Halloween e le sue origini: le tradizioni irlandesi della notte di Samhain

 

Samhain (così si chiamava Halloween originariamente), per gli antichi Celti, coincideva con il Capodanno e l’inizio dell’ Inverno. Presso le popolazioni celtiche, infatti, l’anno si divideva in due parti: l’ Inverno, che cominciava con le celebrazioni dell’ultimo raccolto e la commemorazione dei defunti organizzate a Samhain, e l’Estate, che iniziava a Beltane (Calendimaggio), data in cui si inneggiava alla rinascita della natura e venivano praticati atavici rituali per propiziare la fertilità. I Celti d’Irlanda ritenevano che la notte di Samhain il presente e il futuro si sovrapponessero, diventassero una cosa sola. Quale occasione migliore, dunque, per dedicarsi alla divinazione? Le pratiche tradizionali, in tal senso, abbondavano: gli ambiti prediletti erano l’amore e la prosperità economica. In questo articolo vi presento alcune usanze rigorosamente irlandesi; va aggiunto che Samhain, nell’ Isola di Smeraldo, veniva celebrato con una Grande Festa del Fuoco che si teneva ad Athboy, non troppo lontano da Dublino.

 

Il rito del cavolo

Le giovani donne in età da marito potevano avvalersi di un rito che avrebbe dato loro informazioni sul futuro sposo. La notte di Samhain dovevano recarsi, bendate, in un campo di cavoli ed estrarne uno dal terreno: se le radici rimanevano intatte e trattenevano molta terra, l’uomo che avrebbero sposato sarebbe stato più che benestante. Come fare, però, per sapere se era anche di buon cuore? Semplice: bastava cucinare il cavolo all’irlandese. Se risultava aspro, l’uomo avrebbe potuto essere sgradevole caratterialmente, anziano, o comunque avere dei difetti rilevanti. Se invece il cavolo aveva un buon sapore, il futuro marito sarebbe stato una brava persona.

 

Il rito dell’ edera

Questa pratica riguardava la salute. Si usava mettere una foglia d’edera in una tazza d’acqua e la si lasciava lì tutta la notte. Se l’indomani la foglia non presentava alcuna variazione, la persona che aveva praticato il rito avrebbe goduto di una salute di ferro almeno fino all’anno successivo.

 

Il rito del falò

Sul falò, simbolo supremo della festa di Samhain, era anche incentrato uno dei più noti rituali amorosi. Come sarebbe stato il futuro sposo, o la futura sposa, della persona che praticava il rito? Il fuoco avrebbe dato una risposta. Bastava tagliarsi una ciocca di capelli e lanciarla tra le fiamme: l’anima gemella si sarebbe ben presto palesata in sogno.

 

Il rito della mela

Le mele e le nocciole erano molto importanti a Samhain, poichè venivano considerati frutti magici dalle proprietà divinatorie. Fino a qualche decennio fa, non a caso, erano utilizzate al posto delle caramelle durante la questua “Dolcetto o scherzetto” dei bambini. Tramite la mela, inoltre, si potevano ottenere informazioni riguardo (ancora una volta!) il futuro sposo: era necessario prenderne una e sbucciarne una parte in un sol colpo. Se la striscia di buccia rimaneva lunga e intatta, un incontro romantico era imminente. Poi, bisognava lanciarsi la buccia dietro alle spalle. Una volta caduta a terra, la sua forma avrebbe rivelato le iniziali dell’anima gemella.

 

Il rito della nocciola

Un altro modo per avere notizie sul carattere del futuro partner era quello che prevedeva l’ utilizzo delle nocciole. Bisognava sceglierne una, toglierle il guscio e testarne il gusto: se era amara, così sarebbe stato lo sposo (o la sposa) interiormente, se era dolce idem. Ulteriori riti riguardavano la felicità del matrimonio e la fedeltà amorosa. Una coppia di fidanzati doveva scegliere due nocciole, una per ciascuno. Le nocciole venivano posate sul focolare di pietra e tra loro si accendeva un fiammifero; a quel punto, la reazione dei due frutti era determinante: se si infiammavano e bruciavano immediadamente, il matrimonio sarebbe stato solo una “fiammata”. Se oscillavano e si distanziavano, bisognava andare con i piedi di piombo. Se le nocciole, invece, si avvicinavano l’una all’altra, il futuro riservava un matrimonio sereno. Per mettere alla prova le intenzioni dei loro pretendenti, le giovani donne eseguivano un altro rito: selezionavano un tot di nocciole e chiamavano ognuna con il nome di un corteggiatore, poi le posavano sulla graticola. La nocciola che con le fiamme del fuoco si sarebbe spaccata, o sarebbe saltata via, indicava uno spasimante truffaldino. Se invece bruciava in una fiammata, la passione nei confronti della giovane era assicurata.

