Rexanthony si racconta: conversazione con “The Lord of Techno”

 

Questa intervista ha il martellante sound della techno come sottofondo. Le sue note incalzanti e ritmatissime sottolineano ogni concetto, ogni argomento discusso. E siccome a tutto c’è un perchè, il motivo ha un nome ben preciso: quello di Rexanthony. Ebbene sì, proprio lui, “The Lord of Techno”, che oggi ho l’onore di ospitare su VALIUM. L’ amore per la musica è impresso nel suo DNA, e non poteva essere altrimenti per il figlio di Antonio Bartoccetti (fondatore delle band Jacula e Antonius Rex) e Doris Norton, musicisti icone nei generi – rispettivamente – del dark-prog e dell’ elettronica. La prima esibizione di Rexanthony (all’ anagrafe Anthony Bartoccetti)  avviene prestissimo e risale a quando, appena tredicenne, calcò il palco del Cocoricò di Riccione. Da allora, non ha più smesso di entusiasmare il pubblico e di radunare folle immense ad ogni suo live.  Classe 1977, nato a Fabriano, a poco più di 40 anni Anthony vanta una carriera quasi trentennale.  Si dà allo studio del pianoforte in tenerissima età e si appassiona contemporaneamente al synthesizer, che diverrà un leitmotiv della sua ricerca sperimentale. Nel 1990 già compone musica; un anno dopo esce il primo singolo, “Gas Mask”, di colui che potremmo definire l'”enfant prodige della techno”, ma è nel 1992 che esplode il boom Rexanthony: “For you Marlene” e “Gener-Action”,  in stile techno-rave, svettano al primo posto delle chart internazionali. Per Anthony sarà l’ inizio di un successo che non ha mai conosciuto momenti down, contraddistinto da live partecipatissimi nei club di punta del mondo della notte e da hit che si tramutano in veri e propri cult. Ricordiamo gli esplosivi “Capturing Matrix”(1995), rivisitato in infinite versioni, “Polaris Dream”(1996), l’album “Audax” (1998) (definito dalla critica il suo lavoro più significativo di rock elettronico/sperimentale), che si affianca ad opere come gli album della serie “Technoshock” e a quelli dedicati al Cocoricò. Incoronato “The Lord of Techno”, Rexanthony non abbandona il genere che gli scorre nelle vene e il principio del terzo millennio, per lui, coincide con una nuova serie di successi. Qualche esempio? “Hardcorized” (2001), “Capturing Future” (2003), il progetto “War Robots” (2008), focalizzato su temi come i diritti umani e le problematiche sociali. All’epoca, pensate, sono già uscite oltre 500 compilation delle sue hit! Con il passar del tempo, Rexanthony partecipa a innumerevoli eventi (per citarne solo alcuni, i Memorabilia del Cocoricò di Riccione) e lancia brani che entrano immancabilmente nella leggenda. Impossibile menzionarli tutti: vi basti sapere che, in prima persona,  Anthony compone, arrangia, realizza la parte musicale e vocale di ogni album che dà alla luce. A partire dalla techno, la sua sperimentazione coinvolge sound quali l’ hardtrance, l’hardcore, l’hardcore jungle, la cyber techno…con un’ energia sempre immutata, travolgente e trascinante come i live di cui è protagonista, dove incita il pubblico fino a farlo diventare parte integrante della performance. Nel colloquio che segue, sarà “The Lord of Techno” in persona a raccontarvi molto di più sul suo percorso e a rivelarvi le sue opinioni sui più disparati temi. Enjoy it!

Innanzitutto, come ti presenteresti ai lettori di VALIUM? Ho notato che, in rete, c’è ancora qualcuno che ti definisce un “dj”…nonostante la fama e una carriera internazionale.

Dal 1991, anno di esordio della mia carriera musicale, ad oggi la maggior parte delle mie performance sono state eseguite all’interno di club… e il club viene spesso associato musicalmente alla figura del deejay. Figura che nei primi anni ’90 si esibiva in consolle spesso nascoste e poco in risalto utilizzando i giradischi, in quanto il sound era riproducibile e mixabile solo attraverso i vinili. Tutto questo richiedeva molto impegno tecnico ed anche economico, visto che per acquistare musica attraverso i vinili era necessario investire interi stipendi. Io ho sempre apprezzato e mai sottovalutato la figura del deejay, che però è ben distinta da quella di un musicista. Negli anni ’90 il musicista era colui che creava la musica attraverso le note e il deejay colui che acquistava i dischi degli artisti che preferiva per poi ‘“suonarli” in discoteca. Oggi le cose sono decisamente cambiate, grazie anche all’avvento delle moderne tecnologie che hanno semplificato di molto tutti i vari processi. La maggior parte dei nuovi artisti sono “tuttofare” partendo dall’auto-gestione della comunicazione (social, foto, grafiche, loghi, video) alla produzione in studio, dalla creazione della copertina alla distribuzione autonoma nei portali online tramite i siti aggregatori (dato che il supporto fisico è scomparso quasi del tutto), dalla gestione di un tourdates all’esibizione e quant’altro. Il 99% di loro affonda al primo viaggio, pochi altri invece riescono ad ottenere consensi di pubblico e quindi a crearsi una vera e propria carriera. Ciò che è molto complicato oggi, oltre ad arrivare al successo, è poi mantenerlo… la concorrenza si è moltiplicata ai massimi livelli, è spietata e c’è gente disposta a tutto pur di arrivare sotto ai riflettori. Chi suonando senza richiedere compensi, chi addirittura pagando per poter suonare…così si dice… Senza tralasciare quella fascia caratterizzata da “facoltosi” che si svegliano una mattina qualsiasi pensando di fare il deejay… investendo sulla propria immagine anche milioni di euro. E ce ne sono tanti. Tornando alla tua domanda rispondo dicendoti che ai lettori di VALIUM mi presento come “performer”. Dopo i miei primi 28 anni di carriera credo che il termine “perfomer” sia quello che più mi si addice… un performer può essere un musicista che sa suonare le tastiere o un pianoforte, un vocalist che sa incitare il pubblico, un deejay che sa scegliere le tracce giuste al momento giusto e mixarle alla perfezione così da tenere il pubblico incollato in pista.

