31 Dicembre: la notte di Capodanno e la tradizione dei botti

 

 

“Buon anno a tutte le cose: al mondo! al mare! alle foreste! Buon anno a tutte le rose che l’inverno prepara in segreto. Buon anno a tutti coloro che mi amano e stanno ad ascoltarmi… E buon anno, nonostante tutto, anche a tutti coloro che non mi amano.”
(Rosemonde Gérard)

 

Capodanno: botti e brindisi, oro e argento, balli sfrenati e fuochi d’artificio. Ma come nasce la tradizione dei botti, così dannosa per i nostri amici a quattro zampe? Per scoprirlo, dobbiamo ritornare indietro nel tempo. Precisamente al 191 a.C., quando, nell’antica Roma, il pontefice massimo spostò il Capodanno al 1 Gennaio; prima di allora, infatti, l’anno terminava a Marzo. Il “pontifex maximus”, attuando questo cambiamento, si ispirò a quanto aveva originariamente stabilito il secondo re di Roma Numa Pompilio. Non era un caso che i romani avessero dedicato il mese di Gennaio a Giano, il dio Bifronte, che guarda contemporaneamente al passato e al futuro. Tuttavia, quando l’anno volgeva al termine, i Saturnali celebravano Saturno con tutti gli onori: l’imperatore Domiziano decretò che si svolgessero dal 17 al 23 Dicembre. Questo periodo di festività era contraddistinto da banchetti, sacrifici e da un’immensa sfarzosità, ma soprattutto dall’inversione dei ruoli. Gli schiavi potevano assaporare il piacere della libertà e farsi servire dai padroni, ma non solo: l’elezione di un princeps, che indossava abiti di un rosso sgargiante (la tonalità caratteristica degli dei) e una maschera grottesca, mirava a mettere in ridicolo la nobiltà. Al princeps venivano conferiti pieni poteri, e poteva impersonare sia Saturno che altre divinità. I Saturnali erano stati istituiti con un duplice scopo. La trasgressione delle regole e il sovvertimento delle classi sociali venivano reputati fondamentali affinchè l’ordine fosse ripristinato dopo il caos più totale; inoltre, i romani identificavano l’Inverno con il periodo in cui gli dei, emersi dalle viscere del sottosuolo, girovagavano sulla terra: allo scopo di ingraziarseli, e di propiziare i raccolti futuri, la popolazione istituiva feste a loro dedicate e li omaggiava con dei doni.

 

 

Le celebrazioni erano, anzi, dovevano essere, eccessive, smodate, “rumorose”, tant’è vero che i Saturnalia sono stati paragonati alle odierne feste di Carnevale. Arrivando ai nostri giorni, possiamo facilmente constatare che quel tipo di caos (pur con le dovute variazioni) è parte integrante dei festeggiamenti dell’ultima notte dell’anno: oggi i petardi, i fuochi pirotecnici e d’artificio la fanno da padrone. Persino al ristorante, oppure a casa o al veglione, stappare lo spumante con il botto trionfa su ogni regola di bon ton. Viene spontaneo chiedersi perchè i botti di Capodanno ci piacciano così tanto. La risposta è semplice: in tempi molto antichi, il frastuono o rimbombo prodotto da determinati strumenti musicali veniva utilizzato per allontanare gli spiriti maligni. Un rumore secco il più possibile, come può esserlo uno scoppio, metteva in fuga i demoni, i vampiri, le entità malvagie provenienti dall’aldilà; ciò era valido in tutte le culture. Un botto, insomma, poteva scacciare qualsiasi ombra si facesse largo nel buio dell’Inverno. Persino in Cina, tanto per fare un esempio, l’esplosione dei petardi e dei fuochi d’artificio è un must imprescindibile del Capodanno.

 

 

E poi c’è il ballo, che la notte del 31 Dicembre è sfrenatissimo. Le danze rituali, fin dalla notte dei tempi, sono state un denominatore comune di qualsiasi civiltà: danzando si inneggia al prossimo ciclo stagionale, al risveglio della terra, alla fertilità della natura (ma anche degli esseri umani). A Capodanno, l’euforia e l’ebbrezza regnano sovrane, e in quest’atmosfera lo spumante gioca un ruolo essenziale. Lo stesso cenone, interminabile, ricco di cibi e di bevande, ci riporta ai banchetti che gli antichi popoli organizzavano per propiziare l’abbondanza dei frutti della nuova stagione. Tornando ai balli e alla Roma antica, potremmo menzionare i Salii, un collegio sacerdotale istituito dal re Numa Pompilio: i Salii si esibivano in una danza che includeva dei salti al ritmo della musica. Se i salti dei Salii fossero risultati molto alti, avrebbero favorito un’elevata crescita del grano.