 

Il rito per proteggersi dalle fate

Le fate sono creature che appartengono al patrimonio folkloristico tipicamente irlandese. Insieme ai folletti, a Samhain, le fate si davano un gran daffare per impossessarsi di un alto numero di anime.  Per proteggersi, gli umani dovevano lanciar loro della polvere da sotto i piedi: quando avveniva ciò, i due esponenti del piccolo popolo dovevano tassativamente lasciar libere tutte le anime che avevano rapito.

 

Altre usanze e tradizioni

Oltre a quelle citate, nel corso dei secoli in Irlanda sono entrate in vigore molte altre usanze, magari non specificamente di carattere divinatorio o difensivo nei confronti del “piccolo popolo”. Della tradizionale cena a base di Barmbrack e di Colcannon abbiamo già parlato (rileggi qui l’articolo); la zucca intagliata e illuminata da un lumino, detta “Jack O’Lantern”, era diffusissima; la questua dei bambini, anche: indossando costumi orrorifici che richiamavano quelli sfoggiati dai Druidi la notte di Samhain, i fanciulli bussavano di porta in porta e alternavano al classico “Trick or Treat” la frase “Help the Halloween Party”. Un’abitudine consolidata era quella di sedersi tutti insieme davanti al caminetto acceso e trascorrere la notte narrando racconti e leggende mentre le noci venivano arrostite sul fuoco. Molto comune, poi, era il gioco della “Snap Apple”: si appendeva una mela ad una corda, e il primo bambino che riusciva ad addentarla riceveva una ricompensa. Oppure, si mettevano delle mele in una bacinella piena d’acqua e i bambini dovevano morderne una, naturalmente senza aiutarsi con le mani. Veniva premiato chi per primo riusciva nell’impresa.

 

La voga delle “scary apples”

A proposito di mele: sapevate che, recentemente, in Irlanda la mela intagliata ha sostituito la tipica zucca? La voga delle “scary apples” sta impazzando anche sotto forma di dolci; non è difficile trovare torte di mele ammantate di glassa candida che riproduce figure fantasmatiche, o biscotti alle mele dall’aspetto orrido o “sanguinolento”.

 

Foto via Pexels, Pixabay e Unsplash

 

Buon Natale

 

” E così il pastore vide che l’uomo non aveva nemmeno una capanna: la donna e il bambino erano in una grotta, dove non c’era nient’altro che le nude e freddi pareti di roccia. Pensò che quel povero bambino innocente poteva morire congelato in quella grotta e, per quanto fosse un uomo duro, si commosse e gli venne voglia di aiutarlo. Si sciolse il sacco dalla spalla, tirò fuori una morbida e candida pelle di pecora e la diede al forestiero perchè ci facesse dormire dentro il bambino. Ma proprio nel momento in cui mostrò che anche lui poteva provare compassione, vide ciò che non aveva potuto vedere e sentì quel che non aveva potuto sentire prima. Vide che intorno a lui c’era un fitto cerchio di piccoli angeli dalle ali d’argento. Ognuno teneva in mano uno strumento a corda e tutti cantavano a voce spiegata che quella notte era nato il salvatore, che avrebbe redento il mondo dalle sue colpe. Allora capì che tutte le cose erano così felici quella notte che non volevano fare alcun male. E non era solo intorno a lui che c’erano angeli, li vide ovunque: seduti sulla grotta e sulla montagna e in volo sotto il cielo. Arrivavano a frotte e, passando, si fermavano a gettare un’ occhiata al bambino. C’era un tale giubilo, e gioia e canti e giochi, e tutto questo il pastore lo vide nella notte buia, dove prima non poteva distinguere nulla. Ed era così felice che i suoi occhi si fossero aperti che cadde in ginocchio e ringraziò Dio. “

Selma Lagerlof, da “La notte di Natale”

 

 

Il libro di fiabe

 