 

Rexanthony live al Cocoricò

Il tuo approccio alla musica è avvenuto quando eri giovanissimo. Ricordi il preciso istante in cui hai deciso che sarebbe diventata la tua vita?

Hai detto bene, l’esordio nel mondo artistico è iniziato davvero molto presto: parliamo del Marzo 1991. Questo primo approccio alla musica è avvenuto attraverso una doppia esibizione al Cocoricò di Riccione (grazie a Ferruccio Belmonte che aveva creduto in me) per presentare al pubblico quello che poi sarebbe diventato il mio primo singolo “Gas Mask”, oltre a vari inediti del futuro primo album. A mezzanotte, prima esibizione al Titilla in occasione di una convention per deejays e più tardi seconda esibizione in sala grande, meglio conosciuta come la Piramide. Avevo 13 anni (all’epoca a 13 anni si era ancora bambini), avevo suonato live con tastiere e campionatori alle 3 di mattina davanti a 4.000 persone, il tutto con estrema nonchalance. Quando la mattina successiva mi sono risvegliato nel mio letto ripensando all’incredibile esperienza vissuta poche ore prima, ho pensato che quella sarebbe stata la mia vita, la mia dimensione… il mio futuro.

 

Due foto a confronto scattate al Cocoricò: Rexanthony al suo debutto ed oggi. Nello scatto del 1991 è visibile suo padre, il noto musicista dark-prog Antonius Rex

Per quale motivo hai scelto il nome d’arte di Rexanthony?

Provengo da una famiglia di artisti per cui posso ritenermi figlio d’arte, con la differenza che se per i miei genitori la musica era un hobby da coltivare nel tempo libero, per me si è rivelata sin da subito un’attività vera e propria. Parliamo di Doris Norton (che agiva su un territorio musicale orientato verso l’elettronica 80’s) e Antonius Rex, progetto legato a un mondo musicale opposto, vale a dire quello del rock-progressive, oggi molto quotato a livello mondiale dai cultori del genere. Il mio vero nome è Anthony (nome inglese ma nato in Italia), per cui per creare il nome d’arte è stato abbinato il termine Rex (che in latino significa “Re”). Da qui è nato Rexanthony.

Sei conosciuto anche come “The Lord of Techno”: com’è scoccata la scintilla con questo genere musicale?

Essendo nato alla fine degli anni ’70, la colonna sonora che mi ha accompagnato durante i miei primi anni di vita era caratterizzata da un sound tipicamente dance 80’s (Alphaville, Propaganda, Raf, Pet Show Boys, Talk Talk, Michael Jackson ed altri). Mi piaceva… ma sentivo che non era quella la mia vera dimensione. Mancava qualcosa. Ho provato con il rock ma non mi faceva nè caldo nè freddo… tuttavia la mia mentalità rimaneva orientata verso l’elettronica e tutto ciò che era ballabile e potente. A 12 anni (quindi nel 1989) mi reco nel mio negozio di dischi di fiducia di Fabriano e il proprietario mi mette tra le mani un nuovo CD, proponendomelo come grande novità del momento in ambito elettronico: “Pump Up The Jam” dei Technotronic. Mi è bastato l’ascolto dei primi 30 secondi a tutto volume per capire che avevo trovato ciò che cercavo. Il produttore dei Technotronic aveva dato vita ad un sound differente creando di fatto un taglio netto con gli anni ’80, utilizzando come base ritmica, in primissimo piano, i componenti dell’immortale batteria elettronica Roland TR909. Il tutto condito con linee di basso molto potenti e innovative, oltre a particolari voci che rappavano in modo assolutamente alternativo. Da li ho iniziato a farmi una cultura evolutiva basata appunto su queste sonorità (dette da “cassa dritta”), passando attraverso i Twenty 4 Seven, FPI Project, Snap, 808 State per poi incanalarmi verso una techno decisamente “più techno” rappresentata dai vari Speedy J, Lory D., LFO, Digital Boy, Phenomania, PCP, L.A. Style, da label tipo Warp e così via… E’ grazie a questo tipo di sonorità che mi è arrivata la giusta ispirazione per iniziare a comporre i primi dischi. Per cui sin da subito il mio nome d’arte è stato associato al genere techno… e dopo aver collezionato tanti bei traguardi nel corso della mia carriera quasi trentennale, mi è stato assegnato l’appellativo di Lord Of Techno.