 

 

Anno nuovo vita nuova

 

 

Chi mangia lenticchie il primo dell’anno, tocca i soldi tutto l’anno

 

 

Anno bisesto, anno funesto

 

 

L’anno vecchio se ne va e mai più tornerà

 

 

Anno di neve, anno bene

 

 

Chiara notte di Capodanno, dà slancio a un buon anno

 

 

Chi lavora a Capodanno, lavora tutto l’anno

 

 

Capodanno senza luna, sette nevi sopra una

 

 

Per l’anno nuovo, tutte le galline fanno l’uovo

 

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Dicembre, il look del mese

 

A Dicembre, il look si tinge di rosso: non è un caso che sia il colore del Natale. Un total red fiammeggiante, vibrante e festivo esalta il lungo abito impalpabile e fluttuante. L’abito ha maniche a sbuffo trasparenti e uno scollo profondo sulla schiena; la gonna, ampia e drappeggiata in vita, danza con i movimenti e vanta un accenno di strascico. Questo outfit, straordinariamente scenografico, rievoca la suggestività delle fiabe di Natale. Ma lo fa in chiave moderna: al posto delle scarpette di cristallo, la rutilante principessa indossa un paio di sneakers bianche. Gli elementi che associano il rosso al 25 Dicembre sono molteplici. Nel Medioevo questo colore era considerato regale, un emblema di prosperità. Anche nell’ambito sacro: tant’è vero che la sontuosità del divino veniva cromaticamente tradotta in un connubio di rosso e oro. Il rosso simboleggia anche il sangue di Cristo, il suo supplizio, il sacrificio della sua morte per la redenzione universale. Sin dall’epoca pre-cristiana, inoltre, il rosso è stato legato alla vita e alla fertilità; non a caso rimandava ai riti celebrati a fine anno per propiziare il nuovo raccolto. Il fiore simbolo della Natività non poteva essere che rosso: la Stella di Natale, una pianta ornamentale diffusissima e molto regalata. Nonostante le apparenze, tuttavia, i suoi fiori sono piccoli e gialli; a sfoggiare un vivido scarlatto è la corona di brattee (foglie modificate) che li accompagna.

 

 

Il rosso, abbinato all’oro, è anche il protagonista del make up del mese. La bocca, di un rosso intenso, fa pendant con l’abito; l’oro illumina le palpebre avvalendosi di un finish shimmer e di una texture vellutata. Emblema sempiterno di luce, l’oro viene connesso al sacro sin dalla notte dei tempi. Essendo un metallo incorruttibile, rimane immutabile: non varia né in colore né in lucentezza. Di oro venivano ricoperte le statue, precedentemente costruite in pietra o legno, per garantire la loro inalterabilità. L’oro tra i capelli era un segno distintivo degli imperatori romani, giacché rimandava al divino. I luoghi di culto della Mesopotamia rifulgevano d’oro e di pietre preziose, e che dire dei mosaici bizantini? Le loro tessere dorate sono un tripudio di riflessi vibranti, quasi in movimento. Proporre un look di Dicembre all’insegna del rosso e dell’oro, dunque, può essere una scelta tutto fuorchè banale: i significati intrinseci di questi due colori li rendono perfetti per esprimere sia l’aspetto sacro che profano che contraddistingue l’ultimo mese dell’anno.

 

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Foglie morte

 

E’ mite il ghirigoro
d’aria e di luce
che accompagna
al suolo
la resa delle foglie
sui viali lungo il fiume.
(Mario Luzi)

 

Le foglie morte: un tratto distintivo dell’Autunno. Hanno molteplici colori, rappresentano una meraviglia stagionale sia prima che dopo essere cadute dai rami. Prima, perchè tingono i boschi e i parchi di tonalità mozzafiato, dopo, perchè danno vita ad autentici tappeti naturali fondamentali per la fertilità del suolo e per offrire riparo alla fauna selvatica. Ma le foglie morte ci ricordano anche l’inesorabile ciclo dell’esistenza: si muore per rinascere. Ecco perchè, a pochi giorni dall’Equinozio d’Autunno, ho deciso di regalarvi una photostory che inneggia alla bellezza e al tripudio cromatico delle falling leaves.

 

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Midsommar, la festa svedese di Mezza Estate

 

In Svezia, come ho già accennato nell’articolo dedicato al Solstizio d’Estate, la Midsommar, o festa di Mezza Estate, è la più celebrata dopo il Natale. Si svolge nel weekend che segue il Solstizio ed è salutata da un’euforia generale: solitamente viene festeggiata in campagna, in mezzo alla natura, per sancire il ritrovato connubio tra l’uomo e il creato dopo i rigori invernali. Nelle città, le location sono invece rappresentate dai grandi parchi svedesi; a Stoccolma, per esempio, la Midsommar si celebra al parco Skansen, il museo all’aperto più antico al mondo. Imprescindibile è la presenza del midsommarstång, il nostro “albero del Maggio”, che viene ornato di fiori, foglie, piante rampicanti, ghirlande floreali e decorazioni simboliche. Attorno al palo si danza, si canta: sono riti ancestrali che propiziano la fertilità della terra e un copioso raccolto autunnale. Gli svedesi si riuniscono con le loro famiglie, i parenti e gli amici per organizzare gioiose tavolate all’aria aperta. Eh già, perchè la Midsommar è una festa conviviale; si mangia e si beve insieme in abbondanza, approfittando del ritorno della luce per assaporare le più tipiche delizie svedesi.