” Quando la mamma tira fuori l’ultimo pacchetto dalla cesta, capisco dalla forma che si tratta di un libro. Ma non è per me. Devono evidentemente aver deciso che questa volta mi tocca farne senza. E invece il pacchetto è proprio destinato a me e, quando lo prendo in mano, ho l’assoluta certezza che si tratti di un libro. Divento rossa di gioia e lancio quasi un grido nell’impazienza di farmi passare le forbici e tagliare i nastri. Strappo la carta con foga ed eccomi davanti agli occhi il più bel libro del mondo, un libro di fiabe. È quello che arrivo a capire dalla figura della copertina. Sento che tutti intorno al tavolo mi guardano. Sanno benissimo che questo è il mio più bel regalo, l’unico che mi rende davvero felice. “Che libro hai ricevuto?” chiede Daniel allungandosi verso di me. Lo apro e resto lì a fissare il frontespizio a bocca aperta. Non capisco una parola. “Fammi vedere!” dice, e legge: “Nouveaux contes de fées pour les petits enfants par Madame la Comtesse de Ségur.” Daniel chiude il libro e me lo restituisce. “È un libro di fiabe in francese”, commenta. “Avrai di che divertirti.” Ho preso lezioni di francese da Aline Laurell per sei mesi, ma sfogliando le pagine del libro mi rendo conto che non capisco niente. Ricevere un libro in francese è quasi peggio che non riceverne neanche uno. Faccio fatica trattenere le lacrime. Ma per fortuna mi cade l’occhio su una delle figure. La più incantevole principessina del mondo viaggia in una carrozza tirata da due struzzi e, a cavallo di uno dei due struzzi, c’è un paggetto in alta livrea con lo stemma ricamato e le piume sul cappello. La principessina ha le maniche a sbuffo e una sontuosa gorgiera. Gli struzzi hanno in testa alti pennacchi e le redini sono ornate di grosse catene d’oro. Non si può immaginare niente di più bello. Man mano che sfoglio, trovo un vero e proprio tesoro di illustrazioni, altere principesse, re maestosi, nobili cavalieri, fate raggianti, orribili streghe, meravigliosi castelli fatati. No, non è un libro per cui piangere, anche se è in francese. Per tutta la notte di Natale me ne sto sdraiata a guardare le figure, soprattutto la prima, con gli struzzi. Mi basta quella per passarci ore. Il giorno di Natale, dopo la messa di primo mattino, tiro fuori un dizionario di francese e mi lancio nella lettura. È difficile. L’ho studiato solo con il metodo Grönlund. (…) Il libro inizia così: Il y avait un roi. Cosa mai vorrà dire? Mi ci vuole quasi un’ora per arrivare a capire che va tradotto: “C’era una volta un re.” Ma le figure mi affascinano. Devo capire cosa rappresentano. Provo a indovinare, cerco nel dizionario e, riga per riga, vado avanti. E alla fine delle vacanze di Natale, quel meraviglioso libretto mi ha insegnato più francese di quanto ne avrei mai potuto imparare in tanti anni di metodo Aline Laurell e Grönlund. “

Selma Lagerlof, da “Il libro di Natale”

 

 

Rinnovarsi

 

” Non si stancava mai di guardare sorgere il sole: rosso acceso, dorato, lavato nelle acque del grande mare. Il sole nascente gli ispirava sempre lo stesso pensiero: a differenza dell’astro celeste, il figlio dell’uomo non si rinnova mai e per questo è destinato alla morte. L’uomo ha ricordi, rimorsi e rancori che si accumulano dentro di lui come strati di polvere finché gli impediscono di ricevere la luce e la vita che discende dal cielo. Il creato, invece, si rinnova costantemente. Se il cielo si rannuvola, poi si rasserena. Il sole tramonta, ma ogni mattino rinasce. Le stelle o la luna non recano le tracce del tempo. La continuità del processo di creazione della natura non appare mai tanto ovvia come all’alba, quando cade la rugiada, gli uccellini cinguettano, il fiume s’infiamma, l’erba è umida e fresca. Felice è l’uomo che sa rinnovarsi insieme al creato. “

Isaac Bashevis Singer, da “Racconti”

 

 

 

Il luogo

 