 

Un momento magico: sulla mitica Piramide di Riccione sorge l’alba

Che rispondi a chi, per un pregiudizio ormai anacronistico, tende ancora ad associare “techno” e “sballo”?

La ricerca dello “sballo” ha sempre fatto parte dell’essere umano e può essere associato a tante categorie tra cui ovviamente quella musicale. Chi però associa lo sballo solo alla techno commette un errore molto superficiale… e probabilmente è abituato a emettere sentenze senza aver vissuto la realtà. La mia cultura è basata sulla techno ma non per questo non ho rinunciato a “sbirciare” altri mondi musicali, altre realtà, ad esempio partecipando a concerti di artisti completamente lontani dal mio mondo (Vasco Rossi, Black Sabbath con Ozzy Osbourne, Machine Head, Prodigy, Chemical Brothers, Apollo 440 e molti altri). Ed è proprio sulla base di queste esperienze che posso assicurare che lo sballo non esiste solo nella techno… anzi… ne ho viste davvero di tutti i colori, molte più di quanto io possa averne viste in 28 anni di esperienza in clubs e rave. Ma non per questo, da persona intelligente che ritengo di essere, punto il dito verso un genere musicale. Io ho sempre sostenuto che lo sballo nella techno (e nelle sue tantissime sfaccettature tipo trance, hardtrance, hardcore, gabber, harstyle, psy) sia la musica stessa… Musica capace di farti sognare, emozionare, sudare, stancare e soddisfare in tutto e per tutto senza dover necessariamente ricorrere all’uso di sostanze inutili o a quantità eccessive di alcool. Chi lo fa è solo un debole senza carattere che non ama se stesso… e nemmeno il prossimo, dato che in stato alterato può causare incidenti distruggendo vite di innocenti. Dato che ognuno di noi talvolta ha bisogno di sfogare le proprie energie, la techno è il modo giusto per farlo. Ovviamente se ascoltata ad alto volume, musicalmente di qualità, in ottima compagnia e in location di un certo livello.

 

On stage all’ evento “We Are History”

Il Cocoricò è stata un po’ la tua culla. Cosa pensi delle recenti vicissitudini che lo riguardano?

Molti fans mi definiscono come un dei principali deejay storici del Cocoricò: in realtà ciò che accomuna Rexanthony e il Cocoricò fondamentalmente sono i due album tematici che ho prodotto (a nome del mio team Musik Research) intitolati “Cocoricò Two” e “Cocoricò Three”, oltre a una serie di live tenuti in piramide negli anni ’90. I due album menzionati hanno ottenuto un grande successo di vendite e l’album “Cocoricò Three” era entrato addirittura nella classifica Top Album di Sorrisi & Canzoni. Mi emozionava e allo stesso tempo mi divertiva trovare una mia produzione con sonorità decisamente techno/hardcore all’interno di una classifica nazionale occupata principalmente da cantautori pop italiani e stranieri. Probabilmente son quelle cose che capitano una volta nella vita… Tornando alle recenti vicissitudini che hanno riguardato l’amata piramide, credo sia saggio guardare il lato positivo. Qualcosa non deve aver funzionato a livello gestionale, senza dimenticare il fattore negativo che per l’ennesima volta ha legato il Cocoricò alla perdita di una giovane vita. Da li, secondo il mio punto di vista, il vero declino del club… una discesa sempre più ripida fino ad arrivare all’inevitabile muro di cemento armato.

 