 

 

I cibi tradizionali includono le aringhe in salamoia cucinate in svariati modi (buonissime quelle con panna ed erba cipollina), il salmone marinato, le patate novelle e fragole svedesi in quantità, particolarmente dolci. Bere è un must, in quanto sottolinea l’atmosfera di giubilo per l’arrivo dell’estate: i brindisi di grappa speziata si susseguono accompagnati dagli snapsvisor, caratteristici ritornelli scandinavi che inneggiano alla bontà della bevanda. Potremmo definirli dei versi messi in musica, quasi degli stornelli, che precedono ogni shot di grappa.

 

 

I fiori di campo la fanno da padrone sia sul midsommarstång che come elementi ornamentali della festa. Uno su tutti? Le coroncine di fiori che le giovani donne sfoggiano, intrecciate rigorosamente a mano. Una tradizione prevede che le ragazze raccolgano fiori di campo e che ne posizionino, quella stessa notte, sette diverse specie sotto il cuscino: potranno vedere in sogno il loro futuro marito. La Mezza Estate, in Svezia, è una festa nazionale. Le città si svuotano, molte attività chiudono i battenti e chi può, come ho già detto, si riversa nelle località agresti. All’aperto si organizzano giochi, ci si bagna nei fiumi, si accendono gli immancabili falò in prossimità delle acque se non sull’acqua addirittura. Ma soprattutto ci si corteggia, si imbastiscono flirt, ci si innamora: pare che in Svezia, intorno a Marzo e Aprile, si verifichi un picco delle nascite. Non è un caso che questi neonati siano stati ribattezzati “Midsommar barn”, ovvero “bambini di Mezza Estate”.

 

 

Il dolce più noto della Midsommar è senza dubbio la Jordgubbstårta: si tratta di una golosissima torta di pan di spagna guarnita con deliziosa crema pasticcera, panna, meringhe, fragole e granella. La torta, molto soffice, può essere stratificata e farcita con le fragole a pezzetti affiancate dalla chantilly e dalla panna montata; le fragole intere, le meringhe e dosi massicce di panna montata abbonderanno, poi, sulla superficie della Jordgubbstårta. Inutile dire che un dolce del genere fa salire alle stelle l’entusiasmo che impregna la festa di Mezza Estate

 

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Solstizio d’Estate: rituali e tradizioni in giro per il mondo

 

Solstizio. Il tempo sembra fare una sosta e guardarsi intorno in una sospensione di luce.
(Fabrizio Caramagna)

 

L’estate arriva oggi, un giorno prima rispetto al 21 Giugno, esattamente alle 22.51. E pare che dal lontano 1796 il Solstizio non fosse mai caduto così in anticipo: stiamo parlando di ben 228 anni fa! Nell’emisfero boreale inizia l’estate astronomica, i raggi del sole sono posizionati perpendicolarmente al Tropico del Cancro e l’astro infuocato risplende alla massima altitudine. E’ il giorno più lungo dell’ anno: in Italia avremo dalle 14 e mezzo alle 16 ore di luce consecutive. Il Solstizio d’Estate rappresenta, fin da tempi remotissimi, una delle date più importanti e festeggiate dell’anno. Non è difficile immaginare il perchè: la potenza solare è al suo apice, emana un’energia che ha a che fare con la vita stessa. La natura esplode rigogliosa, è tempo di raccolto, che per gli antichi popoli costituiva il sostentamento quotidiano. Ho parlato con dovizia di particolari, negli anni scorsi, del Solstizio d’Estate e delle sue caratteristiche: per rileggere l’articolo del 2023, cliccate qui. Oggi, invece, andremo alla scoperta di come Litha (così i pagani chiamavano il sabbat che celebravano il 21 Giugno) viene celebrato in alcuni paesi del mondo.

 

 

In tutte le culture, il Solstizio d’Estate è una data fortemente connessa con il Sole, la vita e la natura (che sono infatti un tutt’uno). I festeggiamenti più comuni riguardano l’accensione dei falò, simboli solari che esaltano il vigore dell’astro e hanno una funzione beneaugurante e purificatoria. L’energia del Sole, per gli antichi popoli, si concentrava nelle “ley lines”, le linee temporanee che congiungono luoghi ed elementi dall’importante valenza mistica. Ciò valeva anche per i dolmen, i mehir e i cerchi di pietre, monumenti in cui rientrano i megaliti di Stonehenge: il giorno del Solstizio i cristalli di caricano di energia solare, e le pietre di Stonehenge, ricche di quarzo, sono direttamente coinvolte in questo fenomeno. Ecco perchè miriadi di moderni druidi e persone comuni si ritrovano ogni anno nel sito neolitico dello Weltshire, in Inghilterra, per ammirare l’alba del Solstizio.

 

 

Il Sole sorge sempre sulla Heel Stone, il megalito più massiccio che dista circa 75 metri dal complesso di pietre, e in inverno tramonta nello stesso punto. Nei paesi del Nord Europa si celebra la Mezza Estate (Midsommar), e i festeggiamenti vanno dal 21 al 25 Giugno: un periodo che include sia il Solstizio d’Estate che la ricorrenza di San Giovanni Battista. In Svezia, nelle zone rurali, le celebrazioni raggiungono l’apice tra tavolate all’aperto, bevande e cibo a volontà; tra le pietanze tradizionali troviamo le aringhe, le uova sode, le patate novelle bollite, il knäckebröd (un tipico pane croccante) spalmato di formaggio e fragole in abbondanza come dessert. Il clou della festa sono però i balli intorno al palo adornato di ghirlande floreali, il Midsommarstång , un rito antichissimo (pare che risalga al 1500) finalizzato a propiziare la fertilità della terra.

