradizioni che variano di zona in zona mirano a tener viva la leggenda di Santa Lucia, e la onorano in diversi modi. In provincia di Cremona, ad esempio, i bimbi preparano personalmente i biscotti che offrono alla Santa: si mettono al lavoro nel pomeriggio per averli già pronti per la sera. La “strozega”, invece, è una parata che i bambini effettuano in Trentino e nell’area del Garda; mentre avanzano, trascinano una corda a cui sono legati svariati barattoli di latta: un modo per farsi udire da Santa Lucia, che non può vederli essendo priva degli occhi. Questa sfilata viene organizzata ogni 12 Dicembre. Non mancano, poi, le fiere e i mercatini intitolati alla Santa. A Verona, dal 10 al 13 Dicembre si tiene una fiera composta da oltre 300 bancarelle: i Banchetti di Santa Lucia. Tra prodotti dolciari, tipicità gastronomiche, decorazioni natalizie e artigianato locale non mancano le caratteristiche  “frolle” di Santa Lucia, dei biscotti a base di farina, burro e zucchero a forma di stella, albero di Natale, cuore e così via. La sera del 12, tutta la famiglia è coinvolta dall’arrivo della Santa: dopo cena, ognuno mette a tavola un piatto vuoto cosicchè, durante la notte, Lucia lo possa riempire di dolciumi. Anche a Bergamo è in programma un mercatino, dove i profumi e i sapori del Natale danno vita a un appuntamento irrinunciabile; secondo la tradizione, inoltre, i bambini consegnano le loro lettere a Santa Lucia nella chiesa che le è stata dedicata. In molti paesi della provincia di Bergamo, la Santa distribuisce i suoi doni in piazza: i bambini, per riceverli, si riuniscono proprio lì. Questo tipo di evento è generalmente organizzato dai vari Comuni. Com’è ovvio, è impossibile citare qui tutte le iniziative dedicate alla festa del 13 Dicembre; ciò che conta, è cogliere il significato atavico insito nelle celebrazioni di Santa Lucia: la luce che trionfa, seppure impercettibilmente, sul buio; il bene che trionfa sul male. Perchè il giorno che segue alla cosiddetta “notte più lunga dell’anno” assume una profonda valenza simbolica. Da qui l’importanza rivestita dalle candele, emblemi di luminosità per eccellenza insieme alle fiaccole e i falò che si accendono, non a caso, durante il Solstizio d’Inverno.

 

 

Illustrazione di copertina di Jenny Nyström, immagini via Pixabay

 

Il nero, il lato oscuro di Halloween

Lanvin

Un nero intenso, sinistro, che non lascia scampo: è l’altro colore del doppio volto di Halloween, il lato oscuro e più spettrale della festa. Si ispira al tema orrorifico evoluto dal culto dei defunti di Samhain, la notte in cui cadeva ogni barriera tra il mondo dei morti e quello dei vivi. Halloween ha enfatizzato questo aspetto al punto tale da tramutarlo in un’ ode al macabro, la cui iconografia conosciamo bene. Teschi, scheletri, vampiri, mostri, pipistrelli e tutto ciò che è spaventoso, o rimanda all’ oltretomba, sono proliferati fino a diventare degli emblemi del 31 Ottobre al pari della zucca. Dopo l’arancio, dunque, tocca al nero: ecco a voi una serie di look intrisi di suggestioni gotiche e di oscura meraviglia.

 

Yohji Yamamoto

Shiatzy Chen

Chen Peng

Ann Demeulemeester

Moschino

Avellano

Valentim Quaresma

Enaut

Louise Lyngh Bjerregaard

Dawei

Annakiki

Anteprima

Carlos Gil

Luis Carvalho

Marco Rambaldi

Onitsuka Tiger

Off-White

Budapest Select

Del Core

Foto di ispirazione Halloween via Pexels e Unsplash

 

Happy St.Patrick’s Day

 

Buon San Patrizio! Ormai, complice anche la massiccia diffusione dei Pub a livello internazionale, il 17 Marzo si festeggia in molti paesi del mondo e non solo in Irlanda o dove la comunità irlandese è numericamente rilevante (come negli Stati Uniti). Prova ne è il fatto che ognuno di noi conosce, più o meno, gli emblemi del St.Patrick’s Day: in primis la supremazia del verde, il colore che simboleggia l’ Irlanda (non a caso definita “la verde Irlanda”). Oggi è d’obbligo indossare qualcosa di verde, la tonalità prediletta dalle fate ma anche quella della natura e del suo risveglio. Il verde, poi, si ricollega direttamente al trifoglio, un altro elemento ricco di significato. In Irlanda il suo nome è shamrock, dal gaelico “seamrog”, “giovane trifoglio”; per la botanica è il Trifolium Repens, e da Aprile ad Ottobre dà vita a un tripudio di minuscoli fiori bianchi. Gli antichi Celti, in particolare i Druidi, conferivano al trifoglio una potente valenza mistica. Le sue foglie, essendo tre, rimandavano al numero sacro della “Triplice Dea”; in più, veniva utilizzato come pianta curativa, per tenere a distanza le entità maligne e prevedere il futuro. Ad esempio, se le sue foglie si posizionavano verso l’alto si riteneva che il brutto tempo fosse in agguato. Ma il trifoglio è soprattutto legato alla figura di San Patrizio: pare che il Santo si servì delle sue foglie per spiegare il mistero della Trinità quando evangelizzò l’Irlanda.