Immortalato in una location inconfondibile: quale? Basta osservare lo sfondo…

Io ho avuto la fortuna di partecipare a uno degli ultimi Memorabilia (15 Settembre 2018) e posso confermare di aver provato le stesse identiche emozioni percepite negli anni ’90. E’ stata una serata suprema, anche musicalmente parlando, andata quasi subito in sold out. Serata denominata Memorabilia “The Origins”, per cui in consolle erano presenti molti dei protagonisti delle origini al “Cocco”: Cirillo, Rexanthony, l’americano Lenny Dee, Gianni Parrini, Saccoman, Ricci Junior (figlio di Dj Ricci, uno dei più grandi rappresentati della techno italiana), Panda e il conterraneo Dj Cek. Per quella serata esclusiva avevo deciso di mettere in piedi un live speciale andando a rispolverare e utilizzare vecchi strumenti: gli stessi identici utilizzati da me al Cocoricò nelle serate 90’s. Se ripenso alla serata del 15 Settembre 2018, per cui a Memorabilia “The Origins”, i primi flash che mi tornano in mente sono i due momenti in cui ho avuto il “coraggio” di salire in piedi in consolle: la prima per eseguire un’improvvisazione rock attraverso una tastiera-chitarra Roland, capace di emanare un suono graffiante di chitarra elettrica (situazione piuttosto insolita all’interno di un club techno). La seconda volta, con il microfono in mano sulle note di “Pyramid Power”, per invitare tutto il pubblico in pista ad abbassarsi per poi saltare in aria al mio via, nello stesso momento in cui il brano ripartiva con gran potenza. Temevo molto per la riuscita di questo esperimento, ma quando si sono accese le luci non credevo ai miei occhi: tutta la pista era chinata… e questo mi ha dato la carica giusta per portare a termine quello che per me è stato uno dei miei migliori live in carriera. Tornando alle vicissitudini del super-club, parlavo prima del lato positivo: come prevedevo, un locale storico di questa portata non sarebbe mai finito nel dimenticatoio (come purtroppo successo per tanti altri), infatti è stato immediatamente conteso da organizzazioni di tutto il mondo, per poi essere stato dato in gestione dal proprietario dei muri a una cordata romagnola, che io ritengo essere seria ed esperta del settore. E’ nei progetti una profonda ristrutturazione del locale (che onestamente parlando, purtroppo, stava letteralmente cadendo a pezzi) e cosa ancor più positiva, è già stata fissata la data di apertura: Pasqua 2020. Riguardo la scelta della linea musicale da seguire, la creazione di format, progetti su futuri special guest e quant’altro credo sia ancora tutto in alto mare… Di sicuro la nuova gestione dovrà fare un reset ripartendo dai personaggi storici che hanno reso celebre il club: mi sto riferendo ai deejay’s del Memorabilia e a mio avviso sarà fondamentale la presenza e collaborazione attiva di uno dei più carismatici performer del mondo della notte, il Principe Maurice. Gestire ad oggi un club di questo tipo è un compito veramente arduo e sarà molto difficile fargli riscrivere la stessa storia degli anni ’90, ma si parte comunque da un grande punto di vantaggio, cioè la location: a mio avviso una tra le più incredibili d’Europa, per non dire del mondo, caratterizzata da 4 fattori indissolubili: piramide, cristallo, alba e… techno. Solo chi ha avuto modo di viverci dentro può capire. Il resto sono solo chiacchiere da bar…

 

In studio di registrazione insieme al Principe Maurice

A dispetto dell’età, hai alle spalle una lunga carriera. Qual è il momento che – professionalmente parlando – rientra tra i tuoi più bei ricordi e quale, invece, vorresti dimenticare?

Trattandosi di una lunga carriera con molti traguardi raggiunti (e molti altri da raggiungere), è complicato dirti quale sia per me il ricordo più bello in assoluto. Tra i vari, potrei menzionarti il ricevimento della telefonata del mio manager dell’epoca (metà anni ’90) che mi comunicava di aver raggiunto il 1° posto assoluto in classifica nazionale Giapponese con il singolo “Gener-Action”, singolo che in Italia rimase totalmente sconosciuto. Altro momento indimenticabile, quando un pomeriggio mi arrivò un’altra telefonata storica dalla casa discografica, dove mi veniva comunicato che il video clip di “Polaris Dream” era entrato ufficialmente in heavy-rotation su MTV Europe. Altro momento di grande soddisfazione sapere che “Polaris Dream” è stato in quel periodo uno tra i 5 singoli più venduti in Italia posizionandosi ai primi posti di Sorrisi & Canzoni (in mezzo ad artisti pop tipo Vasco Rossi o Michael Jackson). Potrei citartene tanti altri, ma questi sono i primi che mi tornano in mente in questo momento… Mi chiedi anche quale ricordo negativo vorrei dimenticare: anche se non sono mancati i momenti negativi nella lunga esperienza artistica, per fortuna posso dirti che non sono stati così rilevanti da meritare un posto nei miei ricordi.

 

Memorie di un esordio da enfant prodige

Che opinione hai della trap, del rap e di tutte le espressioni musicali che attualmente i giovani sembrano prediligere?

Penso che l’Italia, musicalmente parlando, stia attraversando uno tra i periodi più bui della storia. Io, da buon musicista che ritengo di essere, ho sempre avuto molto rispetto di tutte le correnti musicali che hanno attraversato le generazioni presenti e passate… e sono sempre stato del parere che la musica debba servire per trasmettere all’ascoltatore positività, energia e che lo stimoli a viaggiare con la mente. Tuttavia, credo che la trap (genere che sta spopolando a livello di massa) non rispecchi nessuna di queste caratteristiche. Gli “idoli” che rappresentano questo genere (e che quindi sono anche di riferimento ai loro fans, perlaltro giovanissimi, poco più che adolescenti), generalmente sanno poco rappare, cantare, suonare e troppo spesso nei testi vengono trattate tematiche che includono l’uso di droghe di ogni genere, di sesso maschilista (come se la donna fosse nulla più che un oggetto da usare e buttare) e si presentano con un’immagine davvero imbarazzante, caratterizzata oltretutto anche da tatuaggi nel viso. Direi quindi un mix negativo che non dovrebbe assolutamente entrare nelle orecchie (e negli occhi) dei ragazzini. Un cattivo esempio senza se e senza ma. Spero passi al più presto per dar spazio ad artisti che magari sappiano suonare, cantare, diffondere messaggi positivi e presentarsi in pubblico con un’immagine bella e sana. Di tutt’altro pianeta la trap d’oltre oceano: gli artisti che la rappresentano sono dei veri divi e si meritano il successo ottenuto. Tra i vari personaggi che apprezzo (sia come produzioni che come dj-set) c’è senza ombra di dubbio DJ Snake. Altri rappresentanti nel mondo che mi trasmettono energia positiva (che non fanno esattamente Trap ma un genere che io definisco elettronico 2.0) in particolar modo sono K?d e Rezz. Nella domanda hai incluso anche il rap e penso che in Italia questo genere sia stato rappresentato da alcuni grandi personaggi, che magari non sanno cantare ma sanno fare quello che il genere richiede, per cui rappare. Il top, a mio avviso, è stato raggiunto negli anni ’90 quando si pensava più alla qualità del prodotto che al business… e secondo il mio punto di vista i due rappresentanti assoluti erano J-Ax e il conterraneo Fabri Fibra. Mi piaceva il loro stile e soprattutto il loro timbro vocale… Timbro che non veniva smaterializzato dall’inflazionata tecnica dell’auto-tune, programma in grado di far cantare chiunque, rendendo identica, fredda e insapore la voce di tutti questi “trapper”.