 

 

Un altro rituale immancabile nei paesi scandinavi è rappresentato dagli enormi falò che vengono accesi alla vigilia dei festeggiamenti. Come in molte altre località, i fuochi tengono a debita distanza le entità malvagie e sono di buon auspicio per il raccolto. La particolarità dei falò scandinavi è quella di ardere in prossimità dei laghi, dei fiumi o del mare, creando un effetto di immensa suggestività. In Finlandia, la Mezza Estate è la festa nazionale di maggior rilevanza. Viene considerata la “notte bianca” per eccellenza e si celebra in campagna: il sole di mezzanotte la dota di un scenario straordinario. Un tempo era comune sposarsi in queste date o compiere incantesimi inneggianti all’amore e alla fecondità. Molto importante era anche (e lo è tuttora) bere e gozzovigliare, poichè si pensava che il rumore spaventasse gli spiriti maligni e aprisse le porte alla fortuna. Oggi, all’ antico rito dei falò si alternano la sauna, le danze, le grigliate all’aria aperta e le gite in barca.

 

 

In Spagna le celebrazioni del Solstizio coincidono con la festa di San Giovanni Battista, e come in Italia le tradizioni della vigilia sono numerosissime: la principale riguarda l’accensione dei falò, che hanno una funzione purificatoria per l’esteriorità e l’interiorità di ognuno. Saltare sopra le fiamme è altamente beneaugurante. Più volte si salta, meglio è; farlo tre volte di seguito garantisce buona sorte fino alla fine dell’anno. Un altro rituale vede invece protagonista l’acqua, nello specifico quella dell’oceano: l’usanza del bagno di mezzanotte mira a scacciare le entità malvagie “annegandole” tra le onde.

 

 

A proposito di oceano, un’interessante cerimonia tradizionale si tiene al di là dell’Atlantico, precisamente in Bolivia: sulla Isla del Sol, collocata nel lago Titicaca, il popolo Quechua organizza festeggiamenti a base di danze e musiche tradizionali. Risuonano i tamburi, si espande l’ipnotica melodia del siku (un tipico strumento a fiato andino simile al “flauto di Pan”), si eseguono riti che omaggiano la Pachamama – in quecha “Madre Terra”,  venerata da tutti gli indigeni delle Ande – e inneggiano alla sua fertilità.

 

 

Ritorniamo dall’altra parte dell’oceano, dove in paesi dell’Est come la Polonia, la Bielorussia, la Russia, la Lituania e l’Ucraina il Solstizio si celebra la notte di Ivan Kupala, San Giovanni Battista, ovvero tra il 23 e il 24 Giugno per chi segue il calendario gregoriano. E’una festa molto sentita che include diversi rituali: tutte le donne indossano una corona di fiori, si accendono falò e ci si approvvigiona di erbe magiche, proprio come da noi. Anche in questo caso, il fuoco e l’acqua rivestono dei ruoli fondamentali. Il primo ha soprattutto una funzione divinatoria: secondo la tradizione, le coppie di fidanzati devono saltare sulle fiamme tenendosi per mano; se dopo il salto le loro mani rimangono unite, sono fatti l’uno per l’altra. Nell’acqua, invece, si gettano le corone di fiori delle donne, che a conclusione della festa vengono lasciate galleggiare lungo il fiume. Ma la notte di Ivan Kupala l’acqua la fa davvero da padrone: molti giovani la utilizzano per fare scherzi o bagnare le persone che passano per strada.

 

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Il ritorno delle rondini e la loro importanza per l’ecosistema

 

Bisogna essere leggeri come una rondine, non come una piuma.
(Paul Valery)

 

Che fine hanno fatto le rondini? Se le osserviamo mentre sfrecciano nel cielo, finalmente di ritorno dopo giorni e giorni di maltempo, notiamo che sono sempre meno numerose rispetto agli anni scorsi. Quando ero bambina il loro arrivo, i loro garriti, il loro volo che sembrava sfiorare le nuvole annunciava l’inizio della Primavera. Oggi è raro vederle a Marzo, e persino ad Aprile. Generalmente ricompaiono a Maggio, quando il clima è mite a sufficienza e il sole splende. Ma perchè così tardi, e perchè il loro numero si è così ridotto? Pare che ciò sia dovuto al massiccio utilizzo delle sostanze chimiche nell’agricoltura intensiva, che ha determinato una netta diminuzione degli insetti: nutrendosi essenzialmente di zanzare, mosche, libellule e scarafaggi, le rondini non hanno più a disposizione “pasti” appetibili. Anche i cambiamenti climatici, responsabili di drastiche variazioni nelle temperature, hanno influito su quel fenomeno pesantemente. E pensare che le rondini, in quanto uccelli migratori, affrontano un lungo e travagliato viaggio per tornare in Europa dall’ Africa, dove si rifugiano durante la stagione fredda. Spostandosi in immensi stormi, a Primavera risalgono il deserto del Sahara o la valle del Nilo dirette verso il nostro continente. Non volano ad alta quota come quando le ammiriamo, preferiscono sfrecciare a basse altitudini, e riescono a percorrere distanze di 320 km al giorno viaggiando a 50 km orari. Dall’ Africa all’ Europa, le rondini compiono annualmente circa 11.000 km. Quelle che vediamo in Italia, di solito, in Inverno si rifugiano nell’ Africa centrale. Sto parlando della rondine comune, contraddistinta dalla coda biforcuta e dal bicolore blu scuro-grigio che le tinge, rispettivamente, il dorso e il ventre. Pesa solo 20 grammi e non raggiunge i 20 cm di lunghezza, ma è veloce come un razzo!