La location più suggestiva dell’ autunno? Senza dubbio, un fuoco e i suoi dintorni. Che siano fiamme che ardono in un camino o quelle di un falò, magari acceso in giardino oppure nei boschi. Ottobre è appena iniziato, ma di notte le temperature calano a picco: non c’è niente di meglio che godersi un po’ di tepore accanto alla fonte di calore che, per prima, diede conforto all’ umanità ancestrale. Sebbene oggi tendiamo a trascurarlo, il fuoco ha rivestito una primaria importanza per lo sviluppo della civilizzazione. Non a caso incarna una valenza emblematica ben precisa in moltissime religioni, culture, persino filosofie. Innanzitutto, è uno dei quattro elementi di contatto tra il microcosmo umano e il macrocosmo naturale (gli altri tre elementi sono aria, acqua e terra). Da tempi immemorabili viene associato all’ energia, alla forza, alla passione, al maschile, quattro termini che per gli antichi equivalevano a un tutt’uno. Si contrappone alla frescura, all’ umidità dell’ acqua con il suo potente calore; tra i punti cardinali lo si identifica con il Sud. L’ esoterismo conferisce al fuoco una funzione purificatrice, vivificante, trasformatrice. Riflettendo la luminosità dello Spirito, è in grado di innalzare qualsiasi cosa a livelli di perfezione sublime. Per gli alchimisti rappresentava il numero 1 in quanto emblema dell’ Unità: dal fuoco si erano forgiati i restanti tre elementi e ciò favoriva la sua associazione con il creare, con il fervore inventivo. Anche le emozioni vissute al massimo, senza timori, rimandavano al fuoco. “Ardente” è un aggettivo in tal senso esemplare. Tornando alla vita di tutti i giorni, il fuoco possiede numerose valenze. E’ convivialità, intimità, calore, anche figurativamente parlando. Attorno al fuoco, in autunno, ci si riunisce per chiacchierare, mangiare caldarroste, bere un calice di buon vino. Oppure per danzare, ascoltare musica, celebrare i più disparati eventi. Da tempi remotissimi, fino al momento in cui è comparsa la televisione, nei casolari di campagna vigeva l’usanza di ritrovarsi la sera davanti al focolare. La cena era appena terminata: il momento giusto per lasciar spazio alle conversazioni, ai racconti, alle leggende, alle dicerie che correvano in paese. Il vino rappresentava una sorta di “pozione magica” inebriante che dava sapore a quelle riunioni. Ai bambini venivano narrate le fiabe, ma al tempo stesso aleggiava il gusto di procurarsi brividi a vicenda. Non è un caso che, di frequente, ci si intrattenesse nel tramandare storie e leggende dagli accenti macabri. Era uno dei modi prediletti per provare e per trasmettere emozioni, amplificandole attraverso la cassa di risonanza della paura; un modo che, al pari della convivialità delle chiacchiere e del vino sorseggiato tutti insieme, alimentava il piacere della condivisione. Proprio lì, di notte, come in una sorta di rituale…mentre ardevano le fiamme del focolare.

 

 

 

Il close-up della settimana

 

Oggi inizia ufficialmente il Carnevale di Venezia, ma una maschera come quella della foto la vedrete solo on line. Intanto, il colore bianco del suo abito non è casuale: rimanda al cambiamento, a un nuovo inizio, alla purificazione che precede una rinascita. E’ la tonalità ideale, quindi, per simboleggiare l’ edizione 2021 dell’ antica kermesse lagunare, che non si lascia intimidire dal Coronavirus e si mette in gioco tramite un’ inedita versione virtuale. “Tradizionale, emozionale, digitale”, così il Carnevale viene definito nel comunicato stampa di presentazione, e di emozioni ne elargirà senza dubbio. Perchè quest’ anno chiunque potrà partecipare alla più celebre festa veneziana: è sufficiente connettersi al sito ufficiale del Carnevale, ai suoi social o accedere a Televenezia, sul canale 71 del digitale terrestre.

 

 

La manifestazione carnascialesca, insomma, non rinuncia ad allietarci con la sua magia ma approda sul web per permettere al pubblico di fruirne in tutta sicurezza. Dal 6 al 7 Febbraio e dall’ 11 al 16 Febbraio, a partire dalle 17 fino alle 18,30 circa, gli streaming trasmessi da Ca’ Vendramin Calergi – il Casinò di Venezia, affacciato sul Canal Grande – ci condurranno tra i luoghi e i protagonisti del Carnevale in un vortice di euforia, spettacolari travestimenti, avvincenti interviste e suggestivi racconti. Ma per ora non vi dico altro: sono assolutamente intenzionata a non fare spoiler. Ad introdurci al perenne incanto del leggendario evento veneziano sarà un personaggio (o meglio, uno, nessuno e centomila) che chi segue VALIUM conosce molto bene. Chi altri se non lui, potrebbe raccontarvi con parole più intriganti il Carnevale di Venezia? Scommetto che avete già capito di chi si tratta…Stay tuned per non perdere questo straordinario appuntamento!