 

Rexanthony con Cirillo

“Trascinatore di folle” durante un live a Imola

La techno ieri ed oggi: quali le differenze, e quali i punti in comune?

Io sono artisticamente nato in un periodo in cui esistevano pochi sotto-generi, per cui tutta la sfera musicale elettronica, a grandi linee, veniva classificata in tre grandi filoni: dance (assegnato a produzioni per il grande pubblico, ballabili e cantabili), underground (destinato a un target tipicamente da club) e techno (da sempre visto come un genere più “pazzo” caratterizzato da ritmi martellanti, suoni acidi, alta velocità e tanta energia). Oggi le cose sono estremamente cambiate e nel corso degli anni ogni filone è stato suddiviso in decine e decine di sotto-generi… Secondo il mio punto di vista tutto ciò ha categorizzato troppo il mercato, andando a sua volta a “suddividere” gli utenti che acquistano musica e partecipano ai party. Oggi per techno si intende qualcosa di drasticamente diverso rispetto a quanto prodotto negli anni ’90: parlando di bpm, la velocità è scesa intorno ai 125 rispetto ai 140/160 del passato… le melodie sono sparite quasi del tutto lasciando spazio a loop molto ripetitivi e ritmi decisamente più standardizzati, per cui alla portata di tutti. Personalmente non mi regala grandi emozioni…anzi, mi annoia dopo appena 10 minuti di ascolto. Per me techno significa energia, velocità, ritmiche potenti e melodie che ti entrano nel cuore… e chi balla in pista deve sudare, cantare e abbracciarsi con il vicino, che anche se in realtà è uno sconosciuto, in quei momenti lo senti come uno che fa parte della tua stessa tribù.

 

Memorabilia all’ Unipol Arena di Casalecchio di Reno (Bologna)

Da qualche anno sei anche un produttore. Parlaci dei tuoi progetti più imminenti sia in queste vesti che in quelle di artista.

Un pò come avviene nel mondo del calcio, dove un giocatore adulto decide di abbandonare il campo per dedicarsi all’attività di allenatore o dirigente di squadra, io credo che la logica evoluzione di un artista sia quella di trasfomarsi in produttore e di gestire una casa discografica propria con annesso studio di registrazione professionale. Ed è quello che sto facendo io. Posso comunque tranquillizzare i miei seguaci assicurandoli che non metterò in ombra la mia attività artistica, per cui “Rexanthony” continuerà a produrre nuovi dischi e a fare serate sempre più esplosive in Italia e non solo! Tornando all’attività di produttore e alla mia casa discografica Musik Research, gestisco un roaster di artisti affermati ma anche emergenti che ritengo essere molto validi. Tra questi menziono il giovanissimo Dennis Hill e il duo Pilot Of The Dreams. Ricevo quotidianamente demo da ascoltare, di ogni tipo e di ogni genere (sempre comunque in ambito elettronico) e raramente trovo qualcosa di innovativo che mi susciti interesse. Molti credono di poter catturare l’attenzione di un produttore inviando brani creati esclusivamente con una cozzaglia di loops scaricati da internet… ma non è così che funziona. Per fare musica è necessario coltivare la passione sin da piccoli, bisogna studiare molto più di quanto non si pensi e soprattutto è fondamentale imparare a suonare.  Tutto questo ti permette di essere indipendente e, se hai talento, di dimostrarlo attraverso le sette note. Oggi potrebbero bastare una cameretta, un computer, un software musicale e… tanta fantasia per tirar fuori qualcosa che possa realmente cambiarti la vita.

 

Rexanthony live a Cuneo…

…e a Macerata

In piazzale Roma a Riccione, la città che ha fatto da culla al suo debutto

Sempre a Riccione, ma al Peter Pan: i live di Rexanthony, invariabilmente, radunano una folla oceanica

Rexanthony con Ricci Jr.

