“Vieni; usciamo. Tempo è di rifiorire.”
(Gabriele D’Annunzio)
Il blog di Silvia Ragni
Omaggio al viola, colore del mese di Febbraio. Questa nuova rubrica, al suo debutto, celebrerà le tonalità simbolo dei dodici mesi dell’anno. Cominciamo con il secondo, associato a una pietra preziosa come l’ametista: il quarzo viola di cui è composta ha fatto sì che sia una delle più utilizzate in gioielleria dal 2379 a.C. Il mese di Febbraio, dunque, può vantare un colore e una gemma che sfoggiano la stessa nuance. Il viola, ottenuto dalla mescolanza del blu e del rosso, viene da sempre connesso al potere, al prestigio, ma anche al mistero, al divino e al misticismo; in periodi penitenziali come la Quaresima e l’Avvento, è il colore dei paramenti liturgici utilizzati dalla Chiesa Cattolica. Nel Medioevo, quando in chiesa predominava il viola non c’erano dubbi: iniziavano i giorni di penitenza. Sulle città e sui villaggi calava il silenzio, ogni spettacolo era probito. I teatranti dovevano interrompere la loro attività e prepararsi ad affrontare un lungo periodo di ristrettezze. Vi siete mai chiesti perchè per la “gente di teatro” il viola porta sfortuna? Per capirne il motivo, bisogna risalire a quei tempi. Ma il viola è anche associato alla sontuosità dei re, che indossavano abiti tinti di questo colore, e poi alla sapienza, all’apertura al cambiamento spirituale. Nella Bibbia il Sommo Sacerdote veste di viola, e non dimentichiamo che il rosso e il blu simbolizzano Cristo e la sua natura divina.
Ritratto notturno con acqua. Luci al neon, bagliori e luccichii che sfavillano nel buio. Dove ci troviamo? In un club, in un locale, su un rooftop con piscina…Le opzioni sono molteplici, il senso di mistero unico e indescrivibile. Come il glamour che sprigionano le immagini. Oggi la rubrica dedicata ai libri, “Le Perle di Valium”, si fonde con il format della photostory dando origine a un connubio intriso di incanto. Enjoy it.
Foto: Olya Prutskova via Pexels
” Il sole, il vento leggero, il candore degli asfodeli, l’azzurro crudo del cielo, tutto lascia immaginare l’estate, la dorata gioventù che copre allora la spiaggia, le lunghe ore sulla sabbia e la dolcezza improvvisa delle sere.”
(Albert Camus, da “L’estate e altri viaggi solari”, Bompiani, tradotto da Ettore Capriolo e Sergio Morando)
” L’estate cala sulla Sicilia come un falco giallo sulla gialla distesa del feudo coperta di stoppe. La luce si moltiplica in una continua esplosione e pare riveli e apra le forme bizzarre dei monti e renda compatti e durissimi il cielo, la terra e il mare, un solo muro ininterrotto di metallo colorato. Sotto il peso infinito di quella luce gli uomini e gli animali si muovono in silenzio, attori forse di un dramma remoto, di cui non giungono alle orecchie le parole: ma i gesti stanno nell’aria luminosa come voci mutevoli e pietrificate, come tronchi di fichi d’India, fronde contorte di ulivo, rocce mostruose, nere grotte senza fondo. “
Carlo Levi, da “Le parole sono pietre” (Giulio Einaudi Editore)
“In teoria, avrei dovuto essere l’invidia di migliaia di ragazze come me di tutti i college d’America, le quali avrebbero dato chissà che cosa per trovarsi nei miei panni, anzi nelle scarpe di vernice numero sette che mi ero comprata da Bloodmingale’s nell’intervallo del pranzo, insieme a una cintura di vernice nera e a una pochette coordinata. E quando avessero visto la mia foto, sulla rivista per la quale noi dodici lavoravamo – bicchiere di Martini in mano, un corpino ridottissimo di lamè imitazione argento che spuntava da una gran nuvola di tulle bianco, su qualche terrazza sotto le stelle, circondata da un assortimento di anonimi giovanotti dalla struttura ossea americana al cento per cento, ingaggiati o presi in prestito per l’occasione – tutti avrebbero pensato: caspita, che vortice di mondanità. Lo vedi che cosa può succedere in America, avrebbero detto. Una ragazza vive per diciannove anni in un paesello sperduto, senza nemmeno i soldi per comprarsi una rivista, poi ottiene una borsa di studio per il college, vince un premio, poi un altro e finisce che ha New York ai suoi piedi, come se fosse la padrona della città. Peccato che io non ero padrona di niente, nemmeno di me stessa. Non facevo che trottare dall’albergo al lavoro ai ricevimenti e dai ricevimenti all’albergo e di nuovo al lavoro come uno stupido filobus. Sì, credo che avrei dovuto trovarla un’esperienza eccitante, come facevano quasi tutte le mie compagne, ma non riuscivo a provare niente. Mi sentivo inerte e vuota come deve sentirsi l’occhio del ciclone: in mezzo al vortice, ma trainata passivamente. Eravamo dodici in albergo. Tutte quante, con articoli, racconti, versi o pezzi pubblicitari, avevamo vinto il concorso organizzato da una rivista di moda il cui premio consisteva in un mese di praticantato a New York, completamente spesate, con in più montagne di buoni acquisto, biglietti per il balletto, inviti a sfilate di moda, sedute gratis da un famoso e costosissimo parrucchiere, occasioni per incontrare gente che aveva sfondato nel campo dei nostri sogni, nonchè lezioni di trucco personalizzate. (…) Io, a diciannove anni, non avevo mai messo il naso fuori dal New England, a parte quel mese a New York. Era la mia prima grande occasione e io cosa facevo? Stavo a guardare, lasciando che mi sfuggisse tra le dita come acqua. “
Sylvia Plath, da “La campana di vetro” (Mondadori, Oscar Moderni, traduzione di Anna Ravano)
Il piacere di mangiare ciliegie direttamente dall’albero non è universale?
(Françoise Héritier)
Un tripudio di ciliegie: rosse, dolci e succose, talmente buone da mozzare il fiato. Sono proprio le ciliegie, vivaci e briose, ad annunciare l’arrivo dell’Estate. Il fiore di ciliegio ci ha incantato con la sua meraviglia, l’abbiamo contemplato durante l’Hanami, ma il suo frutto ci conquista grazie alla delizia. E il detto “una ciliegia tira l’altra” non potrebbe essere più vero! Tant’è che la ceresia (così la chiamavano i latini) viene ampiamente utilizzata in pasticceria e per la preparazione di svariati cocktail e bevande. Ho voluto dedicare la nuova photostory di VALIUM a questo frutto goloso, dalla forma vagamente a cuore. Un frutto che, per chi non lo sapesse, vanta persino un santo protettore: è San Gerardo dei Tintori ed è il co-patrono di Monza.
Foto via Pexels, Pixabay e Unsplash
“Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole.”
(Italo Calvino, da “Le città invisibili”)
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