 

 

Se la rondine comune ha questo tipo di caratteristiche, quali sono gli uccelli che le somigliano? Innanzitutto i rondoni, poi i balestrucci. Preferisco però soffermarmi sui primi, elencandovi le differenze principali tra le due specie: della rondine, appartenente all’ ordine dei Passeriformi e alla famiglia delle Hirundinidae, in Europa è diffusa la sottospecie chiamata Hirundo rustica; il ventre chiaro è il suo segno distintivo. Il rondone, il cui nome scientifico è Apus apus, appartiene all’ ordine degli Apodiformi e alla famiglia delle Apodidae. Il suo ventre è scuro, come il dorso. Inoltre, il rondone è in grado di raggiungere velocità incredibili e riesce persino ad assopirsi durante il volo. Un altro particolare che contribuisce a distinguere le rondini dai rondoni è il loro nido, che realizzano in maniera diversa: le rondini sono solite “fabbricarlo” con il fango delle pozzanghere, mescolandolo con erba e piume e collocandolo preferibilmente sotto le grondaie, mentre i rondoni optano per le cavità degli edifici e le fessure che si aprono lungo i muri. Anche le zone che li vedono più presenti differenziano rondini e rondoni. Le rondini prediligono la campagna, i rondoni la città.

 

 

Tornando alla rondine, dobbiamo sapere che entra in cova al principio di Maggio. E qui mi riallaccio al discorso iniziale, ossia alle rondini che sono sempre di meno: in virtù di ciò, la legge ha tassativamente vietato di eliminare o danneggiare i loro nidi, dove due volte all’anno depongono quattro o cinque uova che sia il maschio che la femmina della specie covano per circa un paio di settimane. I cuccioli di rondine diventano “adulti” a 20 giorni, e non è raro vederli prendere il volo in un lasso di tempo così breve. Negli ultimi anni, i nidi dell’ Hirundo rustica si sono concentrati nei sottotetti delle case: come ho già accennato e ora ribadisco, evitate assolutamente di rimuoverli, perchè le rondini e i loro nidi sono protetti dalla legge. Ma non solo per questo. Le rondini, infatti, sono uccelli importantissimi per il mantenimento dell’ecosistema.

 

 

Essendo un insettivoro, la rondine si ciba di molti insetti dannosi per le coltivazioni agricole. Per esempio la Piralide, un noto parassita del mais. In più, nutrendosi delle mosche e dei tafani che ronzano intorno ai bovini, li lascia più liberi di produrre concime sotto forma di letame, essenziale per incrementare la fertilità dei campi. Le rondini sono utilissime ai fini di proteggere la biodiversità: la loro funzione è essenziale proprio per questo. Rispettiamole, e garantiamo la loro sopravvivenza.

 

 

Abbiamo parlato del ritorno delle rondini; ma quando se ne vanno? Naturalmente con l’approssimarsi dell’ Autunno, prima che arrivino i primi freddi. A Settembre sono già pronte per la migrazione: è curioso notare come si radunino sui fili del telefono o della luce in grandi stormi. Da lì si dirigono verso l’Africa, dove potranno godere del clima caldo per tutta la durata del nostro Inverno. Sono le rondini nate nei mesi estivi, le più piccole, ad iniziare il lungo viaggio. Qualcuna, tuttavia, decide di posticipare la partenza a Ottobre: in ogni caso, si tratta di casi isolati e di rondini in età matura.

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Cantare il Maggio: i maggerini e i loro canti rituali

 

Con il 1 Maggio ritorna la tradizione agreste dei “canti del Maggio”, diffusi prevalentemente in regioni come le Marche, l’Umbria, la Toscana, l’Emilia Romagna, la Liguria, il Piemonte e alcune aree della Lombardia. I cantori, detti “maggerini” o “maggianti”, danno il via ai loro canti di questua nella notte del 30 Aprile e li concludono la sera successiva. Sono canti gioiosi, stornelli accompagnati dal suono dei violini, delle fisarmoniche, dei cembali e degli organetti; i termini e le espressioni dialettali la fanno da padrone, rendendo ancor più genuino il saluto alla Primavera che i maggerini intonano di porta in porta, inoltrandosi nei villaggi e percorrendo i sentieri campestri. Nelle Marche, la mia regione, i canti di questua si chiudono immancabilmente con un “saltarello” vivacissimo che sottolinea le richieste che i cantori rivolgono al “vergaro” e alla “vergara” (i proprietari della casa colonica). La tradizione, infatti, vuole che i maggerini ricevano una lauta ricompensa: di solito si tratta di salumi, uova, formaggi e pollame vario affiancati al classico bicchiere di vino. E’ molto raro, d’altronde, che le famiglie non soddisfino la questua; si dice che i doni elargiti ai cantori attirino la buona sorte, favoriscano il benessere fisico e garantiscano un abbondante raccolto.