 

 

 

Il Principe Maurice a Fabriano: a tu per tu con l’icona del teatro notturno

 

Travolgente come solo lui sa essere, visionario, una leggenda vivente: il Principe Maurice (all’ anagrafe Maurizio Agosti Montenaro Durazzo, discendente dai Principi Agosti di Bergamo) si riconferma re incontrastato del teatro notturno di cui è, peraltro, fondatore. E il 20 Gennaio scorso anche Fabriano, la “città della carta”,  si è lasciata contagiare dal suo carisma. L’ occasione è stata una serata epica dove la techno dei Datura ha rievocato, live, atmosfere anni ’90 dando vita alla soundtrack di uno show a dir poco straordinario. Protagonista e mattatore dell’ evento, il Principe Maurice ha coinvolto il pubblico dell’ Aera Club and Place – un ex cinema oggi adibito a spazio polifunzionale grazie ai tre giovani imprenditori Nicola Paccapelo, Cristian Bussaglia e Enrico Rossi – in un’ esplosiva  performance iniziata alle 10 di sera e terminata alle 6 del mattino. Ad anticipare le danze è stato il docufilm “Principe Maurice #Tribute” diretto da Daniele Sartori, 50 minuti di pellicola in cui Maurice si racconta e rende partecipi del suo progetto artistico gli spettatori: un viaggio nella vita del Principe e nel suo immaginario, dove ai luoghi-simbolo come la Piramide del Cocoricò si alternano ricordi, omaggi ai Maestri Lindsay Kemp e Klaus Nomi, scenari suggestivi del Carnevale di Venezia di cui è Gran Cerimoniere.  La verve narrativa di Maurizio Agosti e un montaggio mozzafiato catturano letteralmente il pubblico, lo trascinano in un crescendo emotivo fino all’ apoteosi finale, uno dei momenti più intensi dell’ intero docufilm: con l’ incalzante sottofondo della “Passacaglia della vita” di Stefano Landi, ballata seicentesca rielaborata in chiave techno dai Datura, il Principe Maurice volteggia sulle note di un “memento mori”. “O come ti inganni se pensi che gli anni non han da finire, bisogna morire”, canta, e per l’occasione ripristina le iconiche lenti a contatto bianche e un paio di corna da Mefistofele. Ma la sua non è che un’ ode alla vita, perchè solo la consapevolezza della morte può donare valore aggiunto all’esistenza. Sull’ importanza dei valori Maurice tornerà spesso, soprattutto rivolgendosi ai giovani, nel corso dell’ intervista che mi ha rilasciato poche ore prima di una serata destinata a rimanere memorabile, unica e irripetibile per la nightlife fabrianese.

Cosa ti porta nella “città della carta”?

Fabriano era nell’ aria perché già c’erano stati degli incontri forieri di questa proiezione, guarda caso con la signora Silvia Ragni. Ma ero incuriosito da questa città da un po’, intanto perché ha una storia estremamente interessante, e poi perché una famiglia di Fabriano, i Serafini, è imparentata alla lontana con la mia. Così quando i ragazzi dell’ Aera Club and Place hanno desiderato avermi io ho proposto immediatamente, memore di questo incontro con te, di introdurre la serata – un tributo agli anni ’90 in collaborazione con i Datura che riprende il format di ReMemo trasmesso su Radio m2O –  con la proiezione del docufilm “Principe Maurice #Tribute”. Dal punto di vista musicale sarà uno show inedito, perché i Datura sono tra i rappresentanti principali di quel movimento musicale che mi ha visto protagonista di immagine al Cocoricò e in giro per il mondo negli anni ‘90.

 

 

Che cosa ha rappresentato, per te, il Cocoricò?

Il Cocoricò è stato il contenitore creativo più importante della mia carriera. Se il Principe Maurice è nato e ha potuto farsi conoscere velocemente sia in Italia che in tutto il mondo – perché il Cocoricò attirava turismo musicale e techno anche dal resto d’Europa – è stato proprio perché ero lì. E lì ci sono arrivato quasi per caso. E’ stata veramente una coincidenza straordinaria: ero la persona giusta al momento giusto, con il direttore artistico giusto, nel locale giusto. All’ epoca l’ art director era il grandissimo Loris Riccardi, collaboratore di “Blob” di RaiTre. Grazie a lui abbiamo avuto la possibilità di esprimere la forma di teatro notturno della quale sono portatore e ideatore, ma anche di ospitare compagnie importanti a livello intenazionale: La Fura dels Baus, La Societas Raffaello Sanzio, Marion D’Amburgo e i Magazzini Criminali…Nel Morphine, il super privé fiore all’ occhiello della sperimentazione del Cocoricò, è venuto a suonare anche Roger Eno, fratello di Brian e musicista ancora più avantgarde. Il Cocoricò era una discoteca fuori da qualsiasi canone, iconica, un unicum mondiale come nemmeno a New York o a Ibiza ce n’erano. Per me è stato un luogo magico e speciale.

Sei un performer leggendario. Che sensazioni provi, dopo anni, prima di salire sul palco?