 

 

La prima testimonianza del cospicuo utilizzo del trifoglio nell’ “isola di Smeraldo” risale al 1681: l’antiquario inglese Thomas Dineley ne parlò nel suo diario, “The Journal of Thomas Dineley”, un resoconto del viaggio in Irlanda che aveva effettuato. Dineley notò che il giorno di San Patrizio gli irlandesi indossavano croci e trifogli al tempo stesso. Due secoli dopo, sotto il regno della Regina Vittoria, il trifoglio divenne il simbolo per eccellenza della ribellione. In realtà lo era già da molto tempo prima, precisamente dal 1798, quando la United Irishmen Rebellion tentò di tramutare l’ Irlanda in una repubblica indipendente. La Regina Vittoria, in seguito, stabilì che tutti coloro che indossavano il trifoglio sulla propria divisa militare sarebbero stati puniti con la morte, il che probabilmente rafforzò la valenza sovversiva a cui gli irlandesi associavano la pianta. A tal proposito esiste una canzone, “Wearing of the green”, che ribadisce l’ orgoglio nazionale dell’ isola: il trifoglio divenne un simbolo di cui andare fieri, la rappresentazione di un supremo ideale.

 

 

La croce celtica è, senza dubbio, un’altra icona irlandese. Anche in questo caso, a fare da protagonista è la figura di San Patrizio. La leggenda narra che quando Papa Celestino I incaricò il Santo di evangelizzare le isole britanniche, l’ Irlanda in particolare, egli ottenne un immenso successo nel perseguire la sua missione. L’apostolato di San Patrizio nell’ Eire ebbe inizio tra il 431 e il 432. Dopo gli anni trascorsi in cattività sulla Slemish Mountain, il futuro patrono dell’ Irlanda poteva considerarsi un profondo conoscitore della cultura, della lingua e del credo locali. Ciò che rese straordinaria l’evangelizzazione di San Patrizio fu il rispetto dimostrato dal Santo nei confronti del paganesimo di matrice celtica imperante nell’ isola: non tentò di demolirlo in alcun modo, decise anzi di combinarne molti elementi con la fede cristiana per favorire l’assimilazione di quest’ ultima presso il popolo d’Irlanda. All’utilizzo del trifoglio come metafora della Trinità seguì un episodio altrettanto incisivo: San Patrizio fuse l’icona della croce cristiana con il sole, un simbolo di estrema importanza per i Celti. Il risultato fu la Croce Celtica, nel paganesimo strettamente connessa al ciclo di morte e rinascita delle stagioni.

 

 

Per concludere, un emblema giocoso e onnipresente in tutte le celebrazioni del giorno di San Patrizio: il Leprechaun. Le origini di questo nome sono controverse, si pensa che derivino dal gaelico moderno “leipreachàn”, ovvero “piccolo spirito”. Quel che è certo è che il Leprechaun è un popolarissimo folletto, o gnomo, irlandese. Appartiene al popolo delle fate e pare che vivesse sull’isola ancor prima ancora che vi si stabilissero i Celti. Il Leprechaun è un ciabattino – particolare che ha fatto risalire il suo nome a “leath bhrògan” (in irlandese, appunto, “ciabattino”) – e un gran burlone al tempo stesso. Prende di mira gli avari e i ladri, ma la sua scaltrezza si dimostra soprattutto quando deve difendere il tesoro che possiede: eh già, questo folletto solitario e imprendibile (se lo si vuole trattenere, però, basta guardarlo fisso negli occhi) nasconde smisurate ricchezze nei posti più impensati. Addirittura, pare che possieda un’enorme pentola piena di monete d’oro collocata alla fine dell’arcobaleno. Tutti coloro che tentano di estorcergli il nascondiglio del suo tesoro, tuttavia, rimangono con un palmo di naso. In queste circostanze, il Leprechaun rivela una grande astuzia e uno spiccato senso della beffa. Il giorno di San Patrizio decreta il trionfo del folletto burlone: la sua maschera inaugura tutte le parate, il suo ritratto campeggia in tutti i negozi. Come vuole la tradizione, inoltre, gli irlandesi sono soliti offrire al Leprechaun un bicchiere di latte posato sul davanzale della finestra.