 

 

Il numero dei maggerini può variare dai tre ai dieci, anche se gruppi così nutriti sono comuni più che altro nel fabrianese. Il Cantamaggio, come vi ho già accennato, inneggia alla Primavera e alla lietezza (ma anche all’ebbrezza) che si associa alla rinascita. L’allegria predomina, mescolata ad accenti dionisiaci e a una malizia scanzonata. Non mancano le odi alla fertilità di buon auspicio per il nuovo ciclo agricolo: è questo, sostanzialmente, l’augurio che i maggianti portano di casa in casa. Il Cantamaggio, non a caso, trae le sue origini dai riti di fecondità che i pagani eseguivano in epoche molto antiche.

 

 

I profondi mutamenti della società hanno fatto sì che, fino a qualche anno fa, la tradizione di “cantare il Maggio” si smarrisse nei meandri del tempo. L’omologazione ha a poco a poco distrutto la cultura agreste; le campagne si spopolano e solo un esiguo numero di famiglie potrebbe offrire ai maggianti salumi, formaggi e uova fresche. Negli anni ’80, eppure, come per miracolo qualcosa è cambiato. Mi riferisco sempre alle Marche: il Cantamaggio di Morro d’Alba festeggia questo mese la sua 42esima edizione, e anche in paesi come Montecarotto e Monsano è stata ripristinata l’antica usanza dei canti di questua. Nel fabrianese, poi, il rito del Cantamaggio ha ripreso gradualmente vigore. L’appuntamento con i maggerini è ormai immancabile sia nelle frazioni che per le strade di Fabriano, dove non è raro avvistarli mentre intonano i loro canti rituali.

 

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Aprile

 

“Quando Aprile con le sue dolci piogge ha penetrato fino alla radice la siccità di Marzo, impregnando ogni vena di quell’umore che la virtù di dar ai fiori, quando anche Zeffiro col suo dolce flauto ha rianimato per ogni bosco e ogni brughiera i teneri germogli, e il nuovo sole ha percorso metà del suo cammino in Ariete, e cantando melodiosi gli uccelletti che dormono tutta la notte ad occhi aperti la gente è allora presa dal desiderio di mettersi in pellegrinaggio.”

(Geoffrey Chaucer)

 

Arriva Aprile, e l’aria si fa improvvisamente tiepida. I fiori sbocciano nei prati e sui rami, in campagna viene piantata la quasi totalità delle sementi. La sera, complice anche l’ora legale, scende sempre più tardi. Aprile, insieme a Maggio, è uno dei due mesi centrali della Primavera. Le origini del suo nome sono controverse. C’è chi afferma che derivi da “Apro”, un termine etrusco proveniente da “Afrodite”, il nome che i Greci avevano dato alla dea della bellezza e dell’amore: non a caso, il mese di Aprile le era stato dedicato. Altri, invece, fanno risalire Aprile al verbo latino “aperire”, ovvero “aprire”, un chiaro riferimento al fenomeno della fioritura che avviene proprio in questo periodo. Nell’ antica Roma, dato che l’anno iniziava a Marzo, Aprile veniva subito dopo. La Primavera esplodeva in tutto il suo fulgore, e la rinascita veniva festeggiata con rituali che inneggiavano alla fertilità e al risveglio della natura. A causa dei cambiamenti climatici, oggi, il meteo di questo mese è piuttosto imprevedibile: al freddo può alternarsi un caldo anomalo, alla pioggia il sole. Certo è che le temperature sono già salite di qualche grado; non ci resta che osservare pazientemente l’evoluzione delle condizioni atmosferiche. Parlando di ricorrenze, Aprile esordisce con la tradizione globale del “Pesce d’Aprile” e prosegue di solito con la Pasqua, che essendo una festa mobile, però, non cade sempre lo stesso giorno. Quest’anno, ad esempio, è stata celebrata il 31 Marzo. Il 25 Aprile, invece, viene festeggiata la liberazione dell’Italia dal nazifascismo. I segni zodiacali del mese di Aprile sono l’ Ariete e il Toro, il suo colore è il verde (verde menta per i modaioli), la pietra a cui si associa è il diamante: candido e lucente, simbolizza la purezza ma anche la forza. Il suo nome, infatti, deriva da “adamas”, “invincibile” in greco.

 

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Equinozio di Primavera

 

Vieni; usciamo. Tempo è di rifiorire.”
(Gabriele D’Annunzio)

 

La Primavera è entrata ufficialmente alle 4.06, un’ora a metà tra notte e alba: il cielo è ancora buio, ma il silenzio viene invaso dal cinguettio degli uccellini che annunciano l’imminente nascita di un nuovo giorno. Oggi inizia la stagione del risveglio, la natura si desta dal lungo torpore invernale. I fiori sbocciano, il paesaggio si tinge un tripudio di colori. La terra inaugura il suo periodo di fertilità, l’aria si impregna di frizzante leggerezza. C’è voglia di ricominciare a vivere, di godere appieno delle giornate sempre più lunghe, di trascorrere più tempo all’aperto. La Primavera irrompe come una folata di energia, porta con sè la gioia della rinascita. Ci si riapre al mondo, ai desideri del cuore, alla magia del nuovo inizio. E i fiori diventano l’emblema di questo stato d’animo, di questa atmosfera inebriante: i loro profumi e le loro tonalità ci invitano ad addentrarci nei sentieri della bella stagione e a riscoprirla in tutta la sua meraviglia.