Ti spiego qual è la cosa meravigliosa del mio essere uno, nessuno, centomila: il mio maestro Lindsay Kemp (leggi qui la sua intervista con VALIUM) adotta un vero e proprio cerimoniale nel prepararsi, la sua è una metamorfosi. Entrare nel camerino di Lindsay è addentrarsi in un mondo in cui anche gli odori dei trucchi ti inebriano, qualcosa di straordinario! Ho cercato di ispirarmi a lui, infatti pretendo di avere un camerino per conto mio perché per me è un vero e proprio rito quello di entrare nel personaggio. C’è questa magia particolare per cui tu, Maurizio Agosti, piano piano diventi il Principe Maurice come vuol essere in quel momento lì e quella sera lì, che non è mai uguale a un’altra. Voglio essere il più possibile vicino al mio feeling del momento, diretto e spontaneo: per me è molto importante. Mi rifaccio alla tradizione della Commedia dell’Arte, ho un canovaccio ma poi devo improvvisare. Lindsay Kemp è stato il mio Maestro con la maiuscola: ha le sue coreografie, le sue storie da raccontare, ma improvvisa tantissimo. Ero molto giovane quando ho fatto uno stage da lui, a Milano. Una sera un ballerino non si è sentito bene e l’ho sostituito in “Sogno di una notte di mezza estate”. Ho recitato una sola volta, ma sono riuscito a essere con Kemp sia sul palco che nel backstage, a imparare. Poi ho portato il tutto in discoteca: è questo che rende il mio personaggio particolare, perché nessuno si è mai impegnato davvero nel non guardare al lavoro in discoteca come a una “marchetta”, solo perché il teatro notturno aveva trovato un mercato da sfruttare anche lì. Questa mentalità ha fatto cadere un po’ il progetto di cui io sono rimasto l’unico testimone, ma non demordo.

 

 

Quale messaggio lanceresti ai giovani che affollano le discoteche?

Pretendete. Pretendete da voi stessi di vivere in maniera consapevole e partecipe tutto, anche la trasgressione, ma di esserci, non di arrivare a un punto in cui non ricordate nemmeno cosa avete fatto perché vi stordite con l’alcool o con altro. Dovete essere protagonisti e sempre presenti, altrimenti nulla ha valore, è una perdita di tempo. In più, se avete delle idee, proponetele, esprimetele, perché la vostra età ha bisogno di conoscenza, di sperimentazione, di divertimento. E di fantasia…Oggi seppellita dal conformismo della rete e dal melting pot della globalizzazione. Cerchiamo di essere il più autentici possibile e di capire da dove veniamo, perché è importante, e dove vogliamo andare… Anche se questa società ci porta a non aver troppa fiducia nel futuro sappiate, giovani d’oggi, che è importante credere in tre cose: la libertà, che è un valore fondamentale, la dignità, senza la quale la libertà è uno spreco e può diventare dannosa, e l’amore. Altrimenti non c’è nulla. I soldi sono importanti, ma vanno e vengono. La salute stessa è appesa a un filo di ragnatela. Mentre l’amore, la libertà e la dignità sono tre ingredienti fondamentali per poter immaginare un futuro, e posso dirvelo perché l’ho vissuto sulla mia pelle. Per questo lo racconto con fervore e convinzione.

Tu e il Carnevale di Venezia: cosa ti lega maggiormente alla grande kermesse veneziana?

Trasformarmi, travestirmi, ricercarmi in altre forme, ricercare il mio fratello gemello morto a 11 mesi…Un giorno –  ho 16 anni e sono già un “decadente” – decido di partire da Milano per andare al Carnevale di Venezia. Ci vado la domenica dedicata alla passeggiata delle maschere, dopo Sabato Grasso. Mia madre, che è mia complice, mi permette di viaggiare in costume per partire al mattino e ritornare la sera. Arrivo a Venezia, capito alle Generali dove fanno una festa e vengo intervistato. E’ un boom incredibile, meraviglioso, per cui mi dico: “Io il Carnevale lo frequenterò tutti gli anni”. Dopo qualche anno trovo nel personaggio di Giacomo Casanova qualcosa che mi piace, che sento mio: coltivare il piacere dei sensi ad esempio, anche in questo sono molto decadente…Il Carnevale comincia a entrarmi nella mente e nel sangue, diventa un obiettivo, una mania. E’ una passione che nel tempo ho condiviso con altre persone. Abbiamo creato delle associazioni: gli Amici del Carnevale di Venezia, un’ Associazione Internazionale per il Carnevale di Venezia, arriviamo da tutto il mondo per ritrovarci al Carnevale a divertirci e a competere per la bellezza dei costumi e delle interpretazioni. Quando Bruno Tosi, il Presidente della Fondazione Maria Callas, ha ricreato la tradizione storica delle Marie, mi ha chiesto di presentare la manifestazione. Da allora sono diventato il maestro di cerimonie che apre e chiude il Carnevale, conduco happening sul palco di Piazza San Marco e sono il Magister Elegantiarium del Concorso della Maschera più Bella. Il Carnevale diventa per me il momento dell’anno più atteso: in 10 giorni arrivo a gestire 30 produzioni tra feste private, di associazione e ufficiali.