 

 

 

La Roma oscura de Il segno del comando

 

C’è una Roma sconosciuta ai turisti: intrecci di vicoli come labirinti che sfociano in piazze lastricate di ciotoli. E’  una Roma notturna e silenziosa, semideserta, che si insinua come un’ oasi antica e misteriosa all’ interno della città caotica e trafficata. Una Roma fatta di solenni e lugubri palazzi nobiliari abitati da personaggi che vivono fuori dal tempo, in un mondo personale di passioni e di ossessioni iniziatiche, in cui aleggiano strane presenze. E’ la Roma che scoprirà il prof. Foster, arrivato da Cambridge per disquisire sul diario romano di Byron al British Council e da quel momento in poi preso nel vortice di antiche leggende ed esoterici presagi, irretito quasi inconsapevolmente da una torbida’ setta’ che  si rivela in un doppio volto, in una doppia realtà. Deciso a saperne di più dopo un sonetto in cui Byron descrive un’esperienza inquietante concludendo i suoi versi con ‘Tenebrose presenze’, viene coinvolto in una strana storia di reincarnazioni, predestinati e artisti maledetti accomunati dalla passione per l’occulto, per lo spiritismo, per il soprannaturale. Una profezia di negromanti designa Foster come il reincarnato di un pittore morto cento anni prima di cui è sosia, condannandolo a morire il 28 marzo, come il pittore…Ma una macabra caccia al tesoro a cui lo conduce proprio il sonetto di Byron, lo porta a scoprire luoghi e figure chiave per la sua salvezza: giungerà ad essa grazie ai versi sibillini del Salmo della doppia morte, partitura per organo di un musicista attratto da mondi oscuri e ‘morto nel peccato’ secoli prima. Ma intanto la realtà e l’ intangibile si intrecciano, intersecano, passato e presente si uniscono e sdoppiano, rivelando un lato oscuro nei luoghi, nelle persone e nelle situazioni in cui niente, nessuno è come appare, e muoiono persone legate alla ‘trama esoterica’ . Anche la figura ambigua di Lucia, in abiti gipsy e dalle misteriose apparizioni e sparizioni, crea una realtà confusa e onirica trascinando Foster in taverne secolari che svaniscono nel nulla, tenebrose sedute spiritiche negli angoli più lugubri di antichi castelli, tetre sartorie teatrali abitate solo da manichini.

 

 

Dovrebbe morire il 28 marzo, Foster: l’unico modo che ha per salvarsi è trovare il potente Segno del Comando, un amuleto in grado di sconfiggere la profezia, e crede di essere sulla strada giusta, di aver trovato il luogo in cui si nasconde grazie alle parole a doppia chiave contenute nel Salmo. Ma sarà stupore quando questo non avviene, altri morti si susseguono orribilmente, e persino il finale della storia si dirama in una doppia versione: quella di un commissario di Polizia che snocciola una conclusione dalla razionalità pura, in cui magia equivale a superstizione ed appannaggio di fanatici, contrapposta alla versione esoterica che conduce Foster a impossessarsi del Segno del Comando grazie a un viottolo buio dove, nella fantomatica Taverna dell’ Angelo appena riapparsa, sarà Lucia a rivelargli il mistero. Può capitare dunque che all’ interno di una trama oscura e misteriosa, il fantasma della modella di un pittore maledetto del passato venga a salvarti e che sia il suo amore, l’amore di una Lucia presenza di due mondi oscillanti tra il terreno e l’ ultraterreno, a consegnarti il misterioso, salvifico Segno del Comando: Foster lo aveva già con sè, dono di Lucia la prima sera insieme, alla Taverna. Un medaglione su cui è incisa una civetta, opera di un antico orafo e negromante, ha impedito che la profezia si avverasse. All’ alba del 29 marzo, Foster è vivo grazie a un dettaglio, incastonato perfettamente nel romanticismo byroniano: la sua vita prosegue, messa in salvo da un fantasma che ha attraversato secoli e tempo per raggiungerlo, mosso dal più passionale tra i sentimenti. L’ambiguità di Lucia, ora, abbandona le ombre rivelando una limpida luminosità…quella dell’ amore.

La realtà stessa ha dunque un doppio volto, in cui la razionalità si interseca suo malgrado, ma costantemente, inevitabilmente, con l’insondabile…

 

 

Foto tratte dallo sceneggiato TV Il segno del comando, 1971, diretto da Daniele D’ Anza.

Buon mercoledì.