 

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La cornucopia: storia, leggende e miti legati al “corno dell’abbondanza”

Carel Van Savoyen, “Un’ allegoria dell’abbondanza” (1651)

Che cos’è la cornucopia? Considerata un emblema dell’iconografia autunnale, oggi è perlopiù associata al Giorno del Ringraziamento che si celebra in America. Le sue origini, in realtà, sono antichissime ed affondano le radici nel Vecchio Continente. “Cornucopia” è un nome che deriva dall’ unione dei termini latini “cornu”, “corno”, e “copia”, “abbondanza”: questo corno dell’abbondanza, non a caso, viene raffigurato come un grande cono che strabocca di frutta, fiori, verdura o monete d’oro. La simbologia, evidente, rimanda alla fertilità della terra, ai doni del raccolto, e al tempo stesso alla fortuna. Perchè la fortuna è la “condicio sine qua non” per ottenere un ricco raccolto. E se la nascita della cornucopia viene generalmente fatta risalire alla mitologia greca, non sono pochi gli studiosi che la ricollegano ad un periodo antecedente alla civiltà ellenica: una dea italica, la dea Abundantia, aveva infatti come simbolo una cornucopia che la accompagna in tutte le sue rappresentazioni. Abundantia era la dea che dava vita e nutrimento ad ogni creatura vivente, ma anche la dea della fortuna e della prosperità. Il suo aspetto era quello di una giovane donna con una corona di fiori sul capo e un mantello verde impreziosito da decori floreali color oro. Regge nella mano destra una cornucopia ricolma di frutta e nella sinistra un mazzo di spighe. L’enorme corno dell’abbondanza rimanda al corno degli animali dai quali si ricava il latte: i bovini e i caprini, all’epoca, fornivano un prezioso mezzo di sostentamento.

 

Jan Bruegel, “Allegoria dell’ abbondanza” (XVII sec.)

Ma Abundantia era anche una dea lunare, il cui corno simboleggiava il corno della Luna, e in quanto tale era dotata di un ricco patrimonio interiore; regnava sul mondo dei vivi e su quello dei morti, ecco perchè in molte opere viene ritratta con una cornucopia vuota. Capace di dare la vita così come la morte, la dea proteggeva gli antenati delle famiglie romane. Gli spiriti protettori degli antenati, infatti, i cosiddetti Lari, sono raffigurati con una cornucopia in mano proprio come la dea Abundantia. La dea, inoltre, propiziava il benessere economico familiare e la conclusione di affari redditizi e vantaggiosi, da qui la miriade di monete che straripano dal suo corno. Con il passar degli anni, la figura di Abundantia venne assorbita da svariate dee del Pantheon romano, su tutte la dea Fortuna (divinità del Caso e del Destino). La dea Fortuna e i Lari erano figure veneratissime nell’ antica Roma:  vegliavano sulla gens e favorivano la sua prosperità. Agli spiriti protettori degli antenati si dedicava addirittura un larario, una sorta di sacrario domestico. Tuttavia, va detto che la cornucopia non era un’esclusiva della dea Abundantia o della dea Fortuna. Anche Cerere (divinità delle messi e dei raccolti), Tellus (divinità della Terra) e Proserpina (dea dell’ agricoltura e dell’ oltretomba) venivano associate al corno dell’ abbondanza: ciò costutuiva l’emblema della loro natura trina, che inglobava cioè cielo, terra e inferi. La madre di tutti gli dei e delle creature viventi, come abbiamo già visto, aveva il potere di dare la vita ma anche di toglierla.

 

Noel Coypel, “L’abbondanza” (1700 ca.)

Passiamo ora alla mitologia greca, dove le origini della cornucopia si intrecciano a due suggestive leggende. La prima vede protagonista Zeus, ovvero Giove, re e padre di tutti gli dei dell’ Olimpo. Zeus nacque dall’unione dei Titani Crono e Rea. Crono, suo padre, un giorno ebbe una premonizione: in futuro, uno dei suoi figli l’avrebbe spodestato. Così, decise di divorare la sua prole per impedire che si verificasse l’evento che tanto temeva. Rea, però, scoprì il piano di Crono e riuscì a nascondere Zeus in una grotta dell’ isola di Creta. Lì lo lasciò con Amaltheia, una capra che lo crebbe e lo nutrì con il suo latte. Esistono versioni della leggenda secondo cui Amaltheia sarebbe invece stata la ninfa proprietaria della capretta che allattò Giove. Figlia del Titano Oceano, la ninfa utilizzava uno dei corni dell’animale per nutrire Zeus: lo riempiva di frutta, miele, latte e tutto ciò che serviva per sostentare il piccolo figlio di Crono. La leggenda vuole che quando Giove crebbe, e divenne il re degli Olimpi, volle dimostrare la propria gratitudine alla capra innalzandola nel cielo con il suo corno e dando origine alla costellazione del Capricorno (da “caprum”, capra, e “cornu”, corno). L’altra versione del racconto narra invece che Zeus, una volta cresciuto, staccò un corno della capretta e lo dotò di poteri straordinari: bastava esprimere un desiderio e si sarebbe riempito di tutto ciò che veniva anelato. Ecco quindi come nacque la cornucopia, il corno dell’ abbondanza, per la mitologia greca. Ma esiste una seconda leggenda sulla sua genesi.

 

Frans Snyders, “Cerere e Pan” (1615-1620 ca.)

Acheloo, divinità fluviale greca, aspirava a sposare Deianira, la bellissima figlia di Eneo, il re degli Etoli. Ma anche Eracle, nato da Zeus e Alcmena, aveva chiesto la sua mano. Tra i due pretendenti scoppiò una lotta senza esclusione di colpi; Eneo annunciò quindi avrebbe dato Deianira in sposa al vincitore dello scontro. Acheloo e Eracle combatterono furiosamente: Acheloo, essendo un dio, approfittò delle sue doti trasformandosi dapprima in un serpente, poi in un drago, infine in un uomo con la testa di bue. Ma fu proprio grazie a quest’ultima metamorfosi che Eracle ebbe la meglio. Quando Acheloo si scagliò contro di lui per trafiggerlo con le sue corna, Eracle le afferrò e gliene strappò una. Acheloo cadde a terra stremato, la lotta era stata vinta dal figlio di Zeus. Vedendo il corno a terra, le Naiadi (ninfe delle acque) corsero a raccoglierlo e lo riempirono di frutta, fiori e ogni ben di Dio. Da quel momento in poi, il corno divenne sacro e fu considerato un simbolo di abbondanza: era nata la cornucopia.

 

Jan Bruegel Il Vecchio, “Le ninfe riempiono la cornucopia” (1615)

Gki emblemi a cui è legata la cornucopia, vale a dire la fertilità, la prosperità e l’abbondanza, rimangono più o meno gli stessi in tutte le civiltà che l’hanno adottata. Gli antichi Celti la scolpirono su una statuetta che raffigurava Epona, dea dei muli e dei cavalli, ma anche tra le mani di Olloudious, un dio che i Romani equipararono a Marte. Pare che per le popolazioni celtiche la cornucopia si associasse anche alla guarigione, mentre i persiani la collegavano alle offerte sacrificali con le quali i re omaggiavano dei. Ovidio nomina la cornucopia nelle “Metamorfosi”, il suo capolavoro, citando la leggenda di Eracle (ribattezzato Ercole dai Romani) e Acheloo. A Roma, intorno al II secolo d.C., la cornucopia rimandava prevalentemente alla dea Fortuna e ai Lari. Nel Medioevo, invece, il corno dell’ abbondanza si arricchì di un’ ulteriore valenza: l’onore. Ovvero l’abbondanza combinata con il prestigio e con il valore. In una miniatura dell’ Evangelario di Ottone III risalente all’anno 1000, quattro personificazioni delle province imperiali omaggiano Ottone III, Imperatore del Sacro Romano Impero, con preziosi doni. Inutile dire che tra essi spicca una cornucopia.

 

Evangelario di Ottone III, miniatura della scuola di Reichenau (1000 ca.)

Durante il Medioevo, dunque, l’accezione di abbondanza a cui rimanda la cornucopia si amplia, fondendosi a doppio filo con il lustro delle persone e dei luoghi. Non sono rare, infatti, le personificazioni di città, aree geografiche ed elementi naturali ritratte accanto ad una cornucopia; da allora, il corno dell’abbondanza appare di frequente nella simbologia araldica e lo ritroviamo persino sulle bandiere di determinati stati, uno dei quali è il Perù. Oggi la cornucopia viene associata soprattutto al Thanksgiving Day degli USA e del Canada. Il perchè è evidente: questa festa celebra l’abbondanza del raccolto dell’anno precedente e le sue benedizioni. La cornucopia, di conseguenza, quel giorno fa bella mostra di sè accanto al tacchino, alle patate dolci, alla salsa di mirtilli e alla torta di zucca. Naturalmente, è colma di frutta e verdura di stagione: zucche, uva, fichi, mele, noci, pere, granturco, cavolfiori…Cosa simboleggia, ormai lo sapete a memoria. E voi, quando inserirete la cornucopia tra le vostre decorazioni autunnali?

 

La cornucopia, imprescindibile sulla tavola del Thanksgiving

Pietro Paolo Rubens, “Cerere e due ninfe” (1624)

Dettaglio del Salone dell’Abbondanza alla Reggia di Versailles

Maarten de Vos, “Abbondanza” (1584)

Luca Giordano, “Maria Anna di Neuberg, regina di Spagna, a cavallo” (1693-94)

Jan Bruegel Il Giovane, “Allegoria dell’ Abbondanza” (1625)

Jan van Kessel Il Vecchio, “I quattro continenti: Europa” (XVII sec.)

Pietro Paolo Rubens, “L’unione di Terra e Acqua” (1618 ca.)

Una cornucopia contemporanea

Agnolo Bronzino, “Allegoria della Felicità” (1564)

 

Immagini dei dipinti (Public Domain) via Wikimedia Commons