 

 

Che ci racconti del tema “Creatum Civitas Ludens” associato al Carnevale di Venezia 2018?

“Creatum”, per valorizzare un po’ tutta quella che è l’artigianalità e l’arte che sta dietro al Carnevale. Ma non sarà un’esposizione o una specie di fiera delle botteghe, bensì un circo dove anche questi artigiani si possono esprimere. L’ elemento del circo è quello che mi piace di più: ci sono le scenografie dei Togni utilizzate per “La strada” di Fellini, oltre ad altre scenografie aggiunte dal teatro La Fenice che, in collaborazione con Massimo Checchetto, ha reso il circo un po’ più elegante, un po’ più veneziano, un po’ più adatto a Piazza San Marco. Il circo è uno dei miei ambienti preferiti, amo soprattutto  il ruolo del clown bianco e adoro Fellini. Quest’ anno quindi il Carnevale sarà davvero “playful”, con quel tocco di follia che va verso il freak: a fine ‘800 inizio ‘900, ricordate?, al circo si esponevano i fenomeni. Si giocherà sulle trasformazioni…I cambi di ruolo sessuale, che sono tipicissimi del Carnevale, faranno parte (e in modo anche molto malizioso) del gala serale che avrà per titolo “La serata di Dottor Jack Hill e Mrs. Hyde”.

 

 

Quali sono gli angoli segreti di Venezia che consiglieresti di visitare, i meno turistici e scontati?

Te ne racconto due. Uno è il minuscolo negozio di maschere di un’artista che si chiama Barbara Babi. Dietro Piazza San Marco, dietro Palazzo Ducale, c’è un ponte, credo che si chiami Ponte della Canonica. Lo trovate dopo questo ponte, un po’ sulla destra. E’ nuovo: quest’ artista ha finalmente avuto modo di aprire un suo negozio/laboratorio, e utilizza in modo molto particolare sia la cartapesta che le piume. Le sue maschere indossano parrucche fatte di piume. Sono stupende, e anche abbastanza dark! Ma non si tratta di piume di struzzo in stile Rio: sono piume di pennuti, lunghe, che lei acconcia. In più usa, applicandola sulle maschere, la pelle del serpente quando fa la muta. Il negozio si chiama La Babi e spero che abbia successo, perché lo merita. Poi c’è un bacaro speciale in quanto a ambiente, qualità e cucina. E’ uno degli ultimi rimasti, situato in una piccola calle che va verso il Casinò dal Teatro Italia, e veneziano DOC: ci vanno solo veneziani e solo loro sanno che c’è, niente turisti. Tutto viene cucinato da veneziani, in stile veneziano e con ingredienti veneziani. Lo suggerisco a chi cerca un posto veramente riservato, quasi “massonico”, per l’ ”apericena”…Il nome non te lo dico, solo chi lo scopre merita di frequentarlo. Ah, ecco un altro posto particolare! Un’ ala del Teatro Italia è stata venduta ed è diventata il più bel supermercato del mondo. Cinema Teatro Italia, in Strada Nova: entrateci. E’ da visitare perché è una contaminazione pop fuori di testa!

Torniamo a Fabriano. Un tuo parere a bruciapelo sulla città?

La cosa che mi suggestiona molto della città è questo rapporto con la carta, così importante sia per l’arte che per la scrittura. E poi c’è la tipica magia di tutte le città italiane un po’ “appartate”, che nascondono tesori. Mi piace la simpatia, la sobrietà che c’è nelle persone, e mi piace che ci siano personaggi che sono sostanzialmente dei “fantasmi”: grazie alla tecnologia sono proiettati culturalmente in tutto il mondo, ma vivono qui quasi un po’ nascosti. Un nome? Silvia Ragni, ma anche Rexanthony, uno degli autori della musica specificatamente dedicata al Cocoricò oltre che di compilation degli anni d’oro che hanno avuto un successo straordinario. Quindi non è che una città di provincia, pur famosa per la sua industria, per la sua tradizione eccetera, sia meno intrigante di una capitale.

 

 

Per concludere, una domanda sui tuoi prossimi progetti. Puoi anticiparci qualcosa o sono ancora top secret?

Con questa intervista capiti proprio durante l’ultimo cambiamento fondamentale della mia vita. I miei cambiamenti si sono avvicendati in cicli di circa 20 anni l’uno. Questo è il terzo, credo sia il finale. Sto puntando ad avere una residenza anche esterna all’ Italia, quindi mi sono spostato a Palma de Mallorca: una città antica dove c’è un centro storico, una vita culturale e la presenza della famiglia reale si “respira” sia attraverso il castello che il Palazzo di Marivent…C’è tutto quello che può affascinarmi in una città europea importante, perché Palma è una piccola Barcellona. Non è lontana dall’ Italia e il fatto che sia un’isola mi piace, perché anche Venezia è un piccolo arcipelago di isolette. Questo cambiamento mi porterà ad essere meno presente nel mondo della notte e più presente nel mondo degli eventi a carattere culturale o privato. Il mio futuro, quindi, sarà suddiviso tra l’Italia e Palma.

 

 

Photo courtesy of Aera Club and Place e collezione privata Principe Maurice